La Russia non ha più soldi per le armi?

Un leitmotiv ricorrente nella propaganda nazionalista ucraina è che la Russia, oltre a mettere in campo un equipaggiamento arretrato, spende meno dell’Europa ogni anno per acquistare armamenti. Sebbene investa il 30% del proprio bilancio, quel bilancio è in termini assoluti meno della metà rispetto alle forze coinvolte nel Patto Atlantico. Quindi, sulla base di queste considerazioni, il Cremlino sarebbe prossimo al collasso e (ovviamente) noi dobbiamo inviare ancora più armi all’Ucraina.
Ora, chi mi segue da un po’ sa che non chiedo mai all’oste se ha il vino buono, ma in questa affermazione ricorrente nella propaganda nazionalista mi permetto di rilevare una contraddizione interna: come può la Russia mantenere le proprie posizioni militari, pur contando su un bilancio nominale inferiore rispetto alla NATO e ai suoi alleati? Pretendere che tenga le linee battendosi con una mano sola, suona più come un elogio al warfare russo, più che una profezia della capitolazione. E’ evidente che la semplificazione dei guerrafondai patriottardi contraddice ancora una volta sé stessa: dobbiamo guardare ben oltre il rapporto numerico delle spese.
L’errore più comune è proprio quello di confrontare direttamente i bilanci della difesa espressi in dollari americani, dimenticando di contestualizzarli nell’ecosistema economico in cui quei soldi vengono spesi. Una certa somma in dollari, investita nei mercati occidentali, non ha lo stesso potere d’acquisto della stessa somma in rubli, investita nei mercati emergenti, ovvero nell’ecosistema economico di cui fa parte la Russia. In altre parole, l’Europa non acquista le armi dagli Stati Uniti allo stesso prezzo di quelle che la Russia acquista dalla Cina, dall’India o dalla Corea.
E’ il potere d’acquisto, a scompaginare le semplificazioni dei nazionalisti: la produzione di alcuni armamenti può arrivare a costare fino a dieci volte meno in Russia rispetto agli equivalenti NATO e questa differenza non deriva necessariamente da una minore qualità, ma proprio dalla struttura economica in cui avviene la produzione, lo scambio di quelle armi, e dal diverso approccio all’innovazione tecnologica adottato in modo particolare da parte della Cina. L’esempio di DeepSeek è sintomatico di questo paradigma: ottenere risultati comparabili a quelli occidentali, privilegiando l’efficienza e il contenimento dei costi di produzione, senza compromettere le prestazioni.
La cooperazione russa con Cina, India e i Brics, non si limita ad accordi meramente commerciali, ma anche alla condivisione delle competenze tecnologiche, l’ottimizzazione dei processi produttivi, lo sviluppo congiunto di soluzioni innovative a costi contenuti. Il tutto in un contesto economico del completamente diverso, a partire dai salari del personale militare e dal costo delle materie prime. Questo potrebbe spiegare il paradosso della contraddizione evidenziata nelle asserzioni della propaganda nazionalista ucraina: la Russia spende meno denaro (in assoluto) per acquistare le armi, ma lo investe in un mercato diverso, in un contesto di partenariato che nulla ha a che vedere con quello euroatlantico.
Se riletta in questa prospettiva, un’apparentemente minore spesa nominale può corrispondere a una qualità e quantità di armamenti pari, se non superiore a quella su cui l’Europa ha dichiarato di voler investire. La tenuta delle posizioni russe dunque è spiegabile come una conseguenza della pianificazione economica che massimizza l’efficienza delle risorse disponibili; questo ovviamente non vuol dire che il Cremlino possa disporre di risorse infinite, ma impone di valutare i fattori limitanti per l’Europa, che potrebbero essere ben diversi dalle proiezioni della propaganda euroatlantica.
Questa riflessione dovrebbe riportare il dibattito intorno alla guerra di logoramento sul confine orientale europeo ad aspettative più realistiche: la Russia non è sull’orlo del collasso, gli armamenti che sta acquistando non sono obsoleti, gli eserciti di Cina, India e Russia sono i più grandi e meglio organizzati del mondo, il proseguimento dello sforzo bellico ucraino potrebbe molto più negativamente sull’Europa che sulla Russia stessa. I soli ad avvantaggiarsi di una prosecuzione sciagurata del conflitto, saranno i produttori di armi da cui l’Europa si sta rifornendo. Ancora una volta, gli Stati Uniti.
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