Global Sumud Flottilla e Hamas. Da crocieristi a ‘terroristi’

Cronaca di una diffamazione annunciata, ovvero come si trasforma una missione umanitaria in “terrorismo”.
Una foto, un incontro per il coordinamento operativo nella distribuzione di aiuti umanitari, una campagna diffamatoria. È bastata una foto al Daily Mail, untuosamente riverberata da Libero, per trasformare una missione umanitaria internazionale in una presunta operazione terroristica. Il caso della Global Sumud Flotilla, il convoglio di imbarcazioni civili che tenta disperatamente di attraversare il blocco navale portando aiuti medici e alimentari alla popolazione civile di Gaza, è un esempio perfetto di come si possa manipolare l’informazione per screditare chi cerca di attirare l’attenzione del mondo su un’operazione criminale di pulizia etnica, riconosciuta come tale da tribunali internazionali.
Lo scorso 23 giugno Wael Nawar, membro del comitato direttivo della Global Sumud Flotilla, ha incontrato ad Algeri Youssef Hamdan, rappresentante di Hamas in Nord Africa per ragioni evidentemente connesse con la missione umanitaria; non lo ha fatto in segreto, con chissà quali oscure implicazioni cospirative, dal momento che ha diffuso lui stesso una foto dell’incontro su Facebook, proprio quella ripresa dal tabloid britannico Daily Mail. Da questa immagine, una parte (irresponsabile) della stampa italiana ha formulato un’accusa pesantissima: la flottiglia umanitaria sarebbe addirittura collusa con il terrorismo, i suoi organizzatori niente meno che terroristi travestiti da pacifisti, affermazione che suona decisamente diffamatoria e richiederebbe, a mio parere, di essere discussa nelle sedi competenti.
Wael Nawar non è un terrorista, ma un attivista tunisino incensurato, con un curriculum pubblico e trasparente: già segretario generale dell’Unione degli Studenti Tunisini, co-fondatore del Coordinamento per l’Azione Congiunta per la Palestina, già prigioniero politico durante la dittatura di Ben Ali, ferito nella rivoluzione del 2011. Il suo nome compare sul sito ufficiale della Sumud Flotilla insieme agli altri membri del comitato direttivo. Nessuno di loro è mai stato sanzionato o accusato di legami terroristici, nessuna prova nemmeno indiziaria, solo un’illazione infamante.
La domanda nasce spontanea, perché un organizzatore della flottiglia umanitaria dovrebbe aver incontrato un rappresentante di Hamas? Le ragioni sono più che ovvie, sorprende che professionisti dell’informazione pretendano di non averle intuite da soli: dovevano incontrare quelle realtà politiche e militari che controllano di fatto, se non si fosse capito, la Striscia di Gaza; chiunque intenda portare aiuti umanitari in quella zona deve coordinarsi con chi presidia il territorio, esattamente come accade in qualsiasi altra area di conflitto nel mondo. Strano, ma vero. L’incontro doveva servire probabilmente a garantire la sicurezza degli aiuti, stabilire protocolli di distribuzione per evitare che finissero nel mercato nero, ottenere garanzie di passaggio sicuro per una missione già minacciata dalle autorità israeliane.
Mi permetto un parallelo che dovrebbe mettere a tacere qualsiasi polemica a riguardo: durante il periodo coloniale, le autorità britanniche in India furono responsabili di politiche che causarono carestie devastanti, repressioni violente e morti di massa. La Grande Carestia del Bengala del 1943, per esempio, causò la morte di circa 3 milioni di persone, largamente attribuita alle politiche di esportazione alimentare britanniche durante la Seconda Guerra Mondiale. Le autorità coloniali implementarono sistemi di sfruttamento economico che impoverirono deliberatamente la popolazione locale. Madre Teresa di Calcutta, non dovette forse coordinarsi con queste stesse autorità coloniali per ottenere permessi, accesso alle aree urbane degradate, forniture mediche e autorizzazioni per le sue strutture sanitarie! Questo coordinamento operativo, implicò mai un sostegno alle politiche coloniali britanniche o una complicità con le loro azioni repressive?
Così nel caso della Sumud Flottilla, la missione richiede un coordinamento operativo, prassi consolidata per tutte le organizzazioni umanitarie internazionali, comprese le agenzie delle Nazioni Unite. Se così non fosse, allora dovremmo pensare che Churchill abbia incontrato Hitler nella Conferenza di Monaco perché era colluso col nazismo? O che Giovanni Paolo II abbia incontrato Pinochet perché giustificava i suoi crimini contro l’umanità? O che l’imperatore Federico II fosse un eretico, perché aveva incontrato Saladino per evitare l’ennesimo massacro in Medio Oriente? La squallida ostinazione con cui le penne velenose di una stampa collusa con l’Hasbara della giunta suprematista israeliana, che minaccia di sparare sulla croce rossa, è inquietante.
