Droni sulla Polonia. Provocazione russa o guerra cognitiva?

Illustration Artwork by Federico Berti. Created with Gimp/Qwen

Il 10 settembre 2025, la Polonia ha abbattuto tre droni di presunta origine russa che avevano violato il suo spazio aereo, scatenando una crisi diplomatica di proporzioni inaudite. L’episodio, che ha portato Varsavia ad invocare l’Articolo 4 della NATO e a richiedere una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza ONU, solleva interrogativi sulla natura effettiva dell’incidente e sulla narrazione che ne è seguita. La versione polacca parla in modo diretto di un attacco deliberato e coordinato, il premier Donald Tusk ha denunciato diciannove violazioni dello spazio aereo nazionale, definendo l’episodio un atto di aggressione che addirittura ci avvicinerebbe a un conflitto mondiale. Il ministro degli Esteri Radoslaw Sikorski ha rincarato la dose, sostenendo che si tratti proprio di una provocazione intenzionale russa, per testare le difese NATO.

Va detto però, e qui casca l’asino, che l’analisi tecnica della vicenda, non è priva di contraddizioni e la versione che va per la maggiore forse è un po’ troppo semplicistica e lineare. Tanto per cominciare, i droni coinvolti non sono quelli normalmente usati dalle Forze Armate della Federazione Russa, sono molto più arretrati rispetto all’avanguardia tecnologica militare cui il Cremlino ricorre abitualmente, e soggetti a interferenze elettromagnetiche, che potrebbero compromettere la loro capacità di attraversare zone di guerra.
E teoricamente plausibile che i velivoli abbiano deviato involontariamente dalla loro rotta originaria, diretta verso obiettivi ucraini, a causa di disturbi ai sistemi GPS o di contromisure elettroniche, ma per poterlo stabilire con sicurezza sarebbero necessarie indagini più approfondite.

La risposta russa, improntata a un iniziale riserbo, seguito da una generica disponibilità al dialogo con Varsavia, sembra più coerente con l’ipotesi dell’errore operativo, che con quella di una provocazione pianificata. Mosca, già impegnata sul fronte ucraino, avrebbe in effetti pochi incentivi strategici a provocare deliberatamente la NATO, rischiando un’escalation che comprometterebbe il suo obiettivo primario.

Ma c’è un altro fatto, che traspare dalla stessa stampa europea d viene riportato in modo secondario, come un dettaglio di poco conto, che invece dovrebbe far riflettere: Mosca ha smentito e respinto l’accusa dell’attacco deliberato, dichiarando del tutto improbabile anche l’ipotesi di un errore operativo, sul quale ha dato ampia disponibilità a indagini congiunte. Tecnicamente, date queste premesse, noi siamo di fronte a un evento “no flag”, ovvero un fatto che non si può attribuire per il momento a nessuna forza militare specifica: per poterlo fare, servirebbero indagini capaci di dimostrare la provenienza di quei droni, chi li ha spediti, da dove siano partiti, le motivazioni dell’atto.

Per quel che ne sappiamo potrebbe trattarsi anche di un evento “false flag”, la cui origine si dovrebbe piuttosto ricercare in qualcuno che possa avere maggior interesse della Russia a un’escalation globale, forzando l’intervento della NATO. La domanda nasce spontanea: chi è che molto prima dell’intervento russo sul fronte orientale, ha fatto di tutto per obbligare l’alleanza Atlantica ad attivarsi per la difesa dell’Ucraina? Non è forse proprio questo il tema principale conteso tra i due lati del fronte? Non è forse uno dei punti fondamentali nel rifiuto ucraino della trattativa con Mosca?

Se dovessimo pensare chi maggiormente potrebbe trarre vantaggio da un atto come quello dei droni sconfinati in Polonia, senza dubbio il paese più coinvolto sarebbe proprio l’Ucraina. Non tanto il governo di Kiev, quanto le sue propaggini ultra-nazionaliste. Con questo non si intende accusare una parte o l’altra, ma solo rilevare l’incongruenza di fondo nella narrazione della stampa europea intorno all’incidente polacco.

La drammatizzazione mediatica dell’episodio, attribuito in modo unilaterale e allo stato attuale delle cose diffamatorio nei confronti della Russia, desta perplessità. Quello che potrebbe essere solo un incidente tecnico, se non addirittura un attacco “false flag”, rischia di montare in un ulteriore casus belli, amplificando le tensioni senza valutare adeguatamente le spiegazioni alternative. Le dichiarazioni del Presidente Mattarella sui “crinali verso il baratro come nel luglio 1914” appaiono sproporzionate rispetto alla natura dell’evento, suggerendo una tendenza alla retorica bellicista.

L’invocazione dell’Articolo 4 NATO da parte della Polonia, pur legittima dal punto di vista procedurale, è tuttavia prematura se considerata nel contesto delle dinamiche politiche interne polacche e del posizionamento di Varsavia come principale alfiere dell’hardline anti-russa nell’Alleanza Atlantica. Il governo Tusk, sotto pressione per il suo approccio pragmatico verso alcuni dossier europei, trova nell’incidente un’opportunità per riaffermare le proprie credenziali atlantiste, ma nel fare questo continua a gettare benzina su un fuoco già dilagante.

L’episodio evidenzia la pericolosa tendenza a trasformare incidenti tecnici in crisi diplomatiche attraverso una narrazione mediatica e politica che privilegia l’escalation retorica rispetto all’analisi attenta: questa dinamica rischia di creare spirali di tensione che potrebbero portare a conseguenze disastrose per il mondo intero, controproducenti per tutti gli attori coinvolti. Non possiamo che ricordare la profezia di Einstein intorno alla quarta guerra mondiale combattuta con sassi e clave. Una geopolitica responsabile, richiederebbe un’assai maggiore prudenza analitica e minor propensione a trarre conclusioni affrettate, di fronte a eventi la cui natura rimane, almeno per il momento, ambigua.

La realtà è che l’attacco alla Polonia non è stato rivendicato dalla Russia, quindi non lo si può attribuire al Cremlino senza un’indagine preventiva che ne confermi la paternità. L’ipotesi che possa trattarsi di un “false flag” da parte di gruppi terroristici legati all’interventismo patriottardo delle estreme destre ucraine ed europee, non è stata minimamente presa in considerazione dalla stampa, nonostante sia tecnicamente da non escludere. Se così fosse, saremmo davanti a un pericolo ancor maggiore, quello di una guerra cognitiva che si combatte nelle nostre menti.


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