Moses Hess e il sionismo marxista delle origini

Moses Hess è stato fra i pensatori più originali e influenti del XIX secolo nel campo della filosofia politica: precursore del socialismo europeo, del comunismo e, soprattutto, del sionismo socialista, la sua opera costituisce un punto di convergenza tra l’ideale di emancipazione delle sinistre europee e la rinascita culturale ebraica, ponendo le basi concettuali per un sionismo laico, egualitario e socialista.
Nato a Bonn da una famiglia di ebrei, Hess ricevette un’educazione religiosa dal nonno prima di avvicinarsi agli ambienti filosofici e rivoluzionari della Germania del tempo. La sua formazione intellettuale si sviluppò all’interno dei circoli della sinistra hegeliana, dove collaborò attivamente con Marx ed Engels presso la Rheinische Zeitung e altre iniziative editoriali. Hess si distinse per la capacità di coniugare la critica radicale delle istituzioni borghesi con una visione morale e profetica della rivoluzione, anticipando tematiche che sarebbero state successivamente sviluppate dal marxismo.
Nel corso della sua evoluzione intellettuale, Hess si distaccò progressivamente dal materialismo storico marxiano, ritenendo che la questione nazionale e quella sociale fossero inseparabili: la liberazione degli ebrei non poteva realizzarsi esclusivamente attraverso la lotta di classe, ma richiedeva anche una componente di rinascita culturale, in risposta all’indifferenziazione propria del capitalismo industriale. La continuità con le tradizioni non doveva annullarsi in un’assimilazione di tipo coloniale.
Nel 1862 Hess pubblicò la sua opera più significativa, Roma e Gerusalemme. L’ultima questione nazionale, destinata a diventare il manifesto fondativo del sionismo socialista. In questo lavoro teorico, l’autore sostenne la necessità di un ritorno degli ebrei in Palestina e la creazione di uno Stato ebraico socialista, dove la redenzione del suolo e il lavoro agricolo collettivo costituissero strumenti di rigenerazione. Hess interpretava la storia come un intreccio di conflitti etnici e di classe, collegando la questione ebraica ai grandi movimenti di emancipazione che attraversavano l’Europa in quegli anni, guardando in modo particolare al Risorgimento italiano. La sua visione prevedeva che solo la fondazione di una società socialista in Terra d’Israele, basata sull’uguaglianza, la laicità e il lavoro collettivo, potesse garantire l’emancipazione reale degli ebrei e la loro piena dignità.
Il pensiero di Hess si caratterizza per la fusione tra filosofia secolare, dialettica hegeliana, panteismo spinoziano e principi marxisti. La sua visione era profondamente laica, pur riconoscendo il valore storico e identitario della religione ebraica. Hess individuava nella costruzione di una società giusta e solidale il vero compimento della missione ebraica nella storia. Il modello di Stato proposto da Hess prevedeva il superamento della proprietà privata a favore del bene comune, l’esaltazione del lavoro manuale e agricolo, e la fondazione della società sui principi della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fratellanza. Questa concezione anticipava molte delle pratiche e delle utopie che sarebbero state successivamente realizzate nei primi insediamenti sionisti.
All’epoca della pubblicazione, “Roma e Gerusalemme” passò sostanzialmente inosservato, poiché la maggioranza degli ebrei tedeschi era orientata verso l’assimilazione e non colse la portata rivoluzionaria del messaggio di Hess. La riscoperta dell’opera avvenne solo alla fine del XIX secolo, con la nascita del movimento sionista organizzato.
Theodor Herzl riconobbe esplicitamente il debito intellettuale verso Hess, dichiarando che non avrebbe scritto Der Judenstaat senza aver prima conosciuto l’opera del predecessore. Il sionismo socialista di Hess influenzò profondamente i successivi teorici e leader del movimento, tra cui Nachman Syrkin, Ber Borochov e i fondatori dei kibbutz, che videro in lui il profeta di una società ebraica egualitaria e laica.
Un aspetto del pensiero di Hess che richiede particolare attenzione filologica riguarda l’uso del termine razza nei suoi scritti: è fondamentale contestualizzare questo linguaggio nel quadro concettuale della metà dell’Ottocento, molto prima che il termine assumesse le connotazioni negative e pseudoscientifiche sviluppate nei decenni successivi. Nella letteratura di Hess, il concetto di razza, più che in un senso strettamente biologico, veniva inteso nel senso di un adattamento all’ambiente naturale e sociale, in un senso storico-culturale. Nel suo sionismo internazionalista, laicista e socialista, la razza ebraica rappresentava un popolo con una missione universale: creare in Palestina una società egualitaria, non confessionale e aperta, fondata sul lavoro collettivo e sulla proprietà comune.
La visione di Hess era profondamente inclusiva, in quanto l’emancipazione del popolo ebraico doveva servire da esempio per l’emancipazione di tutti i popoli oppressi, in risposta all’omologazione prodotta dal capitalismo industriale. Pur criticando l’assimilazione degli ebrei in Europa come risposta inefficace all’antisemitismo, Hess non teorizzava alcuna forma di suprematismo e prevedeva una coesistenza pacifica tra tutti i popoli. Il significato del termine razza negli scritti di Hess corrisponde più precisamente a quello che la terminologia contemporanea definisce come etnia. La trasformazione semantica del concetto in una gerarchia biologica associata all’ideologia suprematista della purezza eugenetica è solo il frutto di una distorsione operata posteriormente dalle teorie naziste.
Moses Hess si configura dunque come un pensatore rivoluzionario che integra marxismo, comunismo e sionismo in una sintesi originale e moderna. La sua opera teorica anticipò molte delle tensioni e delle soluzioni che avrebbero caratterizzato lo sviluppo del movimento sionista socialista, contribuendo alla formazione di un’alternativa laica e progressista alle correnti più tradizionaliste del nazionalismo ebraico.
Oggi, la visione di Moses Hess può offrire spunti preziosi per affrontare il conflitto israelo-palestinese. Lungi dal proporre l’annullamento dello Stato ebraico, la sua eredità suggerisce un ritorno alla soluzione dei due popoli in due Stati, ma con un impegno rinnovato per una riforma radicale dello Stato ebraico. Questa riforma dovrebbe ispirarsi ai principi del sionismo delle origini: laico, internazionalista, socialista. Abbandonando ogni tentazione suprematista o fascista, Israele potrebbe riscoprire la sua vocazione originaria di società giusta e solidale, aperta alla convivenza pacifica con tutti i popoli, non solo quello palestinese. Solo così si potrà realizzare la visione di Hess di un Medio Oriente in cui culture diverse e nazioni divestinte cooperino per un futuro di pace, uguaglianza e giustizia sociale.
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