Fake news, la soluzione sei tu. Ora ti spiego come.

Fake news, censura, Pandora Tv, Butac, Miriam Dalal

Certo sono più sapiente io di quest’uomo, anche se poi, probabilmente, tutti e due non sappiamo proprio un bel niente; soltanto che lui crede di sapere e non sa nulla, mentre io, se non so niente, ne sono per lo meno convinto, perciò, un tantino di più ne so di costui, non fosse altro per il fatto che ciò che non so, nemmeno credo di saperlo”. (Platone, Apologia di Socrate, VI)

Dove sta la verità?

Oltre la manipolazione mediatica

Articolo di Federico Berti

PANDORA TV, BUTAC, FAKE NEWS

Dopo aver quanto meno provato a identificare il narratore della notizia, possiamo procedere al secondo passo, che è quello di censire i nodi attraverso cui quella storia è passata, ovvero risalire all’indietro quali possono essere state le fonti dell’informatore. E’ la stessa cosa che inconsapevomente noi facciamo anche verso chi racconta una favola, o una barzelletta: impariamo presto o tardi quali sono le sue fonti e ne valutiamo in base a questo la maggiore o minore credibilità. Se ad esempio un amico è solito raccontare delle vuote freddure che non fanno ridere, partiremo prevenuti nei suoi confronti, così come se davanti a noi abbiamo una persona cui piace spettegolare e diffamare il suo prossimo, sarà naturale e comprensibile da parte nostra una certa diffidenza nei suoi confronti. Lo stesso discroso vale per le notizie che leggiamo sul giornale, dopo aver identificato il narratore che le porta dovremmo fare lo stesso con i narratori che lo hanno preceduto, quelli verificabili almeno. Procederemo dunque alla ‘collazione’ delle fonti.

IL BAMBINO CHE DORME FRA LE TOMBE

Il video di Pandora Tv lo avevamo visto nel capitolo scorso, si apre s’un bambino che dorme fra due tombe coperte di sassi, poi lo stesso bambino si vede in una sequenza successiva allegro e sorridente, sollevare due dita in segno di vittoria, mentre un testo in sovrimpressione spiega che quel bambino ha ricevuto 20 dollari per posare nello scatto e il fotografo ha venduto l’immagine alle agenzie di stampa di tutto il mondo. Quindi, così leggiamo in didascalia, è un falso. L’immagine in realtà, spiega il commentatore, era già nota come un falso dal 2014, il servizio rientrava in un progetto di sensibilizzazione sulla violenza domestica in Siria. Il problema non chiarito è come quelle immagini siano potute arrivare a noi, come poi ne sia entrata in possesso la redazione di Pandora e prima ancora, gli altri commentatori che ne han parlato, compresi quelli di parte sovranista che avevano diffuso l’originale comunicato in lingua inglese. Proviamo a risalire le fonti che gli stessi colleghi hanno offerto.

Il primo che siamo riusciti a datare è un articolo di Myriam Dalal pubblicato nel gennaio 2014 per il sito Beirut.com, testata libanese che parla di turismo a lettori occidentali in lingua inglese, riporta un’intervista all’autore dei due scatti sostenendo che questi abbia manifestato il proprio stupore per la manipolazione delle immagini in atto nei social networks, uno fra tutti Imgur, data base d’immagini ‘virali’ da tempo in collaborazione con Reddit, Technorati Media e diretto concorrente di Instagram. Come vedremo questo è il primo articolo in cui si parla di una smentita da parte del fotografo, vi faranno riferimento molti altri successivamente ma le fonti dell’autrice si sono rivelate tutt’altro che documentabili: attraverso le sue parole infatti non è possibile in alcun modo risalire all’identità dell’intervistato. Il nome cambia da una fonte all’altra, si moltiplicano i profili social e come vedremo seguiti fino in fondo non portano a nulla.

