Le guglie nell’Ars Memoriae. Una vertigine delle sommità

Le guglie nell’Ars Memoriae.

Una vertigine delle sommità

Articolo di Federico Berti

Da quanto si è detto sulla costruzione di un’architettura mentale o palazzo della memoria, è evidente come la varietà delle parti integrate nell’edificio non sia funzionale soltanto alla memorabilità dei contenuti, ma anche alla loro organizzazione gerarchica. Se ogni porta consente il transitus da una stanza all’altra, ogni scala consente di ascendere osservando le cose da una prospettiva più elevata, ogni colonna sia portante e dunque debba sostenere qualcosa che vi stia sopra, ogni rosone rimandi alla ciclicità, va da sé che apporvi delle cupole, merlature torri, comporta una crescente elevazione e impone un’analisi minuziosa dei contenuti, non una semplice archiviazione indifferenziata. Le guglie sono l’elemento che svetta sull’intero impianto e pertanto si prestano ad associarvi i concetti più alti: classi di idee, principi regolatori, leggi morali, summae.

Nella mistica medievale e nella cabala rinascimentale gli elementi architettonici più elevati o complessi erano pensati per connettere l’umano col trascendente, microcosmo e macrocosmo, l’uomo col divino; il basso era idealmente associato all’ombra, all’ignoranza, al peccato, l’alto alla luce. L’intera costruzione dell’oltremondo nella Commedia dantesca risponde a questa logica, il poema stesso è strutturato come un palazzo della memoria dove le corrispondenze numeriche, la struttura del verso, l’organizzazione spaziale delle cantiche, la figurazione dei quadri, tutto è pensato per la memorabilità. Il testo per secoli è stato effettivamente memorizzato dal più smaliziato dei giullari al più umile dei contadini: in basso, le idee particolari, in alto le idee generali.

È un procedimento diverso dalla lettura lineare, che nel sistema latino procede sempre dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra, in altri sistemi può invertire il senso di marcia, ma segue sempre una logica lineare univoca. Nella meditazione su un palazzo della memoria, si deve poter salire ai livelli più elevati e ridiscendere al terreno, per poi tornare a salire e scendere ancora, più e più volte: nel primo caso andremo verso un’elevazione dello spirito, nel secondo caso ci caleremo nell’intimità, nelle profondità dell’animo. Un tempo usava anche associare l’alto al maschile e il basso al femminile, visione da taluni banalmente intesa come supremazia di un genere sull’altro, ma che può spiegarsi con la ben più ragionevole idea della terra come un grembo che genera, mentre dal cielo piove l’acqua che fertilizza e soffia il vento che porta il seme fecondo.

Questa breve digressione sull’alto e il basso è stata necessaria a comprendere il senso della guglia, dall’antico agùglia (ago, obelisco, piramide) che a sua volta derivava dal latino acùcula, indicante l’ago, lo spillone, da cui il diminutivo aculeus per il pungiglione degli animali. Non solo è l’elemento più alto della costruzione, puntuto quasi volesse forare il cielo per congiungersi con quel che sta sopra: è anche l’elemento che rappresenta una sommità, associato all’alto per eccellenza, dunque si presta a ospitare loci che rimandino a concetti elevati, classi di idee molto ampie. L’alto insomma, sopra una guglia il cielo.

Sebbene venga normalmente associata all’architettura gotica, di cui costituisce uno degli elementi più caratteristici nella sua verticalità imperiosa, propria dello slancio mistico medievale, le parti di cui si compone e la sua stessa struttura ha origini più antiche nell’architettura funeraria romana: strutture come le torrette e i lanternini autoportanti del romanico erano già presenti nei reliquiari latini, la guglia ne riprende l’ottica dell’incastonamento, per cui s’immagina che ‘contenga’ qualcosa di sacro (o di molto importante) nel suo interno. Già nelle canopie lignee carolingie s’iniziava a innestare l’elemento figurativo del tabernacolo che anticipava le guglie del gotico, dunque possiamo racchiudere nelle nostre guglie un elemento che non si vede da fuori, ma di cui reca traccia nelle figurazioni esterne.

Oltre alla stratificazione che rende l’elemento a sua volta un piccolo albero della vita, una costruzione quasi autonoma, possiamo arricchirne la struttura variando la base poligonale delle sue parti a tre, quattro, sei, otto lati, secondo la ripartizione dei nostri pensieri. In una guglia si possono inserire statue, lanterne, orologi, timpani o frontoni, trafori, decorazioni geometriche o floreali. Può trovarvi posto una o più arcate, finestre, colonne, architravi, balconate, ognuno dei quali si presta a ospitare complesse stratificazioni di segni e immagini agenti, sormontate da un unico simbolo unificante. Ogni nuovo strato o parte aggiunta ospiterà un locus distinto, un mnemonista esperto è in grado di disporvi quantità davvero notevoli di contrassegni: Giordano Bruno ad esempio arrivava a organizzare fino a 150 immagini, suddivise in classi e gruppi di 30, tanto per rendere l’idea del livello di complessità cui si può pervenire; l’apprendista, o colui che si avvicina per la prima volta alla pratica, si limiterà a pochi segni ed elementi semplici. Nei livelli sottostanti della guglia, disporremo dettagli, sottoclassi informazioni specifiche. Gli strati della guglia rappresentano livelli gerarchici di astrazione e possono complicarsi in modo insospettabile.

Fondamentale è anche il punto di vista dell’osservatore, il fatto cioè di guardare la nostra costruzione mentale da tutte le prospettive e da diverse distanze, per abbracciarne l’aspetto nell’insieme e ingrandirne quando occorre le parti più minute. Essendo gli elementi componibili, scomponibili e nidificabili gli uni negli altri, noi possiamo concentrarci di volta in volta sopra un singolo microelemento, descriverlo in modo complesso per poi innestarlo sopra un altro elemento. La costruzione di ogni parte viene memorizzata e tornando a osservarla possiamo recuperarne il contenuto anche dopo averla impiantata in una costruzione più grande.

Prima di proseguire nella nostra visita attraverso i mondi possibili delle architetture mentali, si vuol chiarire un ultimo punto di fondamentale rilevanza: la scrittura interiore o ars notoria non si serve della carta e dell’inchiostro, non ha bisogno di penna e calamaio, poiché lavora direttamente sul rullo di cera della nostra anima. Quel che scriviamo, lo scriviamo dentro di noi, come se incidessimo nel corpo qualcosa che difficilmente si può cancellare: questo serve da un lato a capire che non è mai una buona idea abusare del metodo, dovremmo usarlo per cose che siano davvero importanti o può portare confusione nelle nostre vite. Una volta eretta la guglia (o le guglie) della nostra biblioteca di Babele, ogni volta in cui impareremo qualcosa di nuovo o torneremo su un pensiero che più non condividiamo, torneremo su quello stesso spazio per ristrutturarlo e organizzarlo. Ogni operazione che vi compiamo resta da qualche parte dentro di noi sotto forma di esperienza, non svanisce mai del tutto.

La nostra mente è duttile, malleabile, per tutta la vita impariamo cose nuove e rivediamo vecchie conoscenze ormai superate, per cui scriviamo e riscriviamo dentro di noi. Come si dice, nulla è nei vivi più certo della morte, tutto è caduco e multiforme: allenarsi a riorganizzare gli spazi interiori è un modo per rendere noi stessi più elastici, più disponibili al cambiamento, pronti a rivedere le cose da una prospettiva diversa. In questo senso, approfondire l’arte della memoria a livelli un po’ men che elementari, ci rende più saggi.


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