Romeo e Giulietta in Egitto. L’ucronia biblica dei profughi

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Romeo e Giulietta in Egitto

L’ucronia biblica dei profughi

Articolo di Federico Berti

Cosa accadrebbe se oggi una famiglia non riconosciuta, un amore contrastato come potrebbe esserlo quello tra un’ebrea e un palestinese ad esempio, fuggisse da Israele o da i territori di Gaza e della Cisgiordania, portando con sé un bambino piccolo e provando a rifugiarsi nel delta del Nilo, in Egitto? Dove andrebbe, cosa troverebbe lungo il percorso, come verrebbe accolta? E’ una domanda tra l’ucronico e l’utopico, ma non inutile: matrimoni misti fra ebrei e arabi, sia non confessionali che religiosi, non sono frequenti ma rappresentano una realtà abbastanza numerosa da costituire argomento di grande interesse, soprattutto per il valore simbolico della scelta. Per innamorarsi bisogna aver scelto di frequentarsi, e per frequentare qualcuno che appartiene a un contesto sociale e culturale molto diverso dal tuo, devi aver già attraversato il muro. Proviamo a immaginare lei di Gaza, lui di Tel Aviv, incalzati dalle violenze dei rispettivi familiari ossessionati dal timore dell’assimilazione, intimoriti dalle minacce dei gruppi dell’estrema destra ultra-ortodossa in Israele, dal fondamentalismo islamico nei territori occupati. Entrambe rinnegati, diseredati, partono di notte senza prendere nulla con sé, temendo per la propria vita e per quella del bambino. Immaginiamoli percorrere la via per il delta del Nilo, come la sacra famiglia ha fatto due millenni prima di loro.

In primo luogo si deve tener presente che Israele e i territori occupati della Palestina sono in questo momento teatro di guerra, anche in Libia e Sudan la sicurezza è compromessa, la frontiera egiziana è dunque molto pericolosa da attraversare senza un visto. Non solo a causa delle operazioni militari al fronte ma anche per le frequenti iniziative di protesta interna, con scioperi e rischio attentati. Obiettivi potenziali sono le infrastrutture, i veicoli delle forze dell’ordine, le minoranze religiose, luoghi turistici e mezzi di trasporto. Massima cautela presso le stazioni degli autobus, le metropolitane e i mercati, nonché nelle vicinanze di edifici governativi, posti di polizia, strutture militari, luoghi di culto e musei o attrazioni turistiche. In alcune parti del paese, è concreto il rischio di sequestro. Da evitare gli assembramenti di qualsiasi tipo. Le regioni desertiche occidentali sono in mano a contrabbandieri e gruppi terroristici, l’accesso a queste regioni richiede peraltro un’autorizzazione ed è soggetto a restrizioni. Da evitare assolutamente i viaggi nel governatorato del Sinai del Nord. La situazione di sicurezza in questa provincia, compresa la zona di confine con la Striscia di Gaza, è estremamente instabile. Attacchi sporadici all’ordine del giorno, frequenti scontri coinvolgono le forze di sicurezza, gruppi terroristici e altre fazioni armate. Anche nel governatorato del Sinai del Sud, inclusi i luoghi balneari, il pericolo di attacchi terroristici rimane elevato. Sono tutte zone ristrette all’accesso dai militari. La regione del Sinai, il deserto arabo lungo il confine con Israele, il deserto occidentale attorno a El Alamein e la costa settentrionale fino alla Libia, contengono campi minati insufficientemente segnalati.

