Podcast. Da servi a padroni. La schiavitù nell’Islam

Da servi a padroni,
la schiavitù nell’Islam

Podcast a cura di Federico Berti

Sintesi dell’articolo di Letizia Lombezzi
in: ‘Altre Modernità’, 02/2019

Letizia Lombezzi, Lo status dello schiavo per l’islam: cenni storici, questioni terminologiche e legali, in: ‘Altre Modernità’, Di nuove e vecchie schiavitù– 02/2019

Riduzione e relazione di Federico Berti

La schiavitù risulta praticata fin dall’inizio nel mondo musulmano, lo stesso Corano la disciplina e regolamenta in modo anche dettagliato, ma con una peculiarità propria dell’Islam ovvero una prospettiva di riscatto diversa rispetto alla schiavitù nel Nuovo Mondo, o anche solo in Europa dove il sistema feudale e la servitù della gleba prevedevano un’immobilità tra le classi sociali e la nobilità si poteva acquisire sostanzialmente senza poter prescindere dal lignaggio ovvero dalla discendenza familiare. Nell’ordinamento giuridico del modo arabo, specialmente fra IX e XIII secolo questo aspetto ‘razzistico’ della servitù non sembra essere contemplato, si diventa schiavi per debiti, per scelte religiose, per prigionia di guerra e ci si può riscattare sostanzialmente attraverso la conversione, il servizio militare, la maternità o il matrimonio di una donna con un uomo libero, l’affrancamento stesso di uno schiavo ricorre spesso come un sistema di compensazione sostitutivo di varie pene. E’ provato che il potere se ne servì anche nell’ambito militare, da cui emerse di fatto una nuova casta che prima difese e poi ereditò la gestione dell’impero arabo-musulmano. Inutile dire che al giorno d’oggi gran parte dell’Islam ha preso le distanze da questo ordinamento, detto ciò è indubbio che la schiavitù fosse contemplata e legiferata nell’ambito del diritto pubblico e privato fin dalle sue origini, al contrario di quanto ad esempio avvenne nel mondo cristiano.

La schiavitù non era negoziabile dal diretto interessato, non si poteva cioè ‘vendere’ la propria libertà se non nell’unica eccezione della schiavitù per debiti. Se ne faceva largo impiego come collaboratori domestici, nella raccolta della legna, nel lavoro agricolo, nella costruzione di infrastrutture, per lo più infedeli o apostati: i credenti musulmani venivano ridotti in schiavitù solo per un grave disonore associato a un debito, oppure se uno che fosse già nella condizione dello schiavo quando si convertiva all’islam, o ancora nel caso di qualcuno che avesse abiurato la religione del profeta. Si conoscono anche schiavi impiegati come guardie del corpo o come guarnigioni di complemento, indicati come mamluk. I famosi ‘Mamelucchi’, di cui parleremo più diffusamente in seguito. Un altro aspetto proprio dell’Islam era la regolamentazione del diritto su questo tema, ogni schiavo nel diritto islamico doveva essere trattato con dignità e poteva disporre di una propria autonomia rispetto alle libertà personali, anche sposarsi ad esempio ed era proibito nel modo più assoluto abusare di una serva (o meglio, solo il padrone poteva avere rapporti con lei, se consenziente). Inoltre si registra un precetto di particolare rilievo per la religione musulmana, che è l’opportunità di affrancare uno schiavo indicata come il modo più semplice per guadagnarsi un’indulgenza, qualora ad esempio si fosse compiuto un delitto o addirittura un omicidio. Il padrone che non potesse permettersi più di mantenere il proprio schiavo, era costretto a liberarlo o venderlo.

