Le reti di Hebron e l’asimmetria del potere

Ghassan Kanaphani, Il pendio (1963). Racconto breve. Lettura integrale

Il fenomeno delle reti protettive installate sopra le strade nei quartieri palestinesi di Hebron e Betlemme, necessarie per difendersi dai detriti lanciati dall’alto dai coloni israeliani, ha attirato l’attenzione dei media internazionali negli ultimi trent’anni, ma ha origini molto precedenti. Le colonie israeliane post ‘48, strategicamente costruite su alture che dominano fisicamente i villaggi palestinesi sottostanti, incombono sul territorio e sono pensate per favorire l’instaurarsi di equilibri asimmetrici con le comunità dei nativi. Alcuni coloni lanciano sistematicamente rifiuti, pietre e oggetti pericolosi verso le aree abitate dai palestinesi, creando condizioni di vita precarie e umilianti per le comunità locali.

Queste pratiche, ampiamente documentate da organizzazioni come Amnesty International e B’Tselem, sono tutt’altro che recenti. L’analisi delle fonti storiche rivela dei riferimenti espliciti a pratiche sistematiche di sfruttamento ambientale e negligenza territoriale nel contesto palestinese, indicando una continuità strutturale nel degrado indotto a danno delle comunità locali. Le politiche discriminatorie israeliane, caratterizzate da severe restrizioni nell’accesso alle risorse naturali e alla terra, sono manifestazioni di un malessere profondo le cui radici affondano nel periodo del Mandato britannico e si sono progressivamente intensificate nel corso dei decenni. Questa continuità storica suggerisce che la marginalizzazione spaziale e ambientale dei palestinesi costituisse già un elemento strutturale del conflitto prima dell’occupazione del 1967, successivamente esacerbato dall’espansione degli insediamenti, dalle politiche di esproprio della terra e dalle restrizioni della libertà sempre più pervasive.

Il racconto “Il Pendio” di Ghassan Kanafani, pubblicato nel 1963, è particolarmente significativo di questo malessere, se considerato alla luce degli sviluppi successivi. L’opera precede di quattro anni l’occupazione israeliana dei territori palestinesi iniziata con la guerra dei sei giorni del 1967, periodo che ha segnato l’intensificazione delle politiche di insediamento e controllo territoriale che caratterizzano ancora oggi la realtà palestinese.

La dinamica simbolica rappresentata nel racconto attraverso il gesto dell’uomo ricco che getta sistematicamente rifiuti dal suo palazzo verso la baracca del calzolaio sottostante riflette una realtà materiale di negligenza e sfruttamento ambientale già presente negli anni Sessanta. Sebbene tali azioni non fossero direttamente correlate al deliberato lancio di rifiuti verso le abitazioni palestinesi, non in modo diffuso almeno, esse testimoniano somunque un disprezzo per l’ambiente e per le comunità locali che si sarebbe successivamente manifestato in forme sempre più esplicite e violente nei luoghi di maggior attrito.

Il simbolismo del pendio nel racconto di Kanafani assume valenza centrale nell’interpretazione dell’opera come prefigurazione letteraria di dinamiche politiche concrete. La baracca del calzolaio, nascosta sul fianco della collina tra la vegetazione per sfuggire allo sguardo del potere dominante, rappresenta efficacemente la precarietà esistenziale che caratterizza la condizione palestinese. La posizione fisica dell’abitazione, costretta a mimetizzarsi nell’ambiente naturale per garantire la sopravvivenza del suo occupante, simboleggia la marginalizzazione sistematica di un’intera popolazione.

Il palazzo dell’uomo ricco, maestosamente collocato sulla sommità della collina in posizione di dominio visivo e simbolico, evoca una gerarchia sociale e spaziale nella quale chi detiene il potere economico e politico esercita un controllo fisico e metaforico su chi occupa posizioni subordinate. Questa configurazione spaziale prefigura la realtà contemporanea degli insediamenti israeliani.

La rappresentazione letteraria di Kanafani anticipa così una violenza che si sarebbe concretizzata negli anni successivi attraverso modalità diverse, ma strutturalmente analoghe. L’autore, attraverso la costruzione della metafora letteraria, dimostra la capacità della letteratura di cogliere i processi storici ancora in fase embrionale, trasformando l’intuizione artistica in strumento di analisi politica e sociale.


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