La rivolta cognitiva. Il movimento pacifista come reazione al sonnambulismo di massa

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La rivolta cognitiva.

Il movimento pacifista come reazione
al sonnambulismo di massa

Articolo di Federico Berti

Una delle obiezioni ricorrenti al pacifismo internazionalista è che sia un movimento utopistico, non realistico e dunque irrealizzabile, in quanto la scelta del singolo non ha peso reale sulla scelta delle masse, ma soprattutto la constatazione di un dato incontrovertibile: dai tempi di Giulio Cesare, che giustificava nel De Bello Gallico1 la guerra imperialista contro i ‘barbari’ del nord sostenendo che quella guerra fosse indispensabile alla sicurezza dei confini di Roma, nessun aggressore si presenta mai come tale al senato di nessuna repubblica. Ogni lupo ha bisogno di un pretesto per divorare l’agnello e così da sempre le guerre vengono motivate allo stesso modo da chi le dichiara: servo della gleba o borghese, chi combatte, finanzia, alimenta, propaganda la necessità di una guerra, è convinto di farlo per la salvezza del suo popolo e per quella dei suoi figli2.

Il movimento pacifista ha scardinato questa convinzione in un preciso momento storico e in un preciso scenario, quello della Russia nel 1917. Quando Vladimir Lenin salì al potere con la promessa di una resa incondizionata per porre fine a una guerra che non aveva più senso combattere, in base al principio secondo cui si deve trasformare la guerra imperialista (quella che si combatte fra nazioni per difendere i privilegi dei potenti) in guerra di classe (quella che si combatte trasversalmente alle nazioni per difendere i diritti delle classi subalterne)3. E’ in quel momento che nasce un movimento pacifista, che da allora sempre lavorerà per tessere il filo di una comunità ideologica al di sopra dei confini politici, un movimento che lavori per far capire ai cittadini di tutti gli stati nel mondo che nessuna guerra è giustificabile dal punto di vista etico, se non quella che si combatte per liberare gli schiavi dall’oppressione dei loro padroni4.

Qui nasce il problema, nella definizione di schiavo e padrone. Così come nessun aggressore si proclama aggressore, in modo simile il servo nel post-capitalismo contemporaneo non si rende conto di esser servo, in quanto gli vengono concessi privilegi illusori ai quali saldamente afferrarsi per preservare la propria condizione5, uno stile di vita al quale nessuno vorrebbe rinunciare. Questo il punto centrale che porta le fazioni interventiste a decretare le carneficine cui stiamo tuttora assistendo: il controllo degli strumenti attraverso cui instillare nelle masse il terrore, la preoccupazione per l’incolumità di loro stesse e dei loro figli, con un martellamento narrativo costante, totalizzante, pervasivo6; il problema non sta nella tesi manicheistica delle nazioni buone contro le nazioni cattive, ma nella violenza cognitiva attraverso cui questa tesi viene inculcata, condizionando i canoni stessi dell’ideazione, le strutture dell’immaginario, revisionando i valori di un popolo dalle loro fondamenta.

La manipolazione della comunicazione, delle parole, dell’immaginazione, la distorsione del dibattito pubblico, portano il potere a proclamare sempre quel che chi vi si trova assoggettato vuol sentirsi dire, senza però che alle parole corrispondano i fatti. Questa è l’essenza del fascismo, un’apparenza della verità, una mimesi della realtà7. Esempio lampante e recentissimo è come Donald Trump sia riuscito a convincere tanti democratici americani a sganciarsi dal loro partito astenendosi dal voto, in quanto la sinistra moderata, questo ha ripetuto per mesi la propaganda repubblicana, non aveva alcuna intenzione di porre fine alla guerra in Ucraina, cosa che il tycoon avrebbe fatto nell’arco di ventiquattr’ore8. Se valutiamo col senno di poi l’operato di Donald Trump nel primo anno del suo attuale mandato, osserviamo che non solo non ha messo a tacere droni e cannoni sul confine orientale europeo, ma sta aprendo nuovi orizzonti del conflitto, sia quello armato che quello finanziario9. Uno squilibrato e paranoico guerrafondaio, il quale tuttavia si perita di pretendere il premio Nobel per la pace millantando trattative mai avvenute, conflitti mai risolti: tutto questo si svolge esclusivamente nella realtà alternativa da lui stesso creata, nella mente dei suoi (numerosi) seguaci, attraverso una violenza cognitiva senza precedenti. Una realtà che non esiste nella realtà, ma che influenza la realtà.10

