Dalla pressione fiscale all’universo. La rivoluzione dell’intelligenza diffusa

Illustration artwork by Federico Berti. Created with Gimp/GPT

Dalla pressione fiscale all’universo.

La rivoluzione dell’intelligenza diffusa

Articolo di Federico Berti

L’arte della memoria applicata alla vita quotidiana, all’informazione, alla politica, rende chi la pratica meno soggetto alla prevaricazione delle narrazioni vampirizzanti, meno perso tra i non-luoghi della schizofrenia semantica nella comunicazione istituzionale. Proprio stamattina sui giornali ho avuto la triste ventura di leggere una dichiarazione governativa che ha del surreale, in cui si vuol giustificare l’aumento della pressione fiscale con la crescita dei posti di lavoro: in pratica si pagano più tasse perché più gente lavora. Il bilancio dell’erario segnala in modo chiarissimo che gli italiani nei primi sei mesi dell’anno, han pagato quasi venti milioni in più di tasse rispetto all’anno scorso e questo secondo i comunicati stampa istituzionali sarebbe dovuto al fatto che trecentocinquantamila persone in più sarebbero uscite dalla disoccupazione o dal sommerso, quindi più gente paga le tasse. Per la precisione sono aumentati posti di lavoro in fascia media e per classi di età superiori a cinquant’anni.

Proviamo a visualizzare un palazzo a testa di porco, con la fessura del salvadanaio in fronte. Tagliamolo a metà e guardiamolo in prospettiva per vedere l’interno, come se potessimo scrutare attraverso la nuca del porcello. L’interno di quel palazzo contiene due mazzette di banconote, una molto grande che rappresenta i milioni di tasse pagate complessivamente dagli italiani nei primi sei mesi di quest’anno, una più piccola che rappresenta il surplus, ovvero le tasse pagate in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Porcello, mazzetta grande e piccola. Ora dobbiamo visualizzare mentalmente i lavoratori in più, una folla indistinta di anziani che divideremo simbolicamente in tre schiere e mezza; disponiamo la folla davanti al porcello e immaginiamo in primissimo piano le due mani di un contribuente, nel palmo sinistro sei grandi monete d’oro per rappresentare il suo potere d’acquisto, nell’altro quattro monete per rappresentare le tasse, così avremo subito visivamente un’idea del 43% di pressione fiscale. Ora aggiungiamo, sotto le grandi mani in primo piano del contribuente e davanti alle tre schere e mezzo di lavoratori anziani in più, una bilancia: nel piatto di sinistra sei pile da tre mazzette e mezzo di banconote ciascuna, il reddito complessivo dei lavoratori, nell’altro piatto quattro pile da tre mazzette e mezzo, ovvero il gettito fiscale.

Se riesci a visualizzare la testa del porcello divisa a metà con le due mazzette di banconote, le tre schiere e mezzo di anziani, le due mani con quattro e sei monete, la bilancia con quattro e sei mazzette, allora puoi proseguire in questa lettura; in caso contrario fermati, prendi un bel respiro, torna indietro e ricomincia da capo, finché non ti appare visivamente l’immagine. Devi consolidarla quella figura, immagina di toccare la bilancia, sentire il fruscio delle banconote, il brusio della folla, cammina in mezzo alle schiere, guarda quelle grandi mani sopra di te come fossero un carro allegorico di carnevale; entra nella nuca del porcello per vedere con i tuoi occhi i due grandi mucchi di banconote, quello del gettito fiscale complessivo e quello dell’aumento di tasse versate nel primo semestre di quest’anno. Quando l’immagine è nitida, puoi passare alla fase successiva.

Prova ora a immaginare le due grandi mani deporre le loro monete sui due piatti della bilancia, mantenendo sempre la stessa proporzione, sei a sinistra, quattro a destra, si fanno avanti altre due mani per compiere lo stesso gesto, poi altre due e due ancora, in base alla nostra esperienza diretta quella bilancia si sposta o no dalla posizione in cui si trova? La risposta è palesemente negativa, poiché la proporzione rimane sempre quella se tutti pagano le stesse tasse in base al loro scaglione di reddito. Quindi all’aumento del numero complessivo dei posti di lavoro, non aumenta la pressione fiscale, ovvero l’equilibrio dei due piatti, aumenta semmai il mucchietto piccolo delle banconote che avevamo visualizzato nella testa del porcello, ovvero il gettito fiscale. Più lavoratori, più tasse, non più pressione sul singolo contribuente.

