Lo specchio rotto del potere. Regime è sempre un altro

L’abuso della parola ‘regime’ è un tema sul quale si dovrebbe meditare a lungo. Quando uno stato liberticida si prepara ad aggredire un altro stato liberticida, ecco che quest’ultimo diventa subito un ‘regime’, indipendentemente dalla realtà fattuale e soprattutto dal grado di libertà di cui godono i cittadini nello stato aggressore. Il concetto di ‘regime’ è completamente svuotato del proprio significato reale e applicato come uno stereotipo buono per qualsiasi evenienza
Ma cos’è davvero un regime? Diamo alle parole il loro peso. La parola ‘regime’ deriva dal latino regimen, sostantivo derivato dal verbo regere (guidare, dirigere, regolare), con il quale si indicava anticamente sia l’atto di dirigere o governare qualcosa, sia la qualità dell’ordine e della regolamentazione. Un termine neutro, non connotava la dirigenza in modo positivo o negativo. Durante il Medioevo il termine iniziò ad essere usato sia per indicare sistemi di governo civili, sia ordinamenti interni a comunità religiose.
Il regime è insomma l’atto di reggere uno Stato, quindi l’insieme di strutture, istituzioni, figure pubbliche rappresentanti l’ordine costituito di quel governo, a prescindere dall’orientamento politico che delibera di prendere. Un po’ come il regime di un fiume, che può essere torrentizio, pluviale, tropicale, monsonico, alla parola regime si deve sempre aggiungere qualcos’altro, per indicare di quale regime si stia parlando.
È con la Rivoluzione Francese, che il termine Ancien Regime (antico regime) inizia ad associare la parola in quanto tale a una connotazione negativa, per indicare sistemi di potere autoritari, conservatori e repressivi. Per i movimenti libertari indicava semplicemente il sistema dell’assolutismo monarchico, caratterizzato da privilegi nobiliari e clericalismo spinto, mancanza di separazione tra potere legislativo, esecutivo, giudiziario, una scarsa mobilità sociale. Questa connotazione negativa si è ulteriormente rafforzata nel XX secolo prima all’interno dei movimenti rivoluzionari (socialismo, comunismo, anarchia) per indicare le derive autoritarie dittatoriali, poi tra borghesi e neomonarchici per riferirsi all’Unione Sovietica e tutti gli stati che a quel modello organizzativo si ispiravano. Cosa avevano in comune gli uni e gli altri? Il fatto di essere retti da giunte militari, dove cioè tutti i poteri dello Stato erano in mano a un esercito, con un partito unico, senza nessuna rappresentanza sindacale, con l’uso di metodi repressivi nei confronti di qualsiasi manifestazione del pubblico dissenso, e un controllo totalitario dell’informazione.
Così nel linguaggio politico ‘regime’ è divenuto un termine fortemente negativo e polemico, pur mantenendo in altri contesti la connotazione neutra che gli sarebbe propria (per esempio un regime fiscale, o alimentare). Parlare insomma del Regime di Kiev oppure del Regime di Mosca tecnicamente significa riferirsi al sistema di governo dell’una o dell’altra parte, senza implicare in modo automatico una connotazione negativa. Tuttavia, nell’opinione pubblica e nel flusso della propaganda, il termine evoca immediatamente lo spettro della dittatura, del totalitarismo e la repressione.
Nel caso di Mosca, l’associazione riporta alle derive autocratiche del periodo stalinista e alla percezione della Russia come una potenza autoritaria durante la Guerra Fredda; nel caso di Kiev, si evocano Stepan Bandera e lo stragismo nazista, usati in modo propagandistico per rappresentare l’Ucraina come una realtà autocratica, anche se con caratteristiche storiche completamente diverse da quelle della Russia. Queste due narrazioni tendono a sovrapporsi in Europa, pur riflettendo realtà storiche e politiche distinte; la polarizzazione del linguaggio genera quindi confusione, rendendo il termine ‘regime’ un passpartout valido per scassinare qualunque discussione.