Il problema di questi strumenti persuasivi, resi ancor più efficenti dal progresso digitale e dal livello di interconnessione globale, è che sono destinati per la loro stessa natura a far scorrere fiumi di sangue nelle strade, poiché la realtà fenomenica prima o poi finisce per reclamare il saldo: non si può mentire all’infinito. Quando la verità viene a porre le sue bar-riere insormontabili, milioni di schizofrenici condizionati dalla propaganda finiranno per macellarsi l’uno coll’altro, solo così è stato possibile l’inferno di Auschwitz, solo così è tuttora possibile il genocidio palestinese11. A conti fatti dunque l’arma più potente in mano agli interventisti non è il fucile, non è nemmeno il denaro, sterco di un capitale multipolare che in questa fase della storia umana può fluttuare di valore secondo il capriccio di un tweet, ma piuttosto la parola. Le relazioni abusanti che il potere instaura con chi vi è soggetto, la manipolazione della realtà, la disinformazione, quella che gli stessi alti quadri militari delle maggiori potenze nel mondo stanno apertamente chiamando guerra cognitiva12. L’arma più forte è l’influsso che questi potenti mezzi di condizionamento riescono ad avere sulle scelte delle masse, analizzandone il comportamento a blocchi, percentuali, indagini demoscopiche dettagliatissime, interventi mirati a un modello di comunicazione apertamente pavloviano: a un dato stimolo, segue (statisticamente) una data risposta, la scelta del singolo è irrilevante per chi sta dal lato del server13.

Alla guerra cognitiva si risponde con una rivolta cognitiva. Un innalzamento nel livello medio delle competenze, della capacità di analisi critica, una guerra all’ultimo sangue contro l’analfabetismo funzionale dilagante, uno sforzo collettivo per innalzare il livello culturale della cittadinanza attiva e passiva, un reciproco stimolo all’emancipazione intellettuale, alla ricerca della verità. La prossima rivoluzione si svolgerà dentro di noi, non fuori di noi14. Il caso della Sumud Flottilla ha dimostrato che un movimento pacifista ben organizzato può raggiungere degli obiettivi, ma non siamo ancora arrivati al punto da creare una barriera di immunizzazione contro l’infodemia dilagante: la schizofrenia delle masse è ancora troppo diffusa perché possano esservi dei cambiamenti in profondità, si deve lavorare adesso sulle nuove generazioni e lasciare ai posteri gli strumenti per disseppellire quelle asce immaginarie che permetteranno loro di spezzare le catene del sonnambulismo indotto: la pace, nell’era post-verità, può essere raggiunta solo emancipando la mente collettiva dal condizionamento abusante. La non violenza non è il contrario della violenza, si serve solo di armi diverse, armi che non uccidono ma resuscitano i morti.

Note

1 Caio Giulio Cesare, Commentarii de Bello Gallico. Trad. acd Emilio Piccolo, Napoli, Senecio, 2009.

2 Si vedano a questo proposito i sei principi fondamentali della cosiddetta ‘guerra etica’,Seth Lazar, ‘War’, The Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2020, Edward Zalta, “Traditional just war theory construes jus ad bellum and jus in bello as sets of principles, satisfying which is necessary and sufficient for a war’s being permissible”.

