Caronte cerca parcheggio. On the road psichedelic


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“Gli occhi di Caronte schizzano come lingue di fuoco nella notte”. Nella foto: G. Doré, Caronte. Illustrazione per la ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri

Caronte cerca parcheggio

On the road psichedelic

Gli occhi di Caronte schizzano come lingue di fuoco nella notte, la nebbia volge indietro le vampe ed è un incendio che mi sembra di attraversare il nulla come una torcia umana; impugno il remo spezzato del cambio cercando inutilmente di farmi strada nel fumo accecante senza riuscire a fermare la ruota che continua a girarmi in testa, dopo dodici ore di musica fra portici, piazze e giardini la mente continua a frustare corde immaginarie di una chitarra col ponticello all’altezza del mio basso ventre e la paletta del manico in cima alle nuvole, vanamente con le dita cerco accordi nell’aria tamburellando sul volante, come se stessi ancora suonando. Difficile è fermarsi, succede sempre così. Provo ad accendere la radio per sovrastare quel rabarbaro di suoni che mi si vanno arrotolando uno sull’altro in testa come le anguille nel secchio del pescatore, puntuale Caronte mi risponde con aria di scherno. “Difficile non è mica partire, ma fermarsi. Te ne accorgerai”. Fermarsi, già. Ripeto fra me. Dove? Quando? Trovare un parcheggio non è mica facile come sembra. La nebbia avvolge un mondo là fuori oscurato dalla notte senza luna, gli occhi s’incrociano alla guida un po’ per la stanchezza, un po’ per il pendolo delle curve che oscilla inesorabile davanti al mio sguardo esausto. Ovunque provi a stallare il mulo, non appena giro la chiave per spegnere il motore mi sento subito addosso decine di sguardi incuriositi dai palazzi intorno, chissà forse allarmati, anche se non li vedo perché nascosti dietro le tende. Un camper sotto casa genera sempre diffidenza il primo giorno, sospetto il secondo, insofferenza il terzo, dal quarto in poi si passa direttamente alle vie di fatto. Nei luoghi meno frequentati però, dove non hai case intorno, o conosci l’alfabeto morse degli abbaglianti quando te li trovi davanti, oppure stai alla larga da certi posti; quasi meglio parcheggiarti fra le cicale del sabato sera, vicino a qualche pub, osteria, di quelle aperte fino a tardi almeno un minimo di controllo intorno rimane, ma anche lì un po’ dormire poco e male, un po’ svegliarti guardingo che sgusciare in ciabatte al mattino dal culo del cetaceo cogli occhi cisposi e la barba semibreve sta mica tanto bene, i panni sporchi lavarli sempre in casa tua, se pensano che hai dormito proprio lì dentro sei già bruciato ed è meglio cambiare aria il prima possibile.

Gli occhi s’incrociano alla guida, la cosa inizia a pesarmi un po’. Sono costretto a doppiare le rotonde. Altro che libertà, tutte le volte che vado in un posto nuovo passo in realtà un sacco di tempo a studiarmi la gente, le piazze, le strade, per immaginarmi dove potrei mettere a riposo il barcaiolo infernale che mi porta in grembo. Non c’è bisogno di chissà quali indagini approfondite, dal bancone d’una birreria, s’imparano un sacco di cose! Mentre leggo scrivo disegno le orecchie afferrano discussioni a brandelli, saluti, storie di quartiere. Palazzi, negozi, passanti, infrastrutture. Capire dove sei può evitarti guai seri, quando sei in mezzo a una strada puoi ritrovarti intorno chiunque. Uscendo alzo lo sguardo al cielo e inizio a tracciare linee immaginarie fra le costellazioni per farmi un’idea di come gira il sole, perché d’inverno i primi raggi del mattino vengano a sciogliermi il ghiaccio dai vetri, perché d’estate il bozzolo di coperte in cui mi avvolgo la sera non prenda fuoco all’alba. Come gira la luna, perché se mi scappa da pisciare durante la notte meglio potersi guardare intorno prima di tirarlo fuori. Dov’è l’acqua, dove sono i mercati, dove i servizi. Tendo l’orecchio ai rumori notturni per capire se sono al sicuro. Affino lo sguardo ai movimenti diurni per vedere chi abita nei dintorni, che tipo di vita fa com’è vestito come cammina che lingua parla. Devi studiartelo il territorio e ci vuole il suo tempo, così torni più volentieri dove hai già segnato il posto col tuo odore, dietro quella siepe che da tanti spazi il guardo esclude c’è ancora una parte di te in fondo a una buca. Finisci per crearti nuovi legami, altri vicini di casa, baristi, lattai, giornalai, vigili, preti, suore, puttane: li conosci uno per uno, loro conoscono te e aspettano che torni. Puoi liberarti di qualsiasi cosa ma non di te stesso, la libertà ti scappa di mano nel momento esatto in cui trovi parcheggio.

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