Artista di strada arrestata a San Pietroburgo

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Articolo di Federico Berti

Sta circolando nella stampa italiana la notizia di un’artista di strada russa condannata tre volte in due mesi a 13 giorni di prigione, colpevole di aver eseguito canzoni contro la guerra a Pietroburgo in piazza Sennaja, così almeno secondo la stampa italiana e ucraina. Diana Loginova detta Naoko, accompagnata dall’altrettanto giovane Vladislav Leontiev al Cajon e Aleksandr Orlov alla chitarra elettrica, sarebbe stata arrestata a San Pietroburgo per aver cantato brani di Monetochka, NoiseMC, Pussy Riot. Come vedremo, non è andata proprio così.

In primo luogo gli agenti della polizia locale hanno testimoniato a suo favore, sostenendo che non costitusse intralcio o disturbo alla quiete pubblica. Il problema è nato su tutt’altro terreno, quando varie agenzie stampa, alcune russe altre straniere, hanno pubblicato e promosso la circolazione di quei video in cui la diciottenne eseguiva (e qualche decina di spettatori cantavano con lei) brani di artisti qualificati dal governo russo come agenti stranieri, così definiti non in virtù della semplice espressione di idee personali, ma in quanto pagati da etichette discografiche, case editrici, piattaforme di distribuzione direttamente coinvolte nella propaganda straniera, per promuovere interessi non russi in territorio russo ed esercitare pressioni indirette sulla governance del paese.

Il problema insomma non è nato a causa della sua esibizione in strada, ma per il fatto che quei video sono stati resi virali in Russia da agenzie di stampa straniere, che indirettamente finanziavano e supportavano l’artista. Prima di entrare nel merito di quanto avvenuto a Pietroburgo, è doveroso un preambolo per contestualizzare il materiale musicale e le motivazioni che lo hanno reso controverso, chiarendo fin da subito che nel processo a Diana Loginova non verteva sulla scelta del repertorio ma sul disturbo della quiete e, dopo tre violazioni, sulla reiterazione, aggravata dal vilipendio delle forze armate.

La prima canzone menzionata dalla stampa europea, ucraina e russa, è Kooperativ Lebedinoye Ozero di NoiseMC, letteralmente La Cooperativa del Lago dei Cigni, il cui titolo contiene un gioco di parole non trasponibile in italiano, che rimanda in modo ambiguo a una cooperativa con quel nome fondata da Vladimir Vladimirovich Putin nel 1996 per costruire e amministrare case di villeggiatura sulle rive di un lago poco a nord di San Pietroburgo. I sette soci di quella cooperativa, all’epoca personaggi di second’ordine, sono divenuti negli anni i più potenti oligarchi vicini al Cremlino. Il riferimento, in senso dispregiativo, al noto balletto di Cechov, è a sua volta un attacco deliberato alla nostalgia sovietica tuttora molto diffusa in Russia, motivo per cui il cantante non è seguito in patria, nemmeno nei canali non istituzionali: si tratta di un fenomeno esploso e viralizzato dai social media occidentali, promosso dalle agenzie di stampa europee.

Un’altra canzone citata dalla stampa russa ed europea è Svetlaya storona, del collettivo femminista Pussy Riot, estremamente popolare in Europa ma con poco seguito in patria. Dopo il processo e la breve pena detentiva per l’incursione situazionista del 2012 nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, le due attiviste hanno iniziato a reclutare nuove componenti che rimangono anonime e indossano passamontagna durante le performance. Nel 2021 quando uscì Svetlaya storona, le Pussy Riot erano ormai un fenomeno più europeo che russo. Ty Soldat di Monetochka non contiene riferimenti diretti allo scacchiere orientale o alle scelte del Cremlino, è una canzone antimilitarista: lamento funebre per l’identità che l’uniforme spersonalizza e il piombo riduce a numero sulla bara. Queste le canzoni citate nella rassegna stampa sul caso dell’artista di strada russa. E’ stato importante citarle per rendersi conto che tutti i video promossi dalle agenzie erano focalizzati soltanto su una parte del repertorio di Diana Loginova e degli Stop Time, quella dei cantanti russi pubblicati e supportati dalle agenzie di spettacolo, dalle etichette musicali, dalla stampa internazionale, fuori dalla Russia.

Veniamo dunque ai fatti più recenti. Il trio della Loginova si forma la scorsa primavera, inizia a esibirsi per strada senza permessi suonando un repertorio multiforme, anche brani patriottici e udite, musica per bambini. Il pubblico gira video, li carica nei social, fin qui tutto nella norma. A quel punto l’agenzia Bumaga di Pietroburgo rilancia uno di quei video che viene seguito in pochi giorni da oltre mezzo milione di persone. Chi ha un minimo di esperienza con i social netowork sa bene che queste forme di popolarità improvvisa non sono mai spontanee, si verificano quando l’algoritmo viene adeguatamente ‘oliato’, non importa da chi. Interviene quindi il Tribunale di Leningrado, con una prima multa per disturbo della quiete pubblica.

In pratica, il trio non viene arrestato sul posto dalla polizia russa, ma solo dopo varie settimane, non tanto per l’esibizione in piazza quanto per il suo riverbero mediatico. In questa prima fase Diana e i suoi compagni non temono ancora un arresto, ma tutt’al più qualche sanzione amministrativa: dato che la loro notorietà cresce intorno all’esecuzione dei brani controversi, a causa dei continui rilanci da parte delle agenzie stampa russe e straniere, i tre giovani artisti cavalcano l’onda. Il motivo è più che ragonevole, milioni di visualizzazioni monetizzate pagano più di quanto una multa possa dissuadere dalla violazione di una normativa sulla quiete pubblica. In pratica, l’indotto social è superiore alla sanzione.