3 Vladimir Illich Lenin. L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, in: Opere, Roma, Editori riuniti, 1966.

4 Hanna Arendt, Sulla violenza, New York, Harcourt, Brace & World, 1969, “Sotto la pressione del potere, i pregiudizi, in quanto distinti sia dagli interessi che dalle ideologie, possono cedere, come abbiamo visto accadere con il movimento dei diritti civili che ha avuto un grande successo, e che è stato assolutamente non violento”.

5 Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, 1964, cit. in: Federico Berti, Rivoluzione interiore. Mondi possibili e guerra cognitiva, Bologna, Streetlib, 2023, parla esplicitsmente di immaginazione al potere come processo di emancipazione intellettuale delle masse.

6 Noam Chomsky, La fabbrica del consenso. La politica e i media, Milano, Il Saggiatore, 2014. Gli strumenti della propaganda si servono della serialità e dell’invasività proprie di una comunicazioe distorta, per creare nell’opinione pubblica una realtà alternativa, senza che questa si renda conto della manipolazione operata. Ognuno di noi pensa sempre che manipolati siano gli altri, non avvertiamo la nostra vulnerabilità all’abuso cognitivo.

7 Dal mito platonico della caverna a Guy Debord, G. (1967).La società dello spettacolo, Parigi, Buchet Chastel, 1967, la profezia della post-verità si è imposta con soverchiante prepotenza sulla percezione della realtà da parte delle masse.

8 Interessanti a questo proposito le valutazioni di P. Violi sulla campagna elettorale del primo mandato presidenziale, Why Trump Won the Elections, in: ‘Dialogue in Institutional Settings’, 9/1, 28–41, 2019.

9 Una profezia che si autoavvera, si veda a questo proposito Timothy Snyder, The Road to Unfreedom. Russia, Europe, America. New York, Tim Duggan Books, 2018.

10 Byung Chul Han parla a questo proposito di Psychopolitics. Neoliberalism and New Technologies of Power. London, Verso, 2017.

11 Zigmunt Bauman, Modernity and the Holocaust. Ithaca, Cornell University Press, 1989, analizza lo stesso tipo di progressione, dalla distorsione della realtà e dei valori, alla catastrofe umanitaria al tempo della prima guerra in Iraq.

12 Si rimanda a Federico Berti, Guerra cognitiva e conflitto ucraino, in: Lo spettro di Mariupol, Bologna, Streetlib, 2024.

13 Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 2014. Ancora una profezia che si autoavvera. Il potere si avvale della sorveglianza per prevenire il dissenso e stroncare l’eversione interna prima ancora che si manifesti.

14 Paulo Freire, Pedagogia degli oppressi, cit. in Federico Berti, Rivoluzione interiore, Bologna, Streetlib, 2023.

Bibliografia:

  • Arendt, Hanna, Sulla violenza, New York, Harcourt, B&W, 1969.
  • Bauman, Zigmunt, Modernity and the Holocaust. Ithaca, Cornell University Press, 1989
  • Berti, Federico, Guerra cognitiva e conflitto ucraino, in: Lo spettro di Mariupol, Bologna, Streetlib, 2024.
  • Berti, Federico, Rivoluzione interiore, Bologna, Streetlib, 2023.
  • Cesare, Caio Giulio, Commentarii de Bello Gallico. Trad. acd Emilio Piccolo, Napoli, Senecio, 2009.
  • Chomsky, Noam, La fabbrica del consenso. La politica e i media, Milano, Il Saggiatore, 2014
  • Debord, Guy, La società dello spettacolo, Parigi, Buchet Chastel, 1967.
  • Foucault, Michel, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 2014.
  • Han, Byung Chul,Psychopolitics. Neoliberalism and New Technologies of Power. London, Verso, 2017.
  • Lazar, Seth, ‘War’, in: The Stanford Encyclopedia of Philosophy, Edward Zalta, 2020.
  • Lenin, Vladimir Illich, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, in: Opere, Roma, Editori riuniti, 1966.
  • Snyder, Timothy, The Road to Unfreedom. Russia, Europe, America. New York, Tim Duggan Books, 2018.

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