Garlasco la nuova Bibbiano. Giù le mani dalla magistratura!

Quasi vent’anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il caso di Garlasco torna a dominare le prime pagine e i feed dei social media, ma non sono tanto le ipotesi (per ora, soltanto ipotesi) di riapertura del caso ad attirare la nostra attenzione, quanto il modo in cui i social media di regime stanno trasformando un delicato procedimento giudiziario in un reality show senza fine, con conseguenze che vanno ben oltre la cronaca giudiziaria.
La situazione attuale è in effetti molto più complessa di quanto non appaia sui titoli dei giornali: è vero che la Procura di Pavia sta valutando se procedere con la riapertura delle indagini su Andrea Sempio, basandosi su tecniche forensi più avanzate per l’esame delle impronte digitali, ma non ci sono ancora elementi per prendere delle posizioni intorno al caso, per ora è solo un tentativo in corso di valutazione. Eppure, sui social media, la sentenza sembra già scritta a priori, il tribunale del popolo ha emesso i suoi verdetti attraverso un cicaleccio di commenti che invadono quotidianamente le piattaforme. Ogni giorno, influencer improvvisati, youtuber in cerca di visualizzazioni a buon mercato e comuni cittadini si trasformano in investigatori, giudici e pubblici ministeri, diffondendo teorie, opinioni e presunte rivelazioni che spesso non hanno alcun fondamento nei fatti processuali reali.
Il meccanismo è sempre lo stesso: una notizia viene semplificata, drammatizzata e trasformata in contenuto emotivamente coinvolgente, ne risulta una narrazione totalmente polarizzata dove esistono solo buoni e cattivi, innocenti e colpevoli, verità nascoste e complotti da svelare, squadre che si affrontano in campo. Quando dico ‘squadre’, intendo proprio riferirmi a quest’idea di ‘squadrismo digitale’ che sta diventando sempre più condizionante; la semplificazione non solo distorce i fatti, ma crea aspettative irrealistiche nei confronti del sistema giudiziario stesso e genera pressioni indebite su tutti i soggetti coinvolti.
La famiglia della vittima, gli indagati, i loro legali e persino i magistrati si trovano così a operare sotto i riflettori di milioni di pseudo-esperti che commentano, criticano e giudicano ogni singola mossa procedurale senza possedere le competenze necessarie per comprendere la complessità del diritto processuale: non si può lavorare serenamente quando ogni decisione viene immediatamente sottoposta al giudizio di una folla digitale che trasforma la giustizia in spettacolo.
Dietro l’apparente spontaneità della mobilitazione social intorno al caso Garlasco si nasconde però un fenomeno ancora più preoccupante per la tenuta democratica del nostro paese: da tempo ormai (possiamo dire dall’era del berlusconismo) gruppi politici e movimenti organizzati sistematicamente si servono dei casi di cronaca giudiziaria ad alta visibilità mediatica per condurre campagne di delegittimazione contro il sistema giudiziario italiano. Sono campagne che seguono sempre la stessa logica: si identifica un caso che può generare forte emotività pubblica, si alimenta deliberatamente la polemica attraverso canali social e agenzie di comunicazione specializzate, si accusano i magistrati di essere politicizzati o incompetenti, e infine si presenta l’intera magistratura come un ostacolo al volere popolare, un nemico delle istituzioni democratiche. È esattamente la stessa tattica già sperimentata nel caso di Bibbiano, dove un complesso fatto di cronaca è stato trasformato in un’arma di propaganda politica per minare la fiducia nelle istituzioni di garanzia.
Questa strategia di delegittimazione non nasce dal caso specifico e non ha come obiettivo la ricerca della verità giudiziaria; al contrario, si utilizza la cronaca solo come pretesto per condurre un attacco più ampio contro l’indipendenza della magistratura, che dalle cronache di questi ultimi due anni pare stia ponendosi come l’ultimo baluardo costituzionale contro derive autoritarie e abusi di potere, non solo in Italia a quanto pare. La magistratura viene così dipinta come un corpo separato e ostile alla volontà popolare, preparando il terreno per future riforme che potrebbero comprometterne l’autonomia e l’efficacia. Molti cittadini potrebbero chiedersi perché dovrebbero preoccuparsi di queste dinamiche, percependole più che altro come questioni tecniche che riguardano solo gli addetti ai lavori: si sottovaluta la pericolosità di questi attacchi e difficilmente si riesce a inquadrarne la reale strumentalizzazione politica. In realtà, l’indipendenza della magistratura rappresenta una delle colonne portanti di ogni democrazia moderna, e la sua erosione ha conseguenze dirette sulla vita quotidiana di tutti i cittadini.
La magistratura indipendente è un’istituzione che garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, anche degli stessi governanti. Protegge i diritti dei più deboli contro gli abusi dei più forti, assicura che nessuno, nemmeno chi detiene il potere politico o economico, possa considerarsi al di sopra delle regole. Quando la fiducia nei giudici viene minata attraverso una scriteriata diffusione di veleni, quando i procedimenti giudiziari vengono trasformati in spettacoli mediatici, quando la politica interferisce nell’amministrazione della giustizia, l’intero sistema di garanzie democratiche entra in crisi. L’esperienza di altri paesi dove l’indipendenza dei magistrati è stata compromessa mostra chiaramente le conseguenze di questo processo: aumento della corruzione, violazione sistematica dei diritti civili, impunità per i potenti e oppressione dei più deboli. La magistratura non è un corpo separato dallo stato, ma ne rappresenta la funzione di garanzia più importante, quella che assicura che le leggi approvate dal parlamento vengano effettivamente rispettate da tutti, senza eccezioni.