Si fa presente inoltre l’uso da parte del mondo arabo di rendere schiavi preferibilmente i cosiddetti ‘etiopi’, ma non per motivi di inferiorità razziale bensì per ragioni di opportunismo politico: si indicavano infatti con questo nome gli abitanti dell’Africa subsahariana o ‘di colore’, spesso alleati dei Bizantini e dunque visti come nemici naturali. La compravendita era pure soggetta a leggi particolari, ad esempio dalla stipula dell’accordo fino al perfezionamento, fatto salvo il diritto di recessione da entrambe le parti, la custodia in carico al venditore ma il mantenimento al compratore. Nel caso in cui l’oggetto dell’accordo fosse di genere femminile, si poteva recedere qualora l’aspetto o le condizioni fisiche della donna si constatassero mutate dal primo accordo al momento della consegna, ad esempio qualora venisse ceduta ad altri o fatta oggetto di attenzioni sessuali. In quel caso era lecito recedere dal contratto, richiedendo un risarcimento. Lo schiavo inoltre non aveva capacità giuridica, non poteva essere capo di una comunità, non poteva esercitare il giudizio in sede legale, non poteva testimoniare in un processo e non poteva possedere beni essendo egli stesso merce. Lo schiavo poteva nascere in condizione di servitù o ritrovarsi prigioniero per guerra, grave disonore, debito. Il figlio di una schiava riconosciuto da un uomo libero, acquisiva i diritti di quest’ultimo. Libero si considerava anche il figlio di una schiava se il padre non ne conosceva la condizione di servitù al momento del concepimento. Uno schiavo era in grado di firmare esclusivamente tre tipi di contratto: quello del proprio affrancamento, quello del proprio matrimonio (esclusivamente fra schiavi) ed eventualmente quello del divorzio. L’affrancamento si poteva ottenere tramite il pagamento del proprio valore, in caso di morte del padrone, se donna poteva ottenere la libertà nel momento in cui avesse dato un figlio al suo padrone. Lo schiavo affrancato non si poteva ereditare. Era inoltre invalido un matrimonio tra un padrone e la propria schiava o viceversa. Se un uomo libero non era in grado di pagare la dote a una donna libera, allora poteva sposare una schiava qualora non fosse di sua proprietà.

Da un punto di vista dottrinale il Corano non ratifica né proibisce formalmente la servitù, ma determina in alcuni versetti una sorta di normativa a riguardo. In particolar modo nella Sura della Luce (24:58) si esorta il credente ad assicurarsi che i propri servi, al pari dei minorenni, chiedano sempre il permesso prima di entrare prima della preghiera dell’alba, quando si depongono gli abiti a mezzogiorno, dopo la preghiera della sera, quando cioè siano esposte le nudità del padrone. In qualsiasi altro momento del giorno sono liberi di andare e venire per cause di servizio. Nella Sura delle Donne (4:36) si impone di fare del bene ai parenti, agli orfani, ai poveri, ai vicini, ai compagni di viaggio e agli schiavi, perché Dio non ama superbi e vanesi. Nella Sura della Luce (24:58) si raccomanda la liberazione di uno schiavo per espiare un peccato. Nella Sura delle Donne (4:92) si afferma che chiunque uccida un credente per errore, può riparare liberando uno schiavo credente e pagando un risarcimento alla famiglia della vittima, se questa non appartiene a un nemico dell’assassino o a un empio. Chi non può permettersi di fare questo, può cavarsela ugualmente digiunando due mesi consecutivi. Oltre a questo, è previsto l’affrancamento di uno schiavo in caso di spergiuro, o in alternativa digiunare tre giorni. Non si possono ridurre in schiavitù i popoli del libro, vale a dire cristiani ed ebrei, tranne quando trascurino di pagare la tassa prevista per la devozione a una religione diversa dall’Islam. Sempre nella Sura delle Donne, si afferma che non si possono sposare le proprie serve, ma chi non possa permettersi una moglie credente può sposare la serva di qualcun altro. Nella Sura delle Fazioni alleate, si afferma che Dio dichiara spose lecite le schiave acquisite come preda di guerra. Dovremmo fare alcune precisazioni rispetto a quanto detto fin ora, sul diverso trattamento degli schiavi nell’Islam delle origini, del medioevo, e nella tratta del Nuovo Mondo. Là dove infatti in America lo schiavo era trattato come un animale, lo schiavismo arabo era soggetto a un sistema garantista e almeno in teoria a un dignitoso trattamento. Inoltre l’arruolamento dei forzati, come fosse una legione straniera, poteva portare gli stessi ad assumere posizioni di potere per meriti in battaglia, come vedremo tra poco, dunque non possiamo dire che vi fosse una discriminazione di tipo razziale simile a quelle riscontrata nel continente americano.

Da servi a padroni. I Mamelucchi.