Ad agosto il primo fermo, rilasciati subito dopo il pagamento della multa i tre riprendono e insistono, ma non si accorgono che quella notorietà ha qualcosa di innaturale. Questo forse è il punto più dolente nella vicenda, perché i video sono stati viralizzati da agenzie che volevano creare il caso. Sono stati insomma strumentalizzati dalla macchina della propaganda.

Avviene allora che le esibizioni del trio iniziano a suscitare irritazione in una parte della cittadinanza russa, si scatena un’ondata indignazione da parte della stampa legalista che descrive le loro esibizioni come manifestazioni di protesta non autorizzate (sembra di sentire le controversie di alcuni cantastorie italiani con le forze dell’ordine all’epoca di Scelba). Un dettaglio colpisce in modo particolare, che una delle denunce contro il trio musicale provenga da un giovane rapper di San Pietroburgo, che segnala il trio per vilipendio delle forze armate. La questone tracima, dopo i primi tre arresti Diana e i suoi compagni chiedono al pubblico di non riprenderli, poiché l’aggravante per recidiva potrebbe comportare a una condanna in sede penale fino a 5 anni. Non per dissenso, ma per sedizione e diffamazione.

L’opinione pubblica si spacca. Compaiono a Mosca, Ekaterinburg e Pietroburgo, volantini e cartelli in cui si invoca il rilascio dei musicisti; altri suonatori di strada eseguono le canzoni censurate in solidarietà al trio. Altri artisti di strada si immolano al martirio della reclusione a breve termine. Prende piede uno slogan, La musica non è reato, accompagnato da hashtag come #FreeStoptime e #Freedom Naoko, che al momento contano diverse migliaia di video. Una petizione su Change.org ottiene 47.000 adesioni, la deputata d’opposizione Ykaterina Duntsova avvia una raccolta firme da presentare al Presidente per la scarcerazione della Loginova chiedendo un’inchiesta sull’applicazione delle leggi contro il vilipendio dell’esercito e l’organizzazione dei raduni di massa applicata alle esibizioni musicali pubbliche.

Nel frattempo in Europa infuria la polemica e il caso risolve nell’ennesima campagna antirussa, la stampa italiana parla di feroce repressione ben sapendo che in Italia per un blocco del traffico si rischiano due anni di prigione, non due settimane. Anche in Europa del resto un giornalista può perdere il posto di lavoro solo per aver posto una domanda scomoda a Bruxelles, o un’attivista antifascista può farsi un anno di galera in Ungheria tra abusi e sevizie per detenzione amministrativa. Chi segue Roberto Saviano dovrebbe sapere che da noi abbiamo fior di giornalisti reclusi e sotto scorta per aver osato dire cose che hanno infastidito qualcuno. Ma alla propaganda tutto questo non interessa, l’importante è alimentare l’ossessione del riarmo.

Per comprendere meglio la vicenda del trio Stop Time dobbiamo capire cosa intende il governo russo quando parla di alcuni cantanti e performer come di agenti stranieri. Il secondo album della cantautrice russa Elizaveta Andreevna Gyrdymova, nota con lo pseudonimo di Monetochka, le cui canzoni interpretate dalla Loginova sono state promosse dalle agenzie stampa internazionali in questi mesi, distribuito attraverso l’etichetta The Orchard, parte del gruppo Sony Music, ha causato all’artista un procedimento penale in contumacia per non aver indicato con l’apposito labeling, nella propria comunicazione online, che l’opera è stata finanziata da un agente di propaganda straniero. La stessa accusa è ricaduta su Ivan Alekseev alias NoiseMC, e Zemfira, accusati di evasione dell’obbligo di apporre l’etichetta nella loro comunicazione digitale. In pratica se un artista russo è prodotto da un’etichetta straniera tra quelle coinvolte nella propaganda antirussa, deve indicarlo nei suoi profili social, apponendovi un bollino. Gli artisti interpretati da Diana Loginova nei video promossi dalle agenzie straniere, avevano mancato all’onere e questo aveva comportato un provvedimento disciplinare a loro carico.

Tutto ciò rimanda palesemente alle strategie del Cognitive Warfare, che consistono nel finanziare con ogni mezzo, legale o illegale, il dissenso interno a uno stato straniero, per favorire un cambio di governance a favore del proprio stato. Una pratica su cui è disponibile ampia letteratura, che negli Stati Uniti viene svolta dal National Endowment for Democracy, il cui esito sul confine orientale è stato devastante al tempo del Maidan. Una politica che eredita le pratiche criminali del governo indiretto coloniale, e che Washington non solo non nasconde, ma addirittura esibisce.

In conclusione, dispiace che tre artisti di strada diciotteni si stiano trovando in questioni più grandi di loro, ma il modo con cui la propaganda euro-atlantica si sta servendo degli intellettuali emergenti allettandoli con false promesse di successo, elevandoli a un ruolo difficile da mantenere e poi scagliandoli come massa di manovra contro l’opinione pubblica del loro stesso paese, è inquietante. Non dobbiamo dimenticare che l’attuale presidente dell’Ucraina è nato proprio da un’operazione di questo tipo: Zelensky non era che un comico virale nei social network.

Diana Loginova, Monetochka e gli altri, sono degni di rispetto per le posizioni assunte in favore dell’amore, della pace, della non violenza, ma quando le agenzie stampa europee promuovono la propaganda bellicista ucraina da un lato del fronte e quella pacifista russa dall’altro, non rendono un servizio alla pace bensì svolgono banalmente un’operazione di violenza ideologica. Dove sono gli artisti di strada, scrittori, ballerini, cantanti ucraini che invitano alla deposizione dell’agente straniero Zelensky? Non sembrano avere nella stampa occidentale la stessa visibilità che in questo momento hanno Diana Loginova e gli StopTime.


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