Il sionismo socialista delle origini. Laico, egualitario, internazionalista

Kibbutz Degania Alef, Israel (1910)

Il sionismo di sinistra delle origini, noto anche come sionismo socialista o Labor Zionism, è stato una delle correnti più influenti e innovative del movimento sionista tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, soprattutto nella fase pre-statale della Palestina. Si tratta di un movimento politico e ideologico del quale sembra essersi perduta memoria nelle cronache e nelle analisi geopolitiche attuali, in cui si associa il sionismo in quanto tale al colonialismo e al suprematismo della nube nera che ha trovato ricetto anche in Israele. Non sarà inutile ricostruire un quadro approfondito delle sue radici, delle sue componenti ideologiche e delle pratiche sociali, in particolare riguardo ai kibbutz e alla questione della convivenza tra ebrei e non ebrei.

Il sionismo socialista nasce in Europa orientale e centrale come risposta sia all’oppressione antisemita sia alle difficoltà economiche e sociali vissute dagli ebrei nella diaspora. I suoi fondatori erano convinti che l’emancipazione ebraica non potesse avvenire solo attraverso l’appello alle potenze internazionali (come sosteneva il sionismo politico di Herzl), ma dovesse passare per la creazione di una società nuova, fondata sul lavoro collettivo e sull’uguaglianza sociale, direttamente in Palestina. Il pensiero di Moses Hess (“Roma e Gerusalemme”, 1862) è considerato il primo documento che propone la creazione di uno Stato ebraico socialista, dove il lavoro produttivo e la vita comunitaria avrebbero reso la società ebraica più sana e autonoma.

Altri teorici fondamentali del sionismo socialista furono Ber Borochov, che diede una base marxista all’idea stessa di uno stato ebraico, e Nachman Syrkin, che sviluppò il concetto di “socialismo territoriale”. Il sionismo socialista era decisamente laico, molti dei suoi leader e membri rifiutavano l’ebraismo ortodosso tradizionale, pur mantenendo alcune festività e simboli identitari. Nei kibbutz, ad esempio, le celebrazioni religiose erano spesso reinterpretate in chiave laica, agricola, la vita comunitaria era ispirata a principi di uguaglianza radicale, con proprietà collettiva dei beni, lavoro obbligatorio per tutti e distribuzione egualitaria delle risorse.

La laicità si esprimeva anche nella volontà di creare una “nuova società ebraica”, dove il lavoro manuale e agricolo veniva esaltato come strumento di rigenerazione nazionale e personale, in opposizione all’immagine dell’ebreo urbano e intellettuale della diaspora. Il kibbutz, nato nel 1909 con Degania, fu l’incarnazione più riuscita dell’utopia socialista sionista: una comunità agricola collettivista, senza proprietà privata, dove ogni membro lavorava per il bene comune e riceveva in cambio i frutti del lavoro collettivo, senza uso di denaro interno.

I kibbutz erano spesso autogestiti, democratici e basati su una forte solidarietà interna. In teoria, i primi leader del movimento kibbutz rifiutavano il modello coloniale classico (con ebrei proprietari e arabi lavoratori salariati) e volevano una società senza padroni né sfruttati. Alcuni pionieri, come Yosef Baratz, affermavano esplicitamente che non dovevano esserci datori di lavoro e dipendenti, ma solo lavoratori uniti dalla terra.

Nella pratica, la convivenza tra ebrei e non ebrei nei kibbutz fu limitata, la maggior parte dei kibbutz era composta quasi esclusivamente da ebrei anche se non vi erano barriere formali all’ingresso di non ebrei. In alcuni casi, arabi palestinesi furono assunti come lavoratori salariati nelle aziende agricole ebraiche, ma raramente si integrarono come membri a pieno titolo nelle comunità kibbutz. Ci furono eccezioni e tentativi di collaborazione, ma la realtà storica fu spesso condizionata dalle tensioni politiche e dal conflitto arabo-ebraico.

Il sionismo socialista ha avuto un ruolo fondamentale nella fondazione dello Stato di Israele e delle sue principali istituzioni politiche e sindacali. Ha dominato la scena politica israeliana fino agli anni ’70, promuovendo politiche di welfare, educazione laica e una cultura della solidarietà nazionale. Tuttavia,la posizione delal sinistra israeliana si è progressivamente attenuata con l’evoluzione della società israeliana, in modo particolare con il dilagare della nube nera negli ultimi venticinque anni.

Il sionismo di sinistra delle origini è stato però un movimento profondamente socialista, laico ed egualitario, che cercò di costruire una nuova società ebraica in Palestina fondata sul lavoro collettivo e sulla giustizia sociale. I kibbutz furono il laboratorio di questa utopia, con una forte impronta egualitaria e, almeno in teoria, aperti anche alla convivenza con non ebrei, anche se nella pratica questa rimase limitata. Non è corretto dunque, sostenere che il sionismo in quanto tale sia un progetto coloniale, confessionale, segregazionista e suprematista. E’ semmai vero che le idee suprematiste hanno trovato ricetto anche in Israele, come nelle maggiori potenze del mondo.


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