L’INTERVISTA DI MIRIAM DALAL

Abbiamo dunque identificato un nodo attraverso il quale è passata quella storia, seppure in forma molto diversa, prima id raggiungere il movimento sovranista e la redazione di Pandora Tv. La giovane narratrice si chiama Miriam Dalal, è un’artista diplomata all’Accademia di Belle Arti Libanese, autrice di canzoni e vocalist della rock band Nachaz , fotoreporter, insegnante di fotografia alla Notre Dame University di Zouk Mosbeh, un istituto privato cattolico che segue un sistema educativo americano, nel suo curriculum professionale vanta collaborazioni freelance con giornali come Al-Akhbar, partner libanese di Wikileaks e con An-Nahar, testata nazionale libanese più volte accusata dal governo siriano di aver diffuso nel proprio territorio false informazioni che mettevano a rischio la sicurezza del paese. Si direbbe una giovane idealista emergente nell’ambiente artistico della sinistra moderata mediorientale, il cui interesse per l’arte è naturalmente sincero, ma che potrebbe essersi trovata davanti a un testimone poco attendibile suo malgrado. Veniamo ora alle fonti che la collega cita nel suo articolo, proviamo a seguirne le tracce per rintracciare eventuali nodi precedenti al suo.

Il risultato è negativo purtroppo, l’account Twitter citato nell’articolo della Dalal mostra che il profilo @abdulaziz_Photo risale all’anno prima 2013, non ha seguaci, non segue nessuno, 7 anonime foto in tutto, inattivo insomma. Un retweet in arabo ogni circa tre mesi nel 2016, poi il silenzio. Proviamo su Facebook, Abdul Aziz Photographer ha pubblicato in tutto 24 foto e 1 video per matrimonio, ma la sua attività non rimanda alla Siria bensì a Cox Bazar, in Bangladesh. Anche il prefisso 880 del numero di telefono rimanda a un numero bangladese; a parte questi due profili non attivi non vi sono fonti pubbliche per ricostruire la sua reale identità, nel momento in cui scrivo almeno. L’articolo di Miriam Dalal quindi non riporta una documentazione che consenta di risalire all’identità reale del fotografo, né di ricostruire il momento in cui le immagini hanno effettivamente iniziato a circolare.

BUZZFEED E HAROLD DOORNBOS

Alle note di Miriam Dalal, come abbiamo visto documentate in modo incompleto e sommario, si richiama esplicitamente un articolo di Ryan Broderick per BuzzFeed sito che cattura e rilancia notizie virali da varie pubblicazioni online, fa capo a una società statunitense con sede a New York fondata nel 2006 da un tale Jonah Peretti: da questo momento in poi, è tutto un gioco di rimandi che finiscono sulle pagine dei nostri cacciatori di bufale, spesso ignari di essere a loro volta pedine di un gioco più grande di loro. La storia della smentita da parte del fotografo è dunque promossa da New York, ed è a quella che il video di Pandora sembra far riferimento quando parla di speculazione sulle fake news. Stiamo a vedere adesso l’evoluzione attraverso i media.

L’olandese Harald Doornbos è un nodo molto importante nella propagazione della notizia, un reporter che risulta attivo in Croazia, Serbia, Turchia, Egitto e cita sia l’intervista di Miriam Dalal, sia l’articolo di Ryan Broderick (dunque posteriore a entrambe), pubblica nel gennaio del 2014 un’intervista telefonica a un artista saudita sedicente autore delle foto al bambino che dorme fra le tombe. Dal Bangladesh, eccoci all’improvviso nel cuore dello Stato Islamico. L’artista o presunto tale spiega che si trattava d’una satira contro la violenza domestica e la manipolazione sarebbe partita da un profilo Twitter @americanbadu tuttora esistente, con due bandiere affiancate in copertina: quella statunitense e quella araba. Il nome del fotografo in questo caso è riportato in modo leggermente diverso, Abdul Aziz al Otaibi. Mancano di nuovo le fonti primarie ovvero la prima destinazione della campagna fotografica, non viene citata nessuna rivista, nessuna esposizione pubblica, nessun evento controllabile se non profili di social networks legati alla propaganda saudita contro la Siria di Assad.

L’intervista di Doornbos si svolge per via telefonica dalla Turchia, in prossimità del confine siriano, mentre il fotografo risponde dall’altro capo della linea, per l’appunto nel regno saudita. Al Otaibi (o chi per lui) sostiene di aver caricato prima le foto su Facebook, ma che sulle prime non vi furono commenti particolari, le prime condivisioni in massa partirono da profili sauditi e filo-occidentali su Twitter. Osservando però con attenzione la foto riportata nell’articolo, qualcosa non torna.

