P.S.Y.O.P. La guerra che abbiamo in testa.

PSYOP. La guerra che abbiamo in testa

P.S.Y.O.P.

La guerra che abbiamo in testa

Articolo di Federico Berti

In questo podcast presento una relazione apparsa nella rivista ‘Strategia’ in data incerta (comunque intorno al 2004, se osserviamo i testi segnalati in bibliografia dall’autore che non vanno oltre al 2003), firmata dall’allora Tenente Colonnello Luca Fontana dell’SMD II Rep. – Uff. Materiali di Armamento e Alta Precisione, oggi generale di Brigata dell’Esercito Italiano, dal titolo Le operazioni psicologiche militari (PSYOP). La conquista delle menti.

E’ un testo che si presta molto a divagazioni di tipo ‘complottista‘, ma che va inquadrato nel contesto specifico del ruolo istituzionale ricoperto dal suo autore e dell’ente preposto alla sua archiviazione in rete, nello specifico il sito del Ministero della Difesa. Una fonte istituzionale, che esprime posizioni istituzionali. L’articolo, pur citando l’ampio ricorso a strategia di guerra psicologica sin dall’epoca di Sun Tzu, autore del trattato sull’arte della guerra tuttora studiato non solo nelle accademie militari, ma anche nelle scuole di marketing e pubblicità, parla anche di una svolta avvenuta nella Seconda Guerra Mondiale, quando lo Stato Maggiore degli Stati Uniti deliberò la formalizzazione e l’incorporamento di queste unità speciali nel corpo dell’esercito stesso.

Operazione motivata, secondo le fonti da lui citate, dall’esigenza di ridurre il danno e le vittime causate dalle armi convenzionali, potenziandone gli effetti attraverso una manipolazione consapevole della realtà non solo intorno al Teatro di guerra (così definisce le zone di operazione militare), ma anche a livelli molto più ampi e su più vasta scala, tra i civili di tutti quegli stati che possono essere in qualche modo interessati o influenzati dal conflitto incorso, anche in tempo di pace o in vista della preparazione di un’escalation bellica. Proprio quegli espedienti tattici e strategici che normalmente vengono attribuiti ai governi dittatoriali, dalla Germania di Goebbels alla Russia di Stalin, dall’Italia di Mussolini all’Iraq di Saddam.

Inutile dire che di manipolazione dei media, dell’informazione, delle coscienze e della pubblica opinione si parla ampiamente in diversi contesti da tanti anni, quel che rende interessante la relazione del Tenente Colonnello Fontana, oggi Generale di Brigata, è la natura del tutto istituzionalizzata, aperta, consapevole, tutt’altro che occulta, con cui questi sistemi vengono adoperati per fini, non lo mettiamo in dubbio, ‘etici’. Il problema è che naturalmente, trattandosi di reparti militari, non vi è alcuna possibilità di controllo su questi sistemi, che alterando il senso della realtà nella popolazione civile possono contribuire all’insorgere e alla propagazione di disturbi della personalità, fenomeni di dissociazione e isteria collettiva che in alcune situazioni possono degenerare ed eventualmente risolvere in vere e proprie catastrofi umanitarie.

Le unità PSYOP nei primi anni del nuovo millennio venivano apertamente e deliberatamente impiegate non solo a conflitto in corso, ma anche per contribuire al condizionamento dell’opinione pubblica, ovvero per provocarle, le guerre. Anche tra paesi stranieri, esterni alla Nato. Questo vuol dire che non siamo di fronte a pratiche ‘occulte’, ma all’istituzionalizzazione della violenza psicologica. Sapevamo già che queste strategie erano in atto, in questo breve scritto noi però troviamo anche le ‘leve’ de potere su cui agiscono, i responsabili e gli uffici a cui potremmo in teoria rivolgerci per esercitare pressioni affinché sia posto un limite a questo tipo di manipolazione.

Nel podcast ho inserito solo la mia breve introduzione al testo, in diretta Club House nel gruppo ‘Affari esteri e diritti umani’, omettendo la lettura integrale dell’articolo stesso e l’acceso dibattito che ne è seguito. Cosa può dirci oggi l’articolo del Tenente Colonnello Fontana, oggi generale di Brigata? Che l’esercito arruola e addestra alla luce del sole psicologi, antropologi, esperti in mass media, allo scopo di alterare la percezione della realtà nei propri stessi cittadini, anche in tempo di pace, e nei cittadini di altri paesi prima, durante e dopo i conflitti militari. Convinti di farlo allo scopo di contenere il danno e le vittime, per difendere la democrazia nel mondo.

Non mettiamo in discussione le buone intenzioni dell’autore, ma l’assenza di un controllo sull’adozione di queste strategie potrebbe parimenti prestarsi a operazioni di dubbia eticità, come quelle che hanno portato in tempi più recenti a scandali come quello di Cambridge Analytica e allo strapotere delle grandi multinazionali legate ai social media, in grado di ‘volantinare’ con una rapidità e una massività del tutto inedite, contenuti in ogni parte del mondo. Ci riproponiamo dunque di approfondire questi temi.


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