La scommessa perduta sull’Ucraina e il problema etico

Illustration Artwork by Federico Berti. Created with Gimp/Qwen

A ormai quasi quattro anni dall’inizio del conflitto, è palese che la tesi dell’aggressione unilaterale russa costituisca una narrazione parziale e semplificatoria. Le ragioni e le modalità stesse del supporto si inseriscono in una strategia di più ampio respiro, orientata non tanto alla vittoria quanto al degrado strategico e al ridimensionamento della Russia nello scacchiere geopolitico mondiale, con l’obiettivo a lungo termine di indebolire il blocco orientale e dei paesi in via di sviluppo. Ottima l’analisi di Simone Coppola a questo proposito, supportata da un’ampia documentazione cui rimando: Europa e Stati Uniti, è a Pechino che guardano. Quel che si vuole ostacolare è il consolidarsi di un nuovo ordine multipolare a guida cinese, per questo motivo il supporto al fronte orientale europeo è arrivato con lentezza, in modo irregolare, spesso caotico e nell’incertezza del domani, poiché doveva servire non a sfondare le linee nemiche, ma a logorare l’economia russa attraverso quella che Taiwan chiama strategia del porcospino.

La speranza era , osserva il Coppola, in un cedimento improvviso del fronte russo proprio come al tempo dell’assedio di Leningrado e Stalingrado da parte di Hitler. Come allora, non sembra che questo possa avvenire nel breve termine, quel tipo di logoramento si sta rivelando in realtà un’arma a doppio taglio danneggiando gli stessi paesi del blocco euro-atlantico mentre l’economia russa non solo non cede, ma dimostra una sorprendente capacità di adattamento e resilienza. L’analisi dal punto di vista sia economico che militare, dimostra come la Russia abbia costruito un sistema di adeguamento al contesto bellico e di resistenza al logoramento che sta ribaltando l’equilibrio delle forze sul campo, proprio come al tempo della sacca di Stalingrado. Il risultato è che il blocco Nato non potrà sostenere nel lungo periodo questo tipo di strategia, con le conseguenze che possiamo immaginare.

A questo punto però si pone un problema etico. Nel nome del contenimento si sono messe in pratica, in questi quattro anni di guerra, strategie criminali se considerate alla luce dei principi stabiliti dalla Convenzione di Ginevra sui diritti umani, ad ogni livello: in primo luogo nell’abuso dei contractors, cui si è fatto più volte ricorso per dissimulare la presenza nello scacchiere bellico ucraino di quadri militarei della Nato, onde evitarne l’intervento diretto, contravvenendo all’obbligo di contrssegnare correttamente le truppe in modo che siano riconoscibili. Sappiamo quali siano le criticità di questo sistema e come questo più volte abbia oltrepassato il limite della legittimità, con un moltiplicarsi di operazioni false flag. In secondo luogo, le ingerenze interne nella politica stessa dell’Ucraina (e non solo di quella), ovvero gli ingenti investimenti per finanziare il regime change destabilizzando il paese e portandolo prima nella guerra civile, poi allo scontro diretto con la Russia. Anche questa è una pratica, dagli stessi quadri Nato definita come cognitive warfare, che dovrebbe essere proibita poiché riprende esattamente le stesse dottrine del governo indiretto coloniale.

A tali criticità si aggiunge il mancato rispetto del diritto all’informazione attraverso varie forme di censura sia nel teatro bellico (con la chiusura di giornali, radio, televisioni, partiti dell’opposizione) sia negli stessi paesi che hanno supportato Kiev, attraverso l’aperta diffamazione di tutte le posizioni alternative a quella dell’interventismo esasperato, il licenziamento delle voci critiche, la deformazione dell’informazione ad ogni livello. Tutto questo nel nome di cosa? Contenere blocco orientale: per la competizione tra una ristrettissima minoranza di gruppi d’influenza, si sono immolati sull’altare del suprematismo e dell’imperialismo milioni di morti in Ucraina, in Palestina e non solo (dato che una parte del fronte si estesa in Africa e in Medio Oriente), si è lasciato campo libero alla violenza e al fondamentalismo in Afghanistan per aumentare le pressioni su Cina e Russia, si è annientata la Siria riducendola a governatorato statunitense, si è scatenata una guerra dei dazi affamando milioni di persone e ora si stanno aprendo nuovi fronti, come quello venezuelano. Una catastrofe umanitaria.

Questo dovrebbe porre un problema etico, prima che militare. Quanto sia stato legittimo e come si possa fermare questa visione di una società impazzita che come Saturno divora i suoi figli. Si dovrebbe riflettere non solo su come porre fine alla guerra nei territori, ma anche su come neutralizzare l’altro fronte, il più problematico, il più insidioso, quello che è stato aperto nelle nostre menti: è lì che si giocherà il rinnovo della classe politica nelle prossime due generazioni. Il problema etico dovrebbe aprire il cammino collettivo verso un riscatto reale, quello della rivolta cognitiva contro questa forma di abuso estensivo operato anche attraverso un impiego spregiudicato e distorto della tecnologia. Poiché le belve che hanno adottato quei sistemi e prodotto tali risultati, sono state elette da noi. E’ la nostra mente che dobbiamo ristrutturare.


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