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Questa la foto riportata nell’articolo del giornalista olandese. Il profilo Facebook abdulaziz_099 non esiste, nemmeno come pagina. La foto riportata nel blog di Doornbos è alquanto insolita, il numero _099 risulta in tre dimensioni diverse, si direbbe più un montaggio che un’immagine catturata dallo schermo. La ricerca sui nomi dei commentatori non ha prodotto risultati: jeedi_89 non esiste, non esistono f_ad10majed_zz. Pare che esista invece l’account di abdulaziz_099 su Twitter, 4 seguaci, 2 foto e nessuna relazionabile alla campagna del bambino, un solo video con 32000 retweet non visibile perché rimosso da YouTube per violazione delle norme sul bullismo e molestie. Torneremo su questo profilo più avanti.

LE SMENTITE ITALIANE

A questo punto la polemica sulla foto del bambino sbarca in Italia ma le carte in tavola cambiano ancora, su Bufale.net ad esempio l’immagine si direbbe partita da Instagram ma le pagine virali di Facebook l’avrebbero reso popolare, al contrario di quanto affermava l’intervista olandese. Inutile dire a questo punto che il profilo abdulaziz_099 su Instagram esiste, ma non riporta che un solo seguace e nessuna foto o messaggio pubblicato. Un’altra cattura nella smentita di David Puente citata da Butac riporta il profilo Instagram di tale Aziz Alotaibi azezphoto , ma a quanto pare si tratta di un giovane studente americano con la passione per le foto e i viaggi, nulla a che vedere con l’immagine del bambino fra le tombe, il cui autore per il momento rimane un ‘ghost in the machine’.

L’unica fonte in cui si possono trovare dei riferimenti alle immagini e al suo autore è Web Archive, un sito nel quale qualcuno deve aver salvato alcune catture di schermo per conservarle: come se il profilo reale fosse stato cancellato, ma non possiamo sapere se prima di scomparire fosse autentico o se non fosse a sua volta un altro fake. Nella cattura salvata su Web Archives compaiono soltanto i testi più recenti dei tweets partiti dal profilo del fotografo prima che venisse azzerato, in arabo e dunque non subito comprensibili; traducendo le parole del fotografo in modo sommario con l’apposito servizio Google Translate si ottengono delle massime religiose, mentre il dominio tweet4allah cui tutte queste frasi rimandano risulta disponibile, non corrisponde cioè a nessun sito attivo:

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 GOOGLE TRANSLATE:

99 @abdulaziz_Photo Fotografo nato nel 1989, ho uno studio mobile per fotografare le persone nei luoghi che amano Arabia Saudita.  Come guadagni mille buone azioni e ti tolgono mille cattivi? Ha recitato alleluia centinaia di volte. Ho detto, chiedi perdono al tuo Signore che è stato Ghafara. Dio salvami dal fuoco. Chiedi perdono a Dio e Atop a lui. Lode ad Allah. Lode ad Allah. Non c’è Dio all’infuori di Allah. Signore perdonami e pentiti che sei il pentito, il perdonatore. Signore .. Fammi vedere chi chiama il suo nome nel cielo .. Io amo Vlana Vahoboh i miei angeli. Oh Dio, spiega il seno dei tuoi schiavi per ogni bene, spiegami il mio petto. Oddio, la mia vita non è stata buona per me e la morte se la morte è stata buona per me. Nessuno di voi può guadagnare mille buoni giorni al giorno? Prega cento altari e gli scrive mille buone azioni o gli dà mille peccati. O Allah, concedi misericordia ai morti e ai morti dei musulmani. O Dio, ti chiedo il meglio di questo giorno e lo apro, e la vittoria, la luce, la benedizione e la guida, e cerco rifugio in te dal male di questo giorno e del male oltre….

QUALE VERITA’?