Fin dagli ultimi anni degli Omayyadi si iniziò a comprare schiavi dalla Persia orientale, dal Khorasan, dalla Transoxiana, dalla Turchia, nel califfato abbasside tra 750-950 la consuetudine si consolidò in particolar modo acquistando schiavi turchi da arruolare e addestrare per il combattimento, nella città Irachena di Samarra si trovava il quartier generale di queste truppe. Avvenne però qualcosa di inaspettato, poiché i signori locali continuarono a reclutare altri schiavi per affidar loro il controllo del territorio affidato in appalto dal Califfo. Servi mercenari vennero sempre più spesso inseriti nelle guarnigioni e premiati quando meritevoli, questo in effetti è molto strano e si direbbe proprio del mondo musulmano, il fatto cioè che uno schiavo potesse far carriera salendo nelle gerarchie militari. Quando poi si convertissero all’Islam, essi avevano l’opportunità di consolidare i privilegi acquisiti. Pian piano questo controllo diventò sempre più motivo di frammentazione dal potere centrale, fino al punto in cui confederazioni di schiavi mercenari arivarono a potersi permettere l’esercizio di una giurisdizione ‘di fatto’. Da servi a signori della guerra. Il Califfato si ritrovò sempre più suddiviso in piccole unità. In contesto non militare, venne fatto anche un largo impiego di schiavi nelle colture intensive, non più nell’ambito familiare ma integrandoli nel sistema produttivo, sfruttandoli più nello stile dello schiavismo coloniale. Nell’869-883 si registra la Rivolta degli Zanj in Iraq. Con questo nome (da cui gli Zanni delle maschere medievali e rinascimentali in Italia) si indicavano allora gli schiavi neri provenienti dalle coste africane orientali, impiegati nella realizzazione di infrastrutture, nell’agricoltura e nelle miniere di sale attorno a Bassora. Venivano dalle coste africane sull’Oceano Indiano, erano di lingua bantu essendosi spostati verso la costa per trovare un buon impiego nelle città portuali. Lo sfruttamento intensivo portò alla rivolta già verso la fine del VII secolo, sotto al guida del “Leone Riyah”, per ben due volte in cinque anni ma venne sedata dal Califfo. Nel IX secolo il numero di schiavi era talmente cresciuto che la tensione non fu domabile e a capo della rivolta venne a mettersi un persiano libero, Ali Ibn Muhammad. Gli schiavi iniziarono a reclutare e pian piano cominciarono le rivolte nel luogo di lavoro, le confische dei beni ai padroni. Si arricchirono in questo modo, arrivarono a fondare una capital al Mukhtara e due anni più tardi a conquistare Bassora, poi al-Wasit. Tuttavia il loro sistema dipendeva molto dalle forniture dei beduini, al Califfo bastò assediarne i villaggi per stroncarne le fonti di approvvigionamento. L’embargo finì per farli crollare. Alcuni Zanj vennero corrotti incorporandoli nell’esercito califfale, la rivolta fu stroncata. A partire dal X secolo si iniziarono a veder comparire sulla carte i primi regni dei cosiddetti Mamelucchi, Mamluk, i quali non erano altro che schiavi-mercenari impiegati come soldati, i quali iniziavano a trovarsi in posizioni di potere tali da smembrare i regni in potentati sempre più piccoli. Col tempo arriveranno essi stessi a trasmettersi il potere per via ereditaria di padre in figlio, come una nuova dinastia. In buona sostanza, la società musulmana aveva prodotto sempre più ampi strati di popolazione asservita e impiegata su vasta scala nelle costruzioni o nell’agricoltura, o nella difesa del territorio. L’alto numero e l’organizzazione permise loro di assumere il controllo della società stessa, creando dei poteri di fatto sul territorio, trasformandosi a loro volta prima in signori della guerra e successivamente in nuove linee dinastiche, da servi a padroni. Il problema era proprio nello sfruttamento economico di una servitù reclutata con la forza, schiavi e militari non migravano per loro volontà, specialmente le donne. Lo status di schiavo comportava nella maggior parte dei casi una deportazione da un luogo natio a uno di destinazione, cosa che aggravava le condizioni di miseria e precarietà. Verso l’Ottocento questo sistema entrò in crisi e già nel 1846 il bey tunisino raccomandava la liberazione degli schiavi affinché non andassero a porsi sotto l’autorità coloniale In altri paesi del Nord Africa, l’abolizione avvenne per volontà dei protettorati stessi nel periodo tra le due guerre mondiali. L’ultimo ad abolire la schiavitù fu lo stato della Mauritania nel 1980.