Visualizzando questa ennesima bizzaria istituzionale sentiamo subito che qualcosa che scricchiola, poiché i dati riconosciuti dal governo, confermano che la pressione fiscale è aumentata davvero e di quasi due punti percentuali, quindi i piatti si stanno effettivamente sibilanciando tra loro, vale a dire che il piatto delle tasse pesa di più rispetto al piatto del reddito. Com’è possibile? Dev’esserci un personaggio in questo racconto, che il narratore ha opportunamente omesso. Questo personaggio è l’inflazione, un topolino che si trova solo sul piatto dei redditi (non su quello delle tasse) rosicchiando le banconote in tasca ai contribuenti. L’inflazione è cresciuta più degli stipendi ed è questo il fenomeno che riduce il potere d’acquisto. Più banconote, ma meno valore.

Per capire come il topolino dell’inflazione influenzi la pressione fiscale, dobbiamo inserire nel nostro scenario un altro elemento chiave, quello delle tasse a scaglioni di reddito: una scala a gradoni che parte dalla folla e sale verso il cielo, da sinistra verso destra, su ogni scalino una cassetta delle offerte nel versare una moneta in più. Chi sale uno scaglione di reddito paga più tasse, pur avendo l’inflazione eroso il valore del denaro che gli rimane in tasca: ecco spiegato il motivo per cui si alleggerisce il piatto di sinistra, ma non quello di destra.

Una folla anonima di camerieri, braccianti, garzoni, operai non specializzati nella fascia del reddito medio-basso, su cui pesa di più l’aumento della pressione fiscale, ha ricevuto un aumento sullo stipendio e quindi si ritrova ora nello scaglione più alto , deve di più allo stato, pur trovandosi più povera. Sale nella scala del reddito nominale, si leva prima il cappotto, poi la maglia, poi la camicia, finché non resta in mutande. Questo fenomeno su cui è in corso un vivace dibattito viene chiamato fiscal drag, immaginiamolo come il croupier al banco di un casinò che rastrella le fiches dal tavolo per infilarle nella fessura sulla testa del porco. Lo Stato in questo modo lucra sull’aumento dell’inflazione, succhiando ancor più il sangue del popolo minuto.

Ma non finisce qui. Per capire meglio l’esito tragicomico del nostro racconto dobbiamo prendere in considerazione un ulteriore personaggio, un viscido, avido, truffaldino mercante, che possiamo rappresentare con la maschera di Pantalone, il quale guarda la folla e ride della grossa: cosa avrà mai da ridere, chiederà il lettore? Si gode la politica governativa della pace fiscale, ovvero il governo che indugia nel recupero dei crediti fiscali dagli evasori. Dato che un lavoratore dipendente ha le trattenute in busta paga e non può evadere il fisco, mentre sappiamo che molti imprenditori lo fanno dichiarando meno di quanto hanno guadagnato. La maschera del giullare affarista, somiglia a quella di un ladro che fugge con un sacchetto di monete in mano, rubate alle casse dello stato, ovvero nella nuca del porcello.

Secondo taluni la narrazione disfunzionale delle istituzioni, data la sua completa alienazione dalla realtà, sarebbe un indice d’incompetenza; da parte mia non credo si possa sminuire il ruolo di una classe politica che ha saputo rendersi credibile al punto da elevare sé stessa alla posizione in cui si trova: parlare di semplice incompetenza, ritengo sia pericolosamente riduttivo. Al contrario questo tipo di narrazione è portatrice di un metodo, un modello semantico preciso, una forma di comunicazione irrazionale che punta alla schizofrenia delle masse aumentando il livello di polarizzazione e scontro. Dietro quella stessa persona che rilascia vaticinanti dichiarazioni un tanto al chilo, dobbiamo sempre tener conto dei suoi elettori, i quali ne ratificano il ragionamento e portano l’intero dibattito politico in un cul de sac, dal quale si esce solo alzando il livello di tensione: vince chi urla di più o chi mena più forte. L’essenza stessa del fascismo è rimbecillire il maggior numero possibile di persone da usare poi come massa di manovra, alzare il livello di analfabetismo funzionale per avvantaggiarsi della stupidità diffusa, consolidando un’oligarchia della mediocrità.

Queste forme di visualizzazione servono a semplificare i meccanismi di comprensione e aiutano a rimanere connessi con la realtà: non serve una ricerca approfondita per rendersi conto che la narrazione istituzionale è sbilenca e si smonta da sola, quello che abbiamo costruito insieme è un palazzo della memoria, un albero della vita, un percorso di buon senso. Applicare la disciplina della meditazione attiva alla realtà quotidiana personale e collettiva è un atto di rivolta, il più pericoloso, quello che più temono gli apostoli dell’oscurantismo: le contraddizioni interne ad ogni forma di narrazione disfunzionale, appariranno nella loro patetica miseria.


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