Stalin non era stalinista. Luoghi comuni e leggende nere. Diretta podcast.

Da Lenin a Stalin
Avvento dello ‘stalinismo’
luoghi comuni e leggende nere

Articolo di Federico Berti

Stalin non era stalinista

Il termine ‘stalinismo‘ non nasce con Stalin ma viene usato per lo più in un senso detrattivo dai suoi oppositori politici. Un vero e proprio stalinismo non è mai esistito, lo stesso accentramento del potere nelle mani di uno solo non è avvenuta in modo improvviso ma gradualmente e per ragioni che non possiamo ridurre all’eliminazione consapevole di ogni opposizione interna, come da anni si continua a ripetere: per comprendere le ragioni della parabola successiva alla morte di Lenin, è necessario tener presente la vastità del territorio interessato dalla rivoluzione d’ottobre, l’unione delle quattro repubbliche e poi l’estensione del territorio fino all’estremo oriente siberiano, una tale immensità da rendere impossibile a un solo uomo il controllo totale di tutto l’apparato statale; se Stalin non avesse goduto del largo consenso che ha avuto praticamente fino alla sua morte, sarebbe stato liquidato molto prima. Questo dettaglio è importante, nel senso che non esiste la formulazione di un nuovo pensiero, una nuova dottrina propriamente ‘stalinista’ non è mai esistita e se vogliamo capire a fondo quel che può essere successo realmente in quegli anni dobbiamo valutare gli eventi storici nella loro complessità, cercando di mettere da parte la narrazione unilaterale e antistorica della propaganda.

Il secondo problema da affrontare è quello del cosiddetto ‘comunismo di guerra‘, ovvero dovremmo prendere atto che l’unione delle repubbliche socialiste sovietiche non ha mai vissuto un solo giorno in tempo di pace, cosa che obbliga tutti noi a valutare diversamente non solo le scelte politiche, ma anche le dinamiche interne al potere. Quando un paese è in guerra (questo vale anche per le democrazie moderne, l’attuale emergenza pandemica lo sta dimostrando con tragica evidenza) anche la legge in vigore non è più la stessa: non possiamo confrontare tra loro due governi con lo stesso ordinamento politico, se uno dei due si trova in tempo di pace e l’altro in tempo di guerra. Nel ripensare alle vicende storiche dell’Unione Sovietica bisogna tener conto di questo dato imprescindibile, ovvero che il suo governo mai venne riconosciuto dal congresso dei paesi capitalisti, che piuttosto lo isolarono fin da subito finanziando in ogni modo l’opposizione interna, senza porsi il problema delle conseguenze che una guerra civile avrebbe scatenato sulla popolazione. L’Europa riconobbe l’Italia fascista, la Germania nazista, la Spagna franchista, la decaduta Russia zarista, ma non l’Unione Sovietica, questo è un altro dato di grande importanza da tener presente. Churchill dichiarò all’indomani della rivoluzione che bisognava strangolare il bambino nella culla.

Dobbiamo renderci conto che l’Unione Sovietica in quel momento non aveva bisogno di teorici ma amministratori e di strateghi, specialmente quando all’opposizione dei paesi controllati dal capitalismo borghese venne ad affiancarsi e poi sostituirsi la violenza criminale del totalitarismo nazifascista, il cui programma era per costituzione e per definizione la guerra al comunismo e dunque una nuova aggressione militare praticamente inevitabile. Fu presto evidente a Mosca che il trattato Brest-Litvosk aveva significato la fine solo apparente della prima guerra mondiale, in realtà quel conflitto spaventoso non si era esaurito nella sostanza e quindi il nuovo paese, distrutto dalle guerre, devastato dalle carestie, aveva a disposizione un tempo ridotto per adeguare le sue (praticamente assenti) infrastrutture, riconvertire l’economia, industrializzarsi, ottimizzare lo sfruttamento delle risorse e armarsi per poter sostenere l’imminente invasione. Stalin sale al potere nel 1924, si troverà nuovamente gli eserciti nemici in casa nemmeno vent’anni più tardi e in quella breve parentesi non era il momento per fermarsi a ragionare sui massimi sistemi. Va detto a posteriori, la storia ha poi dato ragione alla politica interna di Stalin, dal momento che non solo il nemico venne fermato e vinto, ma dopo la seconda guerra mondiale il dittatore consegnerà ai suoi successori una potenza in grado di sostenere il confronto, anche economicamente e non solo militarmente, con l’altra metà del mondo. Cosa che non si può dire di Mussolini e Hitler, ad esempio.

Trotsky e Bucharin

Alla morte di Lenin dunque noi troviamo un paese devastato da 11 anni di guerre ininterrotte contro le maggiori potenze capitaliste d’Europa e del mondo, con un’economia ancora rurale, praticamente feudale, arretrata sotto ogni punto di vista, consapevole di avere davanti a sé poco più di una breve tregua per risollevarsi e prepararsi a un ulteriore conflitto. Nel momento in cui Stalin viene eletto a guida del partito, si configura fin da subito il conflitto con l’opposizione interna di Trotsky e Bucharin. La semplificazione della propaganda porta spesso a liquidare quel momento come una competizione per il potere simile alla successione di un imperatore, come nell’età ellenistica la successione di Alessandro Magno o nel medioevo quella dell’Impero Carolingio: sono categorie limitate, quelle con cui si dibatte quanto avvenuto in quegli anni, che non tengono conto delle motivazioni dietro alle scelte del partito, che non era nelle mani del solo Stalin, non ancora almeno. La propaganda semplifica e nel semplificare, allontana dalla verità.

