L’oligarchia della New Policy. Governance e stabilità.

“Decidere una volta ogni qualche anno qual membro della classe dominante debba opprimere, schiacciare il popolo: ecco la vera essenza del parlamentarismo borghese, non solo nelle monarchie costituzionali, ma anche nelle repubbliche, le più democratiche” (V. Lenin, Stato e Rivoluzione, Agosto 1917)

 

Governance e stabilità

L’oligarchia della New Policy

Articolo di Federico Berti

ELEZIONI POLITICHE 2018

 

Questo articolo nasce come riflessione sullo stallo politico seguito alle elezioni del 2018 in Italia, ma va a toccare temi più ampi come la governance, la stabilità e il ruolo della rete nella politica internazionale. La soluzione non è mai nel Parlamento o in una legge elettorale sbagliata, ma nelle persone: si deve ripartire dalla cultura.

 

La favola consolatoria del Rosatellum

Le elezioni 2018 in Italia non sono che l’ultimo, in ordine cronologico, stallo di un paese che dalla caduta del ‘monarca puttaniere’ non s’è rivelato ancora capace di darsi un governo veramente stabile. Prima una serie di esecutivi tecnici ha procrastinato a lungo le elezioni, per poi trovare in un Partito Democratico sempre più moderato e sempre più centrista un polo di attrazione delle forze politiche cosiddette progressiste. Non è bastato, i risultati si vedono. Quando la sinistra vuol contentare ad ogni costo l’elettorato di centrodestra, finisce per tradire e disperdere sé stessa. In ogni caso nemmeno questa tornata elettorale può esprimere una maggioranza e la responsabilità di questo imbarazzante stallo non si può attribuire esclusivamente al tanto discusso Rosatellum, un sistema elettorale di cui si dice sia stato messo a punto proprio per sabotare la governabilità del paese: in qualsiasi altro sistema, il problema della governance avrebbe dato lo stesso tipo di risultato, come diversi analisti han dimostrato con trasparente chiarezza. Nemmeno in un paese come la Germania, la Grosse Koalition avrebbe portato a una maggioranza assoluta che potesse garantire stabilità al governo, lo stesso potrebbe dirsi con le liste dei collegi uninominali in Spagna, o col premio di maggioranza in Grecia, persino il maggioritario puro all’inglese avrebbe dato un paradossale merito alla coalizione del centrodestra per la Camera, ma non per il Senato e saremmo al punto di partenza.Quindi forse il problema va ricercato altrove

 

Internet e la New Policy

Il dibattito a mio parere viene continuamente spostato, per non affrontare la reale questione della politica nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. In primo luogo dovremmo considerare un dato molto interessante, che in queste elezioni politiche 2018 ha espresso tutta la sua inquietante ineluttabilità: i partiti politici che hanno ottenuto risultati migliori, sono quelli che han saputo giocare meglio la carta della rete. Il primo partito in Italia è nato in chat, il secondo ha investito più per la pubblicità sui motori di ricerca che per i manifesti elettorali nelle strade, il terzo è quello che ha il maggior numero di provocatori infiltrati nei gruppi di discussione e paga i social networks per rendere virali immagini, articoli e video che altrimenti non arriverebbero a un palmo dal loro naso. Gli altri ovvero i piccoli partiti senza finanziatori di rilievo, sono rimasti nel retrobottega. La spaventosa realtà è che la politica nazionale è di fatto controllata da un media unico, il motore dei motori, un’azienda multinazionale con sede negli Stati Uniti che può decidere se mostrarti o renderti invisibile al mondo, a sua totale discrezione. L’algoritmo di Google, attraverso il quale passa più di metà dell’informazione mondiale, è basato sulla commerciabilità del risultato: se paghi una campagna Adwords, allora sei nei primi risultati a prescindere da quel che dici e come lo dici. Questa è la politica ridotta a commercio, il risultato in Italia esprime esattamente lo spirito della New policy. E’ dunque un governo transnazionale quello che ancora una volta si installerà in Parlamento.

Governance e stabilità.

Il problema centrale su cui si stanno spendendo fiumi di parole è sempre lo stesso: l’incubo della governabilità, il patto di stabilità. Un paese dal governo instabile non attrae investitori dall’estero, non può guadagnarsi la fiducia da parte di un sistema economico fondato sul credito e sulla speculazione finanziaria internazionale, che tuttora governa di fatto il mondo intero usando lo spread e le riviste di economia al posto delle armi. Ma è proprio questo il punto su cui dovremmo fermarci a riflettere. La famosa ‘governance’ non è che una maggioranza tale da schiacciare tutte le minoranze imponendo scelte unilaterali, cosa che se non corrisponde a una scelta reale da parte dei cittadini, porta a risolvere la democrazia in oligarchia. Coalizioni, premi di maggioranza, sbarramenti, collegi uninominali, non sono che sistemi per ‘drogare’ il voto manipolandolo al fine di creare maggioranze là dove non ve ne sono. Se la scelta dei cittadini italiani è tripolare, il governo dovrebbe essere in teoria tripolare: a questo s’ispirava il proporzionale puro nell’Italia del dopoguerra, un sistema non estraneo alla corruzione, alle congiure di palazzo, ma che almeno rispecchiava i risultati delle elezioni e se non altro corrispondeva a una confusione reale, non a un’illusione di chiarezza.

 

La politica dei cittadini

Purtroppo l’equivoco della rappresentanza porta la maggior parte delle persone ad attribuire la responsabilità delle scelte fatte da un governo ai soli deputati e non al popolo che li elegge. La storia italiana degli ultimi cent’anni ha dimostrato invero che la politica non nasce in Parlamento ma inizia nelle strade, nelle case della gente, nei luoghi di ritrovo e che la base d’un partito è sempre nell’attivismo, nella militanza consapevole del suo elettorato: per dirla in modo più semplice, duemila esaltati in camicia nera che marciano su Milano valgono in questo senso molto più di 20.000 elettori in pantofole davanti alla tribuna politica del divanismo da talk-show. Non può del resto sviluppare senso civico un popolo che rifiuta il dibattito e abbassa la voce quando parla di politica in pubblico, un paese che non ha ancora fatto i conti col revisionismo storico sdoganato negli ultimi vent’anni: è qui che andrebbe ricercata una soluzione al problema della governance e della stabilità. Si deve insomma ripartire dalla cultura. Perché le scelte politiche siano meno influenzabili da una propaganda mendace e manipolatoria, si deve ripartire dallo studio della storia, della geografia, dell’educazione civica. Tutto questo non può farlo il Parlamento, soggetto come abbiamo visto a ben altre sollecitazioni, ma dev’essere il cittadino stesso a impegnarsi su questo fronte in casa propria, a scuola, in osteria,sottrarsi alla rete quando possibile e cercare un contatto reale con le altre persone, confrontarsi nelle assemblee, solo da qui può ripartire una politica autentica. Solo in questo modo possiamo superare lo stallo imposto dall’algoritmo. C’è molto da fare e i risultati li vedremo forse tra altri vent’anni. Non nascondiamoci dietro un calice di Rosatellum.

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