Borochov e il proletariato ebraico.

Dov Ber Borochov (1881–1917) è stato un politico, filologo e intellettuale ebreo russo, tra le menti più brillanti del cosiddetto sionismo socialista, oltre che un pioniere nello studio dello yiddish come lingua letteraria. Cresciuto a Poltava nel cuore dell’Ucraina, 140 chilometri da Carchiv e 340 da Kiev, suo padre era un membro degli Amanti di Sion, tra le prime organizzazioni sioniste stutturate.
Borochov fu un attivista militante in diversi partiti operai, sostenendo di essersi scontrato più volte con forme di antisemitismo diffuse anche nella sinistra progressista del tempo, quindi fondò prima un’Unione dei Lavoratori Socialisti Sionisti nel 1901, poi il Partito dei Lavoratori di Sion nel 1906. Durante la Prima Guerra Mondiale proseguì la sua attività politica e di ricerca accademica negli Stati Uniti, poi rientrò in Russia con la Rivoluzione d’Ottobre, cui il suo partito aveva aderito, per organizzare le brigate ebraiche nell’Armata Rossa. Morì di polmonite l’anno dopo.
Borochov sostenne che gli ebrei fossero esclusi dalle attività produttive e tendessero a lavorare prevalentemente nell’intermediazione commerciale e finanziaria, per ragioni storiche legate a restrizioni legali, sociali e religiose imposte dalle società cristiane europee nel corso dei secoli: non potevano lavorare nell’agricoltura, nell’artigianato nell’industria, non potevano possedere terre o iscriversi a corporazioni di mestiere. Non solo ma se ai cristiani era proibito praticare il prestito a interesse, dagli ebrei qesta attività veniva tollerata o addirittura richiesta. Questo li rese ulteriormente bersaglio di stereotipi negativi e discriminatori.
Questi fattori storici portarono secondo Borochov alla cosiddetta piramide di classi invertita: la maggioranza degli ebrei era concentrata in professioni di intermediazione commerciale, finanziaria e intellettuale, mentre erano quasi assenti nelle classi lavoratrici produttive come agricoltori o operai. Questa struttura sociale li rendeva vulnerabili e dipendenti, alimentando un circolo vizioso di esclusione e marginalità, impedento la formazione di un vero e proprio proletariato ebraico. In sintesi, l’esclusione degli ebrei dalle attività produttive derivava da un complesso sistema di discriminazioni legali, religiose e sociali che li confinavano in ruoli specifici, spesso legati al commercio e all’usura, e impedivano loro di partecipare pienamente all’economia produttiva delle società europee.
Questa era la situazione che secondo Borochov, portava a una migrazione continua degli ebrei da un paese all’altro in cerca di nuovi mercati: l’ebraismo internazionale avrebbe dovuto svincolarsi dalle dinamiche della speculazione finanziaria tornando a un’economia reale attraverso il lavoro agricolo e manuale in Palestina, quella che Moses Hess chiamava la redenzione attraverso la terra: in questo modo si sarebbe venuto a costituire un proletariato ebraico che avrebbe dato il via a un’autentica lotta di classe, sia contro l’oppressione interna sia contro quella esterna. Scenario di questo processo storico avrebbe dovuto essere la Palestina per la valenza simbolica della regione, in qualsiasi altro luogo non avrebbe avuto lo stesso significato.
Borochov era sostanzialmente un marxista, convinto che la questione ebraica fosse da risolversi in un senso culturale e politico, superando la visione condizionante del dogmatismo religioso. Questo era il terreno comune su cui si sarebbero dovuti incontrare il proletariato ebraico e quello arabo, lottando insieme per l’emancipazione di classe, in un’ottica autenticamente internazionalista. L’insediamento avrebbe dovuto avvenire nei luoghi non ancora colonizzati della regione, sfruttando l’innovazione tecnologica introdotta dall’Europa per creare opportunità di cooperazione con il proletariato locale.
“Quando le terre incolte saranno pronte per la colonizzazione, quando la tecnica moderna sarà introdotta e quando gli altri ostacoli saranno rimossi, ci sarà terra a sufficienza per sistemare sia gli ebrei sia gli arabi. Normali relazioni tra ebrei e arabi prevarranno e dovranno prevalere.” — Ber Borochov, “Eretz Yisrael in our Program and Tactics”, 1917
E’ Molto importante chiarire anche il motivo per cui Borochov rifiutava il processo di assimilazione internazionalista del popolo ebraico. Una rapida assimilazione avrebbe portato alla decadenza culturale e attraverso questa, a una inevitabile marginalità economica e sociale. L’antropologia culturale stava dimostrando proprio in quegli stessi anni che Bochorv ed Hess avevano ragione: si pensi al modo in cui l’innovazione tecnologica ha disintegrato molte società native del continente americano, dell’Africa o dell’Australia, ridotte in poche generazioni a paria, emarginati, mendicanti, alcolizzati.
L’ebraismo aveva dalla sua parte millenni di esperienza nella costruzione di ‘comunità immaginate’, a differenza di tanti altri popoli questo lo rendeva un’avanguardia fondamentale nel passaggio dall’utopia alla prassi. Per questo non aveva senso il processo di totale assimilazione, ma si doveva pensare a un internazionalismo in grado di rendere conto di tutte le specificità culturali, in ogni popolo, in ogni paese. L’ethnos non andava soppiantato dall’ethos, o questo avrebbe portato a una deriva culturale implosiva. Borochov proseguì e sviluppò la linea indicata da Moses Hess mezzo secolo prima di lui, insistendo sulla necessità di una nazione ebraica socialista, in cui la rigenerazione sociale e nazionale andassero di pari passo.
Bisogna dire purtroppo che la sua visione di una lotta di classe laica e progressista in Palestina si scontrò con problemi concreti, che non fu in grado di risolvere: non solo difficoltà logistiche superiori alle aspettative, ma anche una resistenza inattesa nello stesso proletariato di lingua araba, influenzato dal nascente nazionalismo palestinese che in quegli stessi anni veniva alimentato dalle maggiori potenze coloniali del mondo: Francia, Germania, Inghilterra, gli stessi Stati Uniti nelle cui università insegnavano i primi ideologi dell’ethnos ‘filistino’.
Borochov, insieme a Nachman Syrkin, è considerato uno dei padri del sionismo socialista. Le sue idee hanno influenzato profondamente sia il movimento laburista sionista nei decenni successivi, sia la fondazione di istituzioni come il Poale Zion, la Histadrut (Confederazione Generale del Lavoro) e i primi insediamenti collettivi (kibbutz, moshav) in Palestina. Il suo pensiero ha lasciato una traccia duratura nella storia del sionismo e in quella del socialismo ebraico. Ber Borochov fu un pensatore rivoluzionario che cercò di coniugare la lotta nazionale ebraica con quella sociale, ponendo le basi teoriche e pratiche per il sionismo socialista, e lasciando un’impronta indelebile nella storia politica e culturale ebraica del Novecento.
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