I social media non sono intrinsecamente negativi per la democrazia, al contrario possono rappresentare strumenti preziosi per l’informazione, la partecipazione civica e il controllo democratico delle istituzioni; il problema nasce quando questi strumenti vengono utilizzati in modo disfunzionale, privilegiando l’emotività sui fatti, la semplificazione sulla complessità, la polarizzazione sul dibattito razionale. Gli algoritmi che governano le piattaforme social tendono a premiare i contenuti che generano maggiore engagement, ovvero quelli che provocano reazioni emotive forti come rabbia, indignazione o paura: questo meccanismo favorisce naturalmente la diffusione di contenuti polarizzanti e controversi rispetto a quelli informativi e equilibrati. Un video che grida al complotto o alla giustizia negata otterrà sempre più visualizzazioni e condivisioni di un articolo che spiega con precisione le procedure processuali o le garanzie costituzionali.
La soluzione a questi problemi non può essere la censura o la limitazione della libertà di espressione, valori fondamentali della democrazia che devono essere sempre protetti: piuttosto, è necessario promuovere una maggiore consapevolezza critica nell’uso dei media digitali e una migliore comprensione del funzionamento delle istituzioni democratiche. I cittadini devono imparare a distinguere tra fonti affidabili e contenuti di dubbia provenienza, tra fatti documentati e speculazioni, tra cronaca giudiziaria e propaganda politica: è fondamentale sviluppare l’abitudine di verificare le informazioni prima di condividerle, di cercare fonti multiple e autorevoli, di rispettare la complessità dei problemi invece di cercare sempre soluzioni semplici a questioni complesse. Ma soprattutto, ognuno deve sentirsi responsabilizzato a militare per un’informazione consapevole, ognuno di noi può contrastare (nel suo piccolo) questa nebulosa di follia collettiva che avanza.
I media tradizionali hanno a loro volta la responsabilità di mantenere standard elevati nell’informazione giudiziaria privilegiando i fatti alle polemiche, spiegando le procedure legali invece di alimentare il sensazionalismo, educando i cittadini al funzionamento della giustizia invece di trasformare i processi in soap-opera; la cronaca giudiziaria deve tornare a essere informazione di servizio pubblico, non intrattenimento commerciale. La classe politica dal canto suo dovrebbe assumere un atteggiamento responsabile smettendo di utilizzare i casi giudiziari per propaganda elettorale e rispettando rigorosamente l’indipendenza della magistratura: un politico che attacca la magistratura va riconosciuto a priori per quel che è, un pericolo per l’equilibrio dei poteri su cui si regge la democrazia e come tale, non lo si può votare senza aspettarsi una deriva autoritaria dal suo mandato.
Ritornando al caso specifico, è importante sottolineare che le nuove indagini su Andrea Sempio si basano su elementi scientifici concreti, che meritano di essere valutati con la dovuta serietà e professionalità: le analisi più avanzate del DNA, le nuove perizie sulle impronte digitali e la rivalutazione della famosa “impronta 33” rappresentano sviluppi tecnici legittimi che possono contribuire alla ricerca della verità. Tuttavia questa valutazione (che si può avvalere oggi di nuove tecnologie non ancora introdotte vent’anni fa), deve avvenire esclusivamente nelle sedi appropriate, ovvero nelle aule di tribunale, attraverso l’incidente probatorio e le altre procedure previste dal codice di procedura penale. I magistrati devono poter operare in un caso di cronaca come questo senza pressioni esterne, le famiglie coinvolte devono essere rispettate nel loro dolore e nella loro dignità, e la verità deve emergere attraverso prove documentate e procedure trasparenti. Soprattutto, se l’utilizzo di nuovi strumenti dovesse portare all’emergere di elementi, questo non si dovrebbe considerare un motivo di sfiducia nella magistratura, che comunque nei tre gradi di giudizio aveva già valutato tutte le prove allora disponibili, con gli strumenti allora conosciuti.
È fondamentale che il dibattito pubblico mantenga la distinzione tra ciò che è possibile discutere legittimamente (le politiche giudiziarie, l’organizzazione della giustizia, le riforme processuali) e ciò che deve rimanere riservato alla valutazione tecnica dei magistrati (la valutazione delle prove, l’applicazione delle norme processuali, le decisioni sui singoli casi). Il caso Garlasco sta diventando molto più di una semplice cronaca giudiziaria: potrebbe evolvere in banco di prova per la capacità della nostra democrazia di gestire il delirio di massa nei social media di regime, senza lasciarsi fuorviare. Quando preferiamo le teorie del complotto ai fatti documentati, stiamo progressivamente minando le fondamenta del nostro sistema democratico. La giustizia ha certamente i suoi limiti, le sue lentezze, le sue imperfezioni, ma rimane l’unico sistema che siamo stati in grado di elaborare fino a questo momento per garantire che le leggi vengano rispettate e i diritti di tutti siano protetti. Difendere l’indipendenza della magistratura non significa difendere questo o quel singolo magistrato, né ignorare i problemi reali nell’amministrazione della giustizia: vuol dire piuttosto difendere il principio fondamentale secondo cui in democrazia nessuno può essere giudice della propria causa, e che esistono istituzioni specializzate, indipendenti, incaricate di applicare le leggi approvate democraticamente dal Parlamento.
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