Se andiamo ad approfondire, il partito non rimproverò a Trotsky l’idea che un paese rimasto isolato dal resto del mondo si trovasse in costante pericolo e che pertanto si dovesse incentivare con ogni mezzo la rivoluzione negli altri paesi, quella stessa idea era in fondo parte della visione marxista-leninista fin dal tempo della seconda internazionale e dunque non costituiva una particolare novità: compito del socialismo è per l’appunto provvedere alla circolazione delle idee e della cultura educando le masse dei lavoratori in ogni parte del mondo, favorendo le condizioni per una presa di coscienza e la formazione di nuovi movimenti rivoluzionari. Quel che si rimproverava a Trotsky erano i metodi che intendeva impiegare a questo scopo, ovvero la connivenza con i servizi segreti, il controllo della stampa, l’infiltrazione sistematica e di fatto la presa del potere in modo ‘strisciante’ negli stati capitalisti, corrompendoli dall’interno. Lo scontro con Trotsky è avvenuto su questo punto, la sua politica venne considerata anticostituzionale, per questo fu espulso dal partito. Quel che avvenne di lui più tardi è ancora un’altra storia, su cui torneremo.

Veniamo all’altro grande oppositore interno che Stalin dovette affrontare, il ‘figliolo prediletto’ Bucharin come Lenin lo aveva affettuosamente chiamato: per quale motivo nel ’29 fu espulso anche lui dal Comintern, su quali punti era entrato in disaccordo con il partito, al punto di fondare una nuova opposizione interna, disgregante e frondista? La risposta è nella collettivizzazione forzata delle campagne e nei piani quinquennali che lo stato sovietico aveva disposto per poter raggiungere gli obiettivi indispensabili a reggere l’impatto dell’imminente, inevitabile scontro bellico con le forze dell’Asse. Le stime valutate da economisti, ingegneri e militari, imponevano uno sforzo produttivo enorme, ma indispensabile, per cui la politica dei piani quinquennali imponeva che i lavoratori dovessero produrre ogni settimana una quota minima in franchigia compensata in prodotti e servizi, provveduto alla quale potesse ricevere il salario vero e proprio per il resto del suo lavoro. Una sorta di ‘corvée” obbligatoria. Va detto a onor del vero che la carta dei diritti del cittadino garantiva in Unione Sovietica lavoro, casa, istruzione, cure mediche, previdenza sociale, tutte spese che allora nei paesi capitalisti gravavano sul cittadino. Bucharin si oppose alla collettivizzazione auspicando piuttosto un ritorno alla politica economica mista precedente i piani quinquennali, chiedendo una gestione diretta delle aziende da parte del sindacato locale, che pertanto doveva poter agire con maggiore indipendenza, in modo più simile a un’azienda privata. Questa sua posizione venne giudicata, non tanto da Stalin quanto dal politburo, incompatibile con la politica dei piani quinquennali e nella prospettiva particolare di quel periodo storico, fu dichiarata apertamente contro-rivoluzionaria. Anche lui venne espulso dal Comintern e di quel che avvenne dopo dovremo parlare in altra sede.

L’opposizione a Stalin

E’ opinione comune che l’espulsione di Trotsky e Bucharin abbia lasciato il partito unico nelle mani di Stalin, ma anche questo non è del tutto esatto: siamo nel 1930, sei anni dopo la morte di Lenin e ancora non si parla in alcun modo di stalinismo. Le cosiddette grandi purghe di cui parla la propaganda antisovietica, con l’eliminazione fisica degli oppositori politici, sono da collocarsi interamente fra il 1935 e il 1937, a due anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale: solo cinque anni dopo la fucilazione di Bucharin, avremo l’assedio dell’Asse a Leningrado al culmine di un conflitto bellico nel corso del quale moriranno complessivamente 25 milioni di cittadini sovietici. Come si è detto in esordio a questo articolo, nel valutare i fatti storici dobbiamo osservare gli avvenimenti nella loro complessità, partendo dal presupposto che non possiamo giudicare un paese sotto assedio con le stesse categorie di pensiero che riserveremmo a un paese che vive in prosperità e in pace. Il mondo era in guerra con l’Unione Sovietica, non viceversa, la teoria del socialismo in un solo paese voleva proprio dimostrare questo.

Ciò detto siamo consapevoli che non si possa generalizzare, la realtà è sempre un po’ più complessa di come la vorremmo: come suggeriva il professor Domenico Losurdo nella sua imprescindibile opera sulla leggenda nera di Stalin, non siamo qui a redigere il santino di un uomo, ma a valutare gli eventi storici nella loro prospettiva diacronica. La sola cosa che possiamo dire a riguardo è che nei 16 anni tra la morte di Lenin e la guerra patriottica contro l’Asse nazifascista, l’unione delle repubbliche socialiste sovietiche ha compiuto sforzi impressionanti per uscire dalle condizioni di arretratezza e miseria in cui gli undici anni di guerra precedenti l’avevano lasciata, che Stalin è morto sostanzialmente da vincitore al contrario di quei dittatori cui viene illegittimamente accostato. La cosiddetta ‘destalinizzazione‘ ha inizio solo dopo la sua morte e sarà il primo passo di un lento ma inesorabile declino, che avrà il suo culmine nel crollo del Muro di Berlino. Inutile dire che non avrebbe senso per noi valutare la sua politica decontestualizzandola, quel che è accaduto fra il 1924 e il 1940 in particolare non si può liquidare banalmente come una deriva cesarista da parte di un despota, quegli anni sono stati molto di più. Non dobbiamo commettere l’errore di santificare o demonizzare l’individuo, ma chiederci piuttosto le ragioni di un processo storico più complicato di quanto lo si vorrebbe talvolta far passare.


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