Leggi l’articolo completo di Letizia Lombezzi


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L’Enciclopedia della Sunna si sofferma a lungo sulla pratica dello zakat, ovvero la purificazione della ricchezza in cui aveva un ruolo di prim’ordine la liberazione volontaria degli schiavi da parte degli uomini liberi che ne possedessero, come atto di pietà raccomandabile e virtuoso.

Cita a questo proposito la storia di Abu Bakr, primo califfo dell’Islam, che pagò personalmente il prezzo di molti schiavi per liberarli dai loro padroni pagani, si dice che per questo avesse speso delle somme altissime, per dare l’esempio a tutta la umma. Un uomo che fosse molto ricco e facoltoso, doveva praticare questa forma di pietà per rendere accettabile la propria posizione, qualcosa di più che una semplice elemosina. Una delle pratiche raccomandate era proprio l’acquisto e la liberazione degli schiavi. Nella prima fase dell’espansione islamica, si prendevano schiavi tra i prigionieri non musulmani. In XIII secoli si stima la deportazione di 11-18 milioni di persone, più della tratta atlantica europea. Il Corano tuttavia è per la liberazione progressiva degli schiavi, sebbene la tradizione islamica abbia di fatto ratificato lo schiavismo, in particolar modo la schiavitù sessuale delle donne. Sposare una prostituta per toglierla dalla strada, o dare a un uomo la dote per sposarla, sono considerati atti di pia devozione, mentre è considerato deplorevole costringere una donna a prostituirsi se non vuole. In sostanza nel Corano la dottrina è molto chiara nello spingere tutti i musulmani in tempo di guerra o pace a lottare affinché si possa arrivare a un mondo in cui la schiavitù non esista. In questo senso, non possiamo dire che l’Islam legittimi la schiavitù. E’ del resto noto che se pure il Cristianesimo blandisce a parole la schiavitù, nei fatti il sistema feudale basato sulla servitù della gleba fu ratificato dal clero per secoli e uomini pii, devoti, hanno praticato lo schiavismo nel Nuovo Mondo conciliando l’universalismo e il cosmopolitismo del messaggio evangelico con le malsane dottrine dell’inferiorità razziale dei figli di Cam. Nel complesso, possiamo dire che l’Islam va oltre. Non incita il ricco ad elemosinare un obolo al povero, ma letteralmente ad affrancare la servitù. Di fatto nell’Islam lo schiavo ebbe opportunità di riscatto che il mondo cristiano non è mai stato in grado di dargli.

L’Enciclopedia libera cita alcune fonti relative allo schiavismo endemico in Africa, precedente la tratta araba ed europea, avente caratteristiche e modalità proprie.