Se da un lato può avere un senso affermare che la lingua evolve e le parole, incluso il termine Regime, assumono connotazioni diverse nel corso del tempo, influenzate dal contesto storico e politico, dall’altro però quando si sceglie di adottare un’accezione negativa attribuendo al termine una connotazione liberticida, autocratica o totalitaria, è altrettanto importante essere consapevoli delle ambiguità che ciò comporta. Nella percezione pubblica, quando si parla di Regime generalmente ci si riferisce a uno stato diverso dal proprio, raramente si usa l’espressione per descrivere il sistema politico in cui si vive o che si governa.
Questo perché nessun governo è disposto ad ammettere le criticità delle spinte autocratiche interne alle proprie stesse istituzioni. Questa dinamica contribuisce a una parziale visione del fenomeno politico, che tende a scansare l’autocritica concentrandosi sull’altro da sé, proiettando su altri le nostre stesse ombre. In politica, quindi, il termine Regime diventa uno strumento retorico, ideologico, slegato dal proprio senso originario e impiegato come uno strumento demonizzante.
Ora purtroppo la situazione descritta è quella che possiamo facilmente riscontrare e documentare nelle democrazie più avanzate, compresi gli Stati Uniti e molti paesi europei che si presentano come modelli di democrazia, una democrazia che pretende oltre tutto di esportare a suon di bombe e missili balistici. Le tensioni tra potere esecutivo e magistratura, ad esempio, segnalano sempre una spinta autocratica interna, quando uno dei poteri cerca di dominare o delegittimare l’altro, minando così il sistema di pesi e contrappesi fondamentale alla sopravvivenza di uno Stato democratico.
Quando si militarizzano città per motivi estranei alla sicurezza reale, ad esempio il pretesto dell’emergenza migratoria o della guerra al narcotraffico, quando si reprimono giornali e opposizioni, o si affidano compiti di controllo a gruppi paramilitari politicizzati, si entra certamente nell’ambito di meccanismi di autoritarismo o totalitarismo, anche se ciò avviene in Stati che formalmente si dichiarano democratici. Queste dinamiche sono evidentemente in atto da tempo negli Stati Uniti, nella maggior parte dei paesi europei, come naturalmente lo sono in Ucraina, in Russia e molte altre nazioni del mondo.
A che serve dunque riflettere sull’abuso del termine Regime? Serve innanzitutto ai cittadini, agli elettori, ai contribuenti di tutti gli stati del mondo, per acquisire consapevolezza che anche uno stato formalmente democratico, può manifestare al proprio interno dinamiche liberticide e scivolare gradualmente verso il totalitarismo: questo processo inizia proprio con le tensioni interne che compromettono l’equilibrio tra i poteri fondamentali, segnando l’inizio di un esercizio arbitrario dell’autorità. Il potere è sempre in conflitto con sé stesso.
Prima di guardare ai Regimi altrui, faremmo bene a prendere in considerazione i nostri, ovvero le derive interne al sistema in cui viviamo, dal quale siamo governati. Quando il dibattito politico non è sereno, quando in Parlamento si urla, si viene alle mani, si bivacca, o quando l’assenteismo alla Camera è molto alto, siamo già di fronte a spinte autocratiche, quando uno dei poteri prende il sopravvento sull’altro o lamenta congiure, persecuzioni personali, in ragione delle quali chiede al popolo pieni poteri, siamo di fronte a una spinta eversiva.
Possiamo fare qualcosa per contrastarla? Certo che sì. Repubblica e democrazia non sono nate dal nulla, è stata la partecipazione dal basso dei popoli a consentire il superamento della barbara camorria assolutista, o delle teocrazie più bigotte: se quelle forme di partecipazione sono riuscite, a costo della vita di tante persone, ad abbattere regimi autoritari, a maggior ragione dovrebbero poter esercitare un peso politico all’interno dei sistemi di governo in cui il potere sia meno accentrato. Quando ciò non avviene, non è perché la politica sia una cosa sporca, come si sente spesso dire in tono consolatorio o giustificatorio, o perché i governanti pensino solo ai propri interessi personali, ma perché la cittadinanza delega tutto il potere a chi dovrebbe rappresentarla, senza esercitare nessuna forma di controllo diretto attraverso la militanza attiva. Non è mai un Regime ad abbattere un altro Regime
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