La profezia della Russia in ginocchio

Quando i numeri smentiscono la narrazione. I dati sullo sviluppo economico pubblicati da fonte ucraina ed europea chiariscono in modo inequivocabile che, mentre l’Europa ha registrato nel 2025 una crescita dell’1,1%, la Russia ha mantenuto un tasso di crescita superiore di 0,4 punti percentuali rispetto a Bruxelles, nonostante guerra e sanzioni: la narrazione del Cremlino al collasso ancora una volta si è smentita da sola. L’Europa deve affrontare questa realtà con disillusa maturità politica, valutando costi e benefici delle proprie scelte e pensando possibilmente al futuro, non al presente.
Dal febbraio 2022 la narrazione occidentale ha perso la bussola del buon senso, pretendendo di poter tracciare un quadro di imminente collasso economico di una Russia schiacciata dal peso delle sanzioni e dall’insostenibilità della guerra sul fronte ucraino. Come europei, è esattamente quello che speravamo di sentirci dire, o meglio quello che bisognava riportare alla cittadinanza per addolcirle la pillola dello sforzo bellico e renderle relativamente più sopportabili le conseguenti ricadute sull’economia dei singoli paesi. Tuttavia, i dati economici del 2025 rivelano una realtà molto diversa dal wishful thinking europeo.
Mentre l’Europa accusa la Russia di essere in piena recessione economica, lei per prima fatica a tirare avanti, mentre la Russia ha registrato, pur con un calo di due punti e mezzo, una crescita del PIL superiore, attestandosi intorno all’1,5% nel corso dell’anno. Il tutto controbilanciato da un’intensificazione delle operazioni militari al fronte, un aumento della spesa militare e un incremento del 150% delle porzioni di territorio conquistate sul campo all’avversario.
Questo dato smentisce l’idea di un crollo totale dell’economia russa e solleva interrogativi sulla sostenibilità della strategia europea. L’Europa sta affrontando crisi strutturali profonde: la Germania, motore economico del continente, arranca con crescite minime, mentre l’instabilità finanziaria e l’inflazione persistente minano la competitività; la Francia si trova ad affrontare una nuova crisi di governo, conseguente allo spettro della bancarotta per il debito pubblico fuori controllo. L’Italia, che tanto si vanta di averla sorpassata di uno zero virgola, si trova pure in equilibrio sul filo del rasoio. Al contrario, la Russia ha dimostrato una capacità di adattamento inaspettata, diversificando le proprie relazioni commerciali e riconvertendo l’economia interna. La crescita russa del 2025, seppur rallentata rispetto agli anni precedenti, è trainata principalmente dalla massiccia spesa militare e dagli investimenti nel complesso militare-industriale: un modello economico insostenibile nel lungo periodo, ma che ha garantito l’occupazione e la produzione interna.
L’economia europea soffre, come si è più volte detto, delle proprie stesse sanzioni: la crisi energetica ha colpito duramente l’industria manifatturiera, mentre il potere d’acquisto dei consumatori ha subito un crollo verticale. Le fonti alternative alla Russia per l’approvvigionamento di gas e petrolio hanno comportato costi di sostituzione elevati, che gravano sul bilancio delle singole famiglie contraendo visibilmente i consumi e aumentando il costo della vita. L’evidenza più tangibile della resilienza economica russa si riflette nella capacità di sostenere un’intensificazione degli sforzi militari: l’aumento degli attacchi e delle conquiste territoriali nel corso del 2025 dimostra che l’apparato produttivo di Mosca continua a funzionare.
La retorica del tracollo economico russo è insomma ancora una volta smentita dai fatti. Semplificare come al solito non aiuta, ma rischia anzi di gettare il continente nel baratro di un fallimento epocale: la Russia sta pagando un prezzo economico e umano enorme per la guerra, eppure mantiene una crescita superiore a quella europea. L’Europa rischia di pagare le proprie scelte geopolitiche con una crescita stagnante e problemi strutturali non risolti: la presunta strategia di logoramento economico, millantata dalla propaganda euro-atlantica, si sta rivelando un’arma a doppio taglio che potrebbe danneggiare più l’Europa della Russia.
Guardando al futuro, la sostenibilità del modello russo rimane chiaramente in discussione, poiché un’economia basata sulla spesa militare non può crescere indefinitamente. Tuttavia, nel breve-medio termine, la Russia si sta dimostrando in grado di sostenere un’accelerazione pesante del conflitto, mentre l’Europa deve fare i conti con una competitività in declino e una crescita insufficiente. La propaganda del collasso russo rischia di nascondere la polvere di Bruxelles sotto il tappeto, impedendo quelle riforme che sarebbero indispensabili per una ripresa duratura e contribuendo alla crisi dello stato sociale che attraversa tutti i paesi dell’Unione.
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