Zingaro non è un insulto. Oltre lo stigma sociale

Le comunità odierne Sinti, Manouche, Kalo o Romanichal, stanno promuovendo campagne di sensibilizzazione in merito all’uso di termini come zingaro, nomade, gitano, bhoemièn, saraceno, gypsy, che nel corso dei secoli sono stati diffusamente caricati da una connotazione dispregiativa. In modo particolare, zingaro è il più usato per definire i membri di queste comunità linguistiche e culturali, associandolo non solo e non tanto alla mobilità, al nomadismo, alla coesione interna, ma anche al furto, al contrabbando, alla truffa, all’elemosina, al degrado, alla ciarlataneria, alla superstizione, quando non alla tratta umana e alla criminalità organizzata. Per questo motivo si ritiene inappropriato l’uso del termine, in favore degli etnonimi propri delle comunità medesime.
Non si può fare a meno di notare tuttavia che, a fianco della stigmatizzazione, il termine viene spesso associato nell’arte e nella letteratura, a concetti in realtà connotati positivamente, come quello di libertà, anticonformismo, senso della comunità, creatività, vincoli solidaristici, valori nei quali varie ‘comunità immaginate’ si sono talvolta appropriate nel corso dei secoli. Il termine Bohemien ad esempio, tanto caro agli artisti francesi dell’Ottocento, indicava proprio l’antica provenienza delle comunità Rom dalla Boemia, con un lasciapassare delle autorità locali. In Spagna li chiamavano Gitani, in Inghilterra Gypsy, perché li ritenevano provenienti dall’Egitto, tutti termini che in quanto tali non comportavano affatto una connotazione negativa, tutt’altro: si direbbe a questo punto opportuno riflettere meglio sull’origine del termine zingaro, nella prospettiva di liberarlo dal significato oscuro che ha assunto col tempo. Iniziamo dunque a chiederci quale sia in realtà l’origine di questa parola:
Per quel che ne sappiamo, deriva dagli athinganoi, una setta religiosa proveniente dall’Armenia, che intorno al VI secolo dopo Cristo osservava alcune usanze proprie dell’ebraismo, come ad esempio lo shabat, ma praticava la divinazione e varie forme di sincretismo con altre dottrine. Queste confraternite ‘ereticali’ di sacerdoti, scacciate dai luoghi di provenienza, penetrarono nell’impero bizantino vivendo in carovane e praticando il nomadismo, ma non vennero inizialmente perseguitate o disperse, al contrario: godevano di privilegi, come si intuisce dal nome stesso athinganoi che voleva dire letteralmente ‘intoccabili’, cioè uomini liberi. Liberi, nel senso che non si consideravano soggetti alla servitù della gleba, non erano legati a una città, un villaggio un luogo di residenza, e non avevano un padrone.
Alcuni di loro furono consiglieri di re e imperatori, lo stesso Massimiliano II si ritiene che venisse da una di queste confraternite; non erano i primi ad avere quelle caratteristiche e praticare quello stile di vita, se leggiamo l’Asino d’Oro di Apuleio vi troviamo i postulanti della dea Siria, una divinità femminile proveniente dall’Anatolia e rappresentata con due code di pesce — simile a un’Echidna — che si esibiscono come saltimbanchi praticando il fachirismo, ingoiando spade, camminando sui cocci, sputando fuoco. Vivono in carovane e viaggiano continuamente.
Quando nel XIV secolo arrivano in Europa le carovane in fuga dall’India, vengono ragionevolmente accostate alla tradizione degli athinganoi per lo stile di vita che conducono, non per l’etnia a cui appartengono: sono apolidi, uomini liberi non soggetti alla servitù della gleba, filosofi, indovini, guaritori, mercanti, artigiani, domatori di animali, veterinari, viaggiano in carovana e vivono per scelta ai margini della società.
Una delle ipotesi più accreditate collega la partenza dei Rom alle turbolenze politiche e militari che interessarono l’India settentrionale dopo l’Hejira; in particolare, la regione era frequentemente teatro di invasioni e conflitti, soprattutto a causa delle incursioni da parte di eserciti musulmani provenienti dall’Asia centrale. Alcuni storici suggeriscono che i Rom, o almeno una parte di loro, siano stati spinti a emigrare proprio per sfuggire a questi scontri, cercando rifugio e stabilità lontano dalle pressioni politiche e dalle incursioni militari. Un’ipotesi fa riferimento a un conquistatore chiamato Gazni, dal cui nome deriverebbe il termine Gagè con il quale i Rom definiscono tutti coloro che non appartengono alla loro comunità. Potrebbe trattarsi eventualmente di Mahmud di Ghazni, un condottiero musulmano che condusse numerose campagne militari in India tra il X e l’XI secolo, costringendo diverse comunità alla fuga, tra cui, probabilmente, anche i Rom.
In sostanza, la storia della migrazione Rom ha molti aspetti in comune con quella degli antichi athinganoi, questo spiega la declinazione del nome. All’arrivo in Europa, il termine non è ancora connotato in maniera negativa: i Rom sono ‘uomini liberi’, svincolati dalla servitù della gleba e questo li colloca al di fuori della condizione in cui si trova il resto della popolazione, ma non vi sono ancora delle vere e proprie persecuzioni di massa.
Queste iniziano a verificarsi in epoca tridentina, poiché gli zingari, pagani, praticano la divinazione, son musicisti, artisti, vengono dunque stigmatizzati dalle istituzioni religiose di allora, cattoliche, ortodosse e protestanti. Viene dunque a pendere su di loro una demonizzazione violenta e tutti gli stereotipi normalmente associati a queste forme di propaganda diffamatoria. Da quel momento il termine viene associato al furto, al rapimento dei bambini, alla criminalità organizzata e così via. Purtroppo questo comporta una persecuzione anche fisica, che inizia con le guerre di religione e culmina nella Shoah nazista.
E’ comprensibile dunque, il disprezzo manifestato dalle comunità Rom per il termine ‘zingaro’, che del resto come abbiamo osservato qui non ha una diretta correlazione con loro, ma indica più che altro una condizione sociale, uno stile di vita e una serie di tradizioni ricorrenti. Le istanze della comunità Rom sono più che ragionevoli dunque, soprattutto se consideriamo che una buona metà dei discendenti è ormai perfettamente integrata nel sistema del post-capitalismo. Non tutti i Rom sono zingari, non tutti gli zingari sono Rom. Trovo dunque più che ragionevole la proposta di riflettere sulla distinzione tra questi due termini, che a questo punto mi sento di integrare con la proposta di cancellare l’atavico stigma sul termine stesso, quell’accezione negativa che nasce dal fondamentalismo europeo e dall’oscurantismo religioso. Zingaro non è un insulto.