Vi erano forme di schiavismo autoctono in molti popoli dell’Africa in cui non si distinguevano diritti e doveri dello schiavo e dell’uomo libero, o altre forme di asservimento. In molti casi la condizione stessa dello schiavitù era temporanea e il servo stesso può guadagnare dal proprio lavoro, accumulando proprietà. In molti regni africani, più di metà della popolazione era formata da schiavi. Tra i Songhai ad esempio s’intendevano per servi i contadini vassalli, impiegati soprattutto nei lavori agricoli dalle classi dominanti, potevano avere proprietà private e comprarsi la libertà, il matrimonio tra caste diverse era permesso. In altri casi la schiavitù era conseguenza di un crimine commesso, una pena sostitutiva del carcere e dunque soggetta a maggior disciplina e crudeltà. Nei mercati del Nord Africa si commerciavano schiavi con l’Europa da molto prima dell’Islam. La tratta delle popolazioni slave era talmente diffusa e con tali proporzioni, che la parola inglese per indicare il servo (slave) deriva dalla parola ‘slavo’. Da queste precisazioni possiamo dedurre forme e gradi diversi di servitù praticate nel mondo antico non solo in Africa. Erano schiavisti i Romani, lo erano i Greci, lo erano tutti i popoli del mondo antico. Quel che ha causato un profondo cambiamento nella tratta è stata l’introduzione del dromedario nel trasporto attraverso il deserto, avvenuta intorno al X secolo d.C., in seguito alla quale tutto il commercio ha ricevuto un’accelerazione, e le varie rivoluzioni industriali che hanno accelerato i processi produttivi intensificando tutti gli scambi commerciali, non solo quello dei mercanti di uomini: la svolta dell’Anno Mille, il progresso tecnologico tra Cinquecento e Ottocento, secoli in cui la tratta ha assunto proporzioni da genocidio. Il sultano marocchino Mulay Isma’il detto il ‘sanguinario’, vissuto nella seconda metà del XVII secolo, aveva ai suoi ordini una Guardia nera di 150.000 schiavi. Tra IX e X secolo gli Arabi iniziarono a commerciare schiavi attraverso l’Oceano Indiano col Vicino Oriente e l’India, un commercio che divenne sempre più numeroso man mano che le navi consentivano un trasporto sempre maggiore e le piantagioni in oriente richiedevano sempre più manodopera, si arrivò a cifre impressionanti, fino ai 50.000 schiavi deportati a Zanzibar nell’Ottocento. Man mano che il commercio si consolidava, i trafficanti di uomini si affidarono sempre più a intermediari locali, forze militari da loro stessi armate per consolidare il dominio sui popoli razziati. Famoso lo schiavista Tippu Tip, che divenne l’uomo più ricco di Zanzibar con sette piantagioni e più di diecimila schiavi. La tratta atlantica è stata paradossalmente l’ultima e la più breve come durata. Iniziò il Portogallo con le sue piantagioni di canna da zucchero a Sao Tome, CapoVerde, i Caraibi, nel XVI secolo. Seguirono gli Spagnoli. Nel 1452 persino il papa Nicola V emanò la bolla Dum Diversas, con cui dava diritto al re Alfonso V del Portogallo di ridurre in schiavitù qualsiasi saraceno o pagano, senza fede. I protestanti non ritennero di dover ricorrere ad alcuna giustificazione dottrinale. Con l’arrivo degli Inglesi nel Nord America, il monopolio della tratta passò a loro. Il momento culminante fu l’Ottocento, quando il Golfo del Benin divenne tristemente noto come la Costa degli Schiavi. I sistemi schiavistici preestistenti vennero potenziati dai mercanti su larga scala. Inizialmente la forza lavoro servile era costituita principalmente da criminali, debitori o prigionieri di guerra. Con l’aumentare del volume in questo commercio, non si badò più a chi venisse fatto prigioniero ma si andava semplicemente a razziare per catturare prigionieri. I principali regni coinvolti nella tratta furono gli Oyo (Yoruba), Congo, Benin, Bambara, Khasso, Fouta Djallon, Kaabu. Quando la tratta venne resa illegale dal Parlamento Inglese, molti di questi re protestarono e finirono in miseria.

In conclusione, la tesi dell’Islam che ratifica lo schiavismo è discutibile, nel senso che dal punto di vista dottrinario come abbiamo visto prevede al contrario una lotta al sistema della schiavitù e tra i popoli colonizzati dai diversi imperi giunse al contrario come liberatore, dando un’opportunità di riscatto ai popoli conquistati se si convertivano alla nuova religione, consentendo anche agli schiavi una carriera politica e militare nella Umma. Il commercio degli schiavi non è stato praticato dai musulmani più di quanto non lo sia stato dai cristiani, le proporzioni della tratta sono cresciute a causa dell’avidità degli uomini, di un’economia sempre più competitiva, dello stesso progresso tecnologico che ha dato maggiori possibilità agli oppressori di esercitare la loro violenza, senza che le autorità religiose intervenissero con la necessaria determinazione per fermare quest’infame commercio, nonostante le tre maggiori religioni monoteiste in teoria fossero contrarie allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Anche la dottrina dei neri che schiavizzano i neri è il frutto di una legittimazione coloniale dello schiavismo: il fatto che alcune confraternite di criminali organizzati si siano distinte nella tratta, non solo con gli Europei ma con tutto il mondo allora conosciuto, arrivando ad accumulare un potere economico e militare sempre maggiore fino al punto di fondare degli imperi, non vuol dire che quei popoli fossero da additare come responsabili della tratta medesima. Responsabili furono coloro che vi parteciparono e la imposero non solo alle vittime, ma agli stessi sudditi coinvolti nel traffico di esseri umani, una ristretta minoranza di collaborazionisti, non quelli che la subirono ovvero la maggioranza degli abitanti del continente africano. Di sicuro l’Islam non è stato responsabile di questo commercio ma al contrario, la sua dottrina si è sempre posta in posizione ostile allo schiavismo come sistema di oppressione dell’uomo sull’uomo.

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