Una volta entrati in Egitto vi sarebbero poi altri problemi, ad esempio la microcriminalità radicata al Cairo e nelle altre metropoli egiziane, sono state segnalate anche aggressioni sessuali e rapimenti a scopo estorsivo. Altrettanto pericolosa la circolazione sulle strade, si verificano spesso incidenti per eccesso di velocità e violazione delle norme stradali. Si consiglia di non viaggiare in taxi e minibus fuori città. In alcune zone i veicoli stranieri vengono scortati dalla polizia. Le ferrovie sono antiquate e in pessime condizioni. Si tenga presente che in Egitto è proibita la coabitazione al di fuori del matrimonio tra cittadini egiziani e stranieri, come lo sono le dimostrazioni di affetto tra adulti in luoghi pubblici e gli atti omosessuali. Non si può consumare alcool in pubblico, non si possono criticare il governo e la religione, sono proibite le espressioni immorali. Non si possono inoltre fotografare persone in uniforme, strutture militari, edifici pubblici come aeroporti, stazioni ferroviarie, ponti, antenne, sedi di ambasciate. Non si possono importare droni e non si possono esportare beni culturali come antichità, reperti archeologici, fossili, coralli, nemmeno se regolarmente acquistati. Le sanzioni per consumo o spaccio di stupefacenti possono includere persino la pena di morte e la detenzione carceraria il più delle volte non rispetta gli standard previsti dalla convenzione di Ginevra sui diritti umani. Vi sono in ultimo dei rischi naturali: l’Egitto si trova in una zona sismica, il che significa che non si può escludere la possibilità di terremoti o eruzioni vulcaniche nell’area mediterranea, i quali potrebbero causare tsunami che colpiscono tutte le zone costiere del Mediterraneo.

Per quanto riguarda l’accoglienza dei migranti, l’Egitto ha dichiarato di consentire l’ingresso attraverso il valico di Rafah a 7000 cittadini della striscia di Gaza con doppia nazionalità. Di fronte all’evacuazione di un milione di persone imposta da Israele, nella prospettiva che si possano mobilitare fino a due o tre volte tanto, il governo egiziano si è dichiarato indisponibile ad accogliere un tal movimento di profughi da Israele, sia perché ritiene che la questione di Gaza sia un problema di tutto il mondo Arabo e dunque i residenti dovrebbero rimanere saldi al loro posto, sia perché temono, aprendo ai palestinesi, infiltrazioni di Hamas al Cairo. Israele ha anche proposto di cancellare, attraverso la Banca Mondiale, una porzione significativa del debito egiziano per indurre il governo di Abdel Fattah al-Sisi ad accogliere nel Sinai i palestinesi in fuga da Gaza. Nonostante il Financial Times sostenga che il paese sia in bancarotta, il primo ministro egiziano ha proposto di trasferire i cittadini di Gaza nel Negev. Quindi nessuna possibilità di accoglienza per la parte palestinese.

La comunità ebraica egiziana è stata stimata nel 2004 (nell’impossibilità di un vero e proprio censimento) sotto le cento persone, per lo più donne con un forte attaccamento alle tradizioni. Un calo impressionante rispetto alle 75.000 del censimento nel 1947 e le 30.000 di pochi decenni fa, quando gli ebrei di Alessandria erano attivi e presenti anche nelle istituzioni. La crisi di Suez nel 1956 e la guerra dei sei giorni nel 1967 hanno portato a una diaspora dall’Egitto verso Israele. Oggi pare che si sia ancora dimezzata, contando forse una cinquantina di persone. Vale la pena a questo proposito menzionare l’attività di Magda Haroun, che si batte da anni per preservare il patrimonio culturale ebraico in Egitto, anche in memoria di suo padre l’avvocato Chenata Haroun di cui vale la pena riportare la seguente citazione:

«Ogni essere umano ha numerose identità, e io sono un essere umano. Sono egiziano quando gli egiziani sono oppressi, sono nero quando i neri sono oppressi, sono ebreo quando gli ebrei sono oppressi, e sono palestinese quando i palestinesi sono oppressi».