Quattro ore di ricerca attenta hanno portato al nulla. Non una fonte siriana, le immagini si sono diffuse attraverso i social networks in modo contraddittorio ma la smentita del fotografo non compare prima dell’intervista apparsa s’un sito d’informazione turistica libanese, ad opera di un’artista che insegna all’università cattolica, canta in un gruppo rock e ha collaborato con riviste coinvolte in scandali internazionali affiliata a Wikleaks. La notizia viene rimbalzata fra siti americani da un lato, i networks sauditi dall’altro, per finire in Europa attraverso un reporter freelance olandese noto per la sua presenza ovunque vi siano state le cosiddette ribellioni ‘false flag‘: Serbia, Croazia, Ucraina, Turchia, Egitto. Tutto sembra condurre a profili aperti e poi cancellati, per quanto ne sappiamo collegati alla propaganda antisiriana del governo saudita. Attraverso queste fonti le notizie passano ai commentatori italiani, che le rimbalzano in completa buona fede convinti di rendere un servizio alla ‘verità’. Ma di quale verità stiamo parlando?

Paradossalmente, ritorno al tema iniziale ovvero alla polemica fra Pandora e Butac, di fatto hanno ragione entrambe, o meglio hanno svolto due lavori diversi per conseguire lo stesso obiettivo, che è quello di parlarne. Non desidero in alcun modo screditare l’impegno di chiunque sia disposto a mobilitarsi nella ricerca, io stesso ho potuto risalire all’indietro l’albero delle fonti anche grazie a questi colleghi in prima linea nel porsi le domande meno ovvie, ma il risultato a cui siamo pervenuti è desolante e verrebbe da dire, motivo di disperazione: viviamo in un mondo talmente virtuale che la realtà semplicemente non esiste più, l’informazione da sola non basta, bisogna che ciascuno sia disposto a impegnare in prima persona qualche ora del suo tempo a riavvolgere il filo d’Arianna per venir fuori da questo labirinto surreale, ogni tessera del mosaico aiuterà qualcun altro a fare lo stesso. Dobbiamo metterci in testa che qualsiasi cosa è vera solo fino a prova contraria e questa prova, dev’essere il lettore a trovarla.

CENSURA E BUON SENSO

Polemiche come quella sulle fake news stanno versando acqua nel mulino della restrizione di libertà, una soluzione che può solo favorire il fondamentalismo del pensiero unico e soprattutto, essendo la rete al di sopra degli stati che attraversa, richiederebbe un congresso transnazionale che renderebbe tutti ugualmente sudditi del canale unico, il motore dei motori. Come abbiamo visto infatti, la propagazione di queste notizie false è avvenuta anche attraverso gruppi di pressione politica internazionali e non senza che i governi nazionali ne fossero informati, non siamo cioè di fronte a un bambino che ha rubato la marmellata, ma davanti a menzogne con copertura di Stato. Un’eventuale censura non farebbe che confermarle. Non può esservi dunque soluzione ‘legale’ alle menzogne della propaganda, dev’essere indivuale e collettiva: responsabilizzare il lettore.

Stamattina ho avuto modo di fare alcune interessanti conoscenze, potrei tornare a incontrarle più avanti o potrebbero scomparire per sempre dalla mia vita, ma sono state alquanto utili a modo loro, sono i nodi attraverso cui è passata la storia su cui stavo indagando. Narratori, nulla più. La professoressa Dalal, il dottor Doornbos, Ryan Broderick, Jonah Peretti. Nomi che non desidero abbinare a un’esperienza negativa, ma che rimandano senz’altro a un completo buco nell’acqua. Nei loro articoli ho trovato incongruenze, piste che si dipanano nel nulla, spero d’incontrarli ancora in contesti meno imbarazzanti. Probabilmente vittime loro stessi di una propaganda partita dall’Arabia Saudita in collaborazione con l’informazione turca, libanese, egiziana e americana, per screditare le proteste contro l’aggressione irragionevole all’ultimo stato veramente laico e pluralista in Medioriente, la Siria di Assad.

E’ per questo motivo che ringrazio i compagni di Butac e quelli di Pandora, la redazione di Giornalettismo e il giornalista olandese, l’americano di Buzzfeed e la professoressa libanese, tutti li ringrazio: perché dai loro errori, come dai miei, tu che sei in linea qui e ora possa trovare un nuovo filo da svolgere, partendo in questo caso da me, il narratore che ti ha portato questa storia.

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