La rivoluzione mancata. Malavita e potere nell’Italia post-unitaria

Aristocrazia, borghesia e criminalità organizzata nell’Italia di fine Ottocento. Libri consigliati

La rivoluzione mancata

Malavita e potere nell’Italia post-unitaria

Articolo di Federico Berti

Nel periodo post-unitario la criminalità organizzata si radicò profondamente in molte città italiane, attraverso attività di contrabbando, estorsione, usura e violenze, proprio come ai tempi del manzoniano Don Rodrigo o come avviene ancora oggi, con le controverse e ambigue relazioni tra Stato a mafia. Talvolta gli stessi membri del clero o della vecchia aristocrazia vennero a compromesso con i criminali o fornirono loro una qualche protezione. La malavita del resto era più variegata rispetto a oggi, con le nuove istanze dei movimenti rivoluzionari si andava popolando sempre più di personaggi finiti nelle patrie galere per motivi politici. Socialisti, anarchici, repubblicani attivi nell’Ottocento, perseguitati per le loro attività clandestine, finivano col trovare rifugio o supporto fra le comunità dei fuoriusciti e dei rinnegati, tra cui criminali e truffatori tessevano le loro reti. Il confine dell’illegalità era insomma più sfumato. In tutto questo si inserivano le guerre coloniali, che richiedevano sempre nuove reclute per proteggere i traffici della nuova borghesia industriale e offrivano opportunità per coloro che cercavano una via di fuga o una possibilità di riscatto. La criminalità organizzata si ritrovò a giocare un ruolo da protagonista nella storia del Regno d’Italia.

Il vero problema stava nella mancata redistribuzione del potere dopo la Rivoluzione Francese e le Guerre d’Indipendenza. La vecchia aristocrazia era infatti decaduta solo formalmente: conti, baroni, marchesi che avevano amministrato per secoli terre, aziende e castelli, trasmettendosi per linea ereditaria titoli e privilegi sotto la protezione dei papi e degli imperatori, continuavano a ricoprire un ruolo importante nella società di fine Ottocento, perché aldilà della formale decadenza continuavano a possedere tenute agricole, terreni rurali, aziende, lavoratori, rendite che costituivano una fonte significativa di ricchezza e di potere. Alcuni di loro discendevano da importanti signori della guerra e capi militari dell’epoca rinascimentale che avevano giocato un ruolo chiave nella storia dell’Italia, altri da famiglie di banchieri, finanzieri, imprenditori, il cui prestigio sociale era indiscusso nonostante il giro di vite, le espropriazioni e le giustizie più o meno sommarie. Nella competizione del nuovo capitalismo borghese, molti dei nobili che non erano stati schiacciati dai grandi rivolgimenti della storia, si erano ritrovati di fatto in posizione avvantaggiata proprio dai loro possedimenti familiari, dalle relazioni con il clero e con la nuova classe politica. In pratica, l’amministrazione del regno doveva scendere a compromessi con le vecchie dinastie dei signori di un tempo.

Nonostante la perdita dei privilegi nominali quindi, le famiglie aristocratiche riuscirono ad esercitare una certa influenza nella società italiana del tempo anche se in modo informale attraverso connessioni sociali, economiche e politiche. Gli aristocratici di un tempo si ritrovarono di fatto ai vertici della società perché non era mai stato messo in discussione il potere in quanto tale ma al contrario, gli veniva lasciata l’opportunità di esercitarlo in modo informale. Un potere clandestino, quindi illegale. Nel complesso panorama di intrighi e corruzione dell’Italia di fine Ottocento, la criminalità ha svolto il ruolo di braccio armato al servizio dei padroni, quasi una milizia personale su cui i potenti contavano per esercitare quello stesso prestigio che le guerre risorgimentali avevano solo apparentemente esautorato. In questo senso, si parla di ‘Restaurazione’ dopo le campagne napoleoniche. Il cosiddetto Bonapartismo non aveva fatto altro che neutralizzare il potere della borghesia rivoluzionaria riportandolo sotto l’egida della vecchia aristocrazia, rassicurata dalla protezione di un clero che non rinunciò mai al suo ruolo nella politica del regno. E’ in questo particolare contesto che dobbiamo ricercare le radici della criminalità organizzata contemporanea, e in ultima analisi il seme malato di quel fascismo che solo vent’anni dopo la rotta di Adua troverà terreno fertile per esercitare il suo autoritarismo attraverso la violenza, poggiando su quelle stesse gerarchie informali ben radicate nella società dell’Italia post-unitaria.

Bibliografia

  • David Kertzer, The Pope Who Would Be King: The Exile of Pius IX and the Emergence of Modern Europe, New York, Random House, 2018
  • Ugo Enrico Paoli, Vita romana. Usi, costumi, istituzioni, tradizioni, Milano, Mondadori, 2006
  • Bonapartismo, Cesarismo e crisi della società. Luigi Napoleone e il colpo di stato del 1851. Firenze, Olschki, 2003
  • Marco Soresina, L’età della Restaurazione 1815-1860. Gli stati italiani dal Congresso di Vienna al crollo, Milano, Mimesis, 2016
  • Giovanni Montroni, Gli uomini del re. La nobiltà napoletana nell’Ottocento, Molfetta, La Meridiana, 1996
  • A. Cenci, Individui torbidi e sospetti. Malavita e società nella Bassa dell’Ottocento napoleonico in riva al Po, Reggio Emilia, Antiche porte, 2013
  • Enzo Ciconte, Carte, coltello picciolo e carosello. I grandi processi di fine ottocento alla mala vita e le origini della criminalità organizzata in Puglia, Lecce, Manni, 2023
  • Carmine Pinto, La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870, Bari, Laterza, 2019

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Bibliografia, Risorse sul Tarocchino Bolognese

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