Si deve tenere presente che questa comunità ebraica in Egitto era fondamentalmente concentrata nelle grandi città, Il Cairo ed Alessandria, città aperte e cosmopolite per definizione, ma nelle regioni del sud non si era mai spinta. Sono le regioni dove si sono sviluppati negli anni ’20 i Fratelli Musulmani, che perseguivano l’ideale di una rinascita nazionale teocratica su base islamica. La popolazione rurale era estranea alla regione del Delta, dove si produceva e gestiva la ricchezza nazionale. Oltre tutto la comunità ebraica egiziana era tutt’altro che omogenea ma si era formata per ondate successive ed era divisa al suo interno tra posizioni di tipo nazionalistico e protezionistico, assecondando slogan del tipo l’Egitto agli egiziani, una posizione di apertura all’europeismo, di tipo tendenzialmente anti-nazionalista, e una più moderata che perseguiva la visione di una società realmente multiculturale. In linea generale, possiamo dire che alcuni ebrei in Egitto negli ultimi due secoli hanno prosperato, ma la comunità ebraica era divisa al suo interno e non seppe affrontare i problemi relativi alla crisi di Suez e alla guerra dei sei giorni.

Più numerosa, ma ugualmente debole e soprattutto dispersa, la comunità palestinese nella valle del Nilo. Si parla di circa 70 mila persone, lo 0,1% della popolazione. E’ ancora vivo nel paese il ricordo della nakba, che vuol dire letteralmente ‘catastrofe’ e si riferisce all’esodo di centinaia di migliaia di palestinesi in occasione della prima guerra arabo-israeliana, nel 1948, all’epoca della nascita di Israele. Una parte di questi sfollati fu accolta nella Striscia di Gaza, allora controllata dall’Egitto, si può dire che un milione e mezzo di palestinesi attualmente residenti nella striscia discendano proprio da coloro che dovettero lasciare le loro case nel 1948, stiamo parlando di tre quarti dell’attuale popolazione palestinese oggi concentrata in otto campi sparsi in meno di cinquanta chilometri quadrati. Molti di loro tentarono di rifugiarsi in Egitto e da loro discendono gran parte dei palestinesi attualmente censiti sul territorio egiziano. Il timore che questa guerra scateni una nuova catastrofe umanitaria, una diaspora palestinese, è alla base del rifiuto da parte dell’amministrazione egiziana di accogliere la massa di sfollati dai territori attualmente inclusi nel teatro delle operazioni militari.

I nostri fuggitivi dunque, non potrebbero contare sull’appoggio di una comunità ebraica forte entrando in Egitto, e nemmeno su una comunità palestinese ben inserita nella società egiziana, potrebbero tutt’al più rivolgersi a un’eventuale rete personale di contatti, resa problematica oltre tutto dalla natura stessa della loro unione. I due profughi avrebbero dei problemi derivanti dalla convivenza al di fuori del matrimonio, considerata illegale nel paese. Si pensi alla presentatrice della televisione Doaa Salah, condannata a tre anni di carcere per aver parlato di sesso prima del matrimonio in televisione, commettendo un “oltraggio alla decenza pubblica”. Se i due volessero prenotare una camera d’albergo ad esempio, dovrebbero poter dimostrare di essere marito e moglie altrimenti verrebbe loro negata, o potrebbero verificarsi intorno a loro atti di violenza.

E’ molto diverso da quanto accade alla Sacra Famiglia nella tradizione copta. Al suo arrivo nel delta del Nilo, Giuseppe e Maria fin da subito si trovano a dover fare i conti con il crollo delle statue nei templi pagani, che suscitano intorno a loro un profondo risentimento da parte della popolazione, che addirittura chiede in alcuni casi la loro espulsione. La conversione del governatore Afrodisio è un episodio relativamente isolato, non avviene lo stesso nelle diverse tappe del loro viaggio, nelle quali tuttavia si testimoniano delle conversioni. Questo dettaglio, troppo spesso passato in secondo piano, corrisponde all’effettiva nascita di santuari e luoghi monastici nel territorio del Basso Egitto. Maria e Giuseppe dunque nel loro viaggio fanno in qualche modo proseliti, il bambino compie miracoli suscitando conversioni che vengono tuttora ricordate nel cristianesimo copto. Il loro viaggio dunque non è solo il viaggio di due fuggitivi, ma diventa a poco a poco una missione pastorale che oggi, dato il contesto storico e religioso, non potrebbe avere luogo.


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