Il metodo utilizzato per screditare la Sumud Flotilla non è nuovo. Si chiama colpevolezza per associazione e funziona in modo piuttosto semplice: basta prendere una foto che mostra due persone insieme, tralasciando qualsiasi accenno al contesto, e si costruisce una narrativa accusatoria basata sul nulla; la stessa tecnica utilizzata anni fa contro Antonio Decaro, sindaco di Bari, fotografato a una cena dove era presente un capo malavitoso: anche in quel caso la semplice compresenza in un’immagine veniva trasformata in prova di collusione criminale. Questa strategia sfrutta il pregiudizio del pubblico e non è facile da smentire, non in tempi brevi almeno e non senza un dibattimento ordinato nelle sedi appropriate, che a questo punto mi auguro sia invocato dall’altra parte.
Gli articoli di Libero e Daily Mail non si limitano a sollevare dubbi, ma come un novello Jago insinuano nel lettore il sospetto del tradimento, un sospetto che rode l’animo, corrompe la fiducia e richiede tempo per dimostrare la propria innocenza: proprio come ha richiesto tempo a Lula e Lucano! La stampa di questa destra senza scrupoli, disumana nelle sue modalità e disarmante nella sua ignoranza, parla degli attivisti come di terroristi travestiti da pacifisti, insinua legami criminali senza fornire una sola prova concreta, inscenando una fucilazione mediatica senza processo. Fingono di non sapere che la Sumud Flotilla è una missione internazionale sostenuta da organizzazioni umanitarie, parlamentari europei e attivisti per i diritti umani, rispettati in tutto il mondo.
Dietro questa campagna diffamatoria si nasconde un obiettivo ancor più infame: quello di legittimare il blocco navale israeliano giustificando eventuali azioni militari contro la flottiglia umanitaria. Se si riesce a far passare gli organizzatori per terroristi, diventa più facile accettare che questi vengano trattati come tali dalle autorità israeliane. È significativo che nessuno degli articoli si concentri sui contenuti della missione, anzi minimizzino anche la portata degli aiuti, ridotti a qualche scatola di medicine, briciole di nessun rilievo. L’attenzione viene deliberatamente spostata sui presunti legami dei suoi organizzatori, trasformando la questione umanitaria in una caccia alle streghe politica.
Le accuse mosse contro Nawar e gli altri organizzatori, tengo a rimarcarlo, potrebbero configurare il reato di diffamazione, dato che attribuiscono a persone precise, con nomi e cognomi, comportamenti criminali senza fondamento, pubblicando informazioni decontestualizzate su mezzi di informazione con ampia diffusione e danneggiando la reputazione delle persone coinvolte. Nel sadico giro di vite in cui si trova stretta la popolazione civile a Gaza, trasformare chi cerca di portare aiuti in un nemico da combattere non è solo disonesto dal punto di vista giornalistico: è moralmente inaccettabile. Ma forse l’obiettivo era proprio questo: intimidire sperando che dall’altra parte si finisca prima o poi per cedere.
Ma una cosa più di tutte dovrebbe far riflettere: il sistema delle proporzioni nell’inqualificabile ondata di fango sollevata da questa campagna diffamatoria. Si dà voce e risalto a un incontro fra i rappresentanti di una missione umanitaria e un portavoce algerino di un’organizzazione classificata come terroristica, tacendo completamente che questa stessa organizzazione sta conducendo una resistenza militare contro un’autorità governativa classificata a sua volta, dalle medesime autorità neutrali internazionali, come criminale e genocida. Il Procuratore della Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto per crimini contro l’umanità a carico delle massime autorità israeliane. Organismi delle Nazioni Unite documentano quotidianamente la distruzione sistematica di infrastrutture civili, ospedali, scuole, luoghi di culto. Eppure la stessa stampa che amplifica ossessivamente un incontro di coordinamento umanitario mantiene un assordante silenzio su queste evidenze giudiziarie e documentali.
Una sproporzione che non può essere casuale né ingenua, ma risponde a una precisa scelta editoriale, che rivela la natura politica, non giornalistica, dell’operazione in corso. Quando si sceglie deliberatamente di concentrare l’attenzione pubblica su (presunti) rapporti con gruppi terroristici in chi porta aiuti umanitari, distogliendo sistematicamente lo sguardo dalle sentenze internazionali e dalle documentazioni sui crimini contro l’umanità commessi dalle forze di occupazione contro cui quei gruppi combattono, non si sta facendo solo cattivo giornalismo: si sta praticando una forma di collaborazionismo mediatico con le autorità genocide. Nella scala della responsabilità morale, chi ancora si ostina ad appoggiare la giunta criminale di Netanyahu attraverso la disinformazione, infamando i portatori di pace, si rende complice di crimini che per metodica ferocia destituiscono di credibilità l’intera redazione di quei giornali, che hanno approvato e finanziato gli autori degli articoli infamanti.
La prossima volta che vedrete una foto utilizzata per distruggere la reputazione di qualcuno, ricordatevi di questa storia, chiedendovi sempre chi vi stia raccontando cosa e perché. Un’ultima, fugace osservazione ai lacchè dell’Hasbara dalla penna velenosa: fino a prova contraria un crocierista non rischia che ignoti gli sparino addosso coi droni. Dovreste solo vergognarvi.
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