La finestra della mente. Mnemotecnica riformata

Illustration Artwork by Federico Berti. Created with Gimp/GPT

Indagheremo a questo punto l’evoluzione della finestra come figura simbolica, cognitiva e mediale, dal locus mnemotecnico dell’antichità fino all’interfaccia digitale contemporanea, con l’obiettivo di illustrarne le valenze potenziali nella costruzione di un palazzo della memoria. Attraverso un breve escursus storico si intende qui dimostrare come ogni palazzo mentale costituisca di per sé una finestra sul mondo, un dispositivo che articola la relazione fra interiorità ed esteriorità; ogni varco apre a nuove prospettive, visioni, crea un ponte fra la meditazione corrente e l’universo dello scibile (prospettiva multipolare), in modo simile alla porta che connette stanze, palazzi o quartieri, ma a differenza di quella non praticabile, con una funzione sostanzialmente contemplativa. Dalla mens fenestrata rinascimentale alla trasparenza modernista, fino allo schermo elettronico, la finestra si rivela non solo elemento estetico, ma modello epistemico. La mente, come l’architettura, si costruisce per varchi, soglie, attraversamenti e la finestra è uno degli elementi primordiali in questo processo di costruzione della memoria, l’uomo che si apre al mondo esterno per lasciar entrare la luce.

Come si è più volte ripetuto, dovremmo ormai aver acquisito in modo stabile questa consapevolezza: nell’ars memoriae antica la conoscenza si costruiva in forma spaziale e questo suo aspetto ‘corporeo’ è stato confermato dalle scienze cognitive di oggi. I maestri di retorica e filosofia, da Simonide a Quintiliano, insegnano a edificare nella mente un palazzo, composto da luoghi distinti (loci) entro cui disporre le immagini del sapere. Ogni luogo una finestra interiore. Quando Agostino, nel De Trinitate, paragona la mente a un occhio illuminato dalla grazia, egli vede la conoscenza come una luce che entra nella nostra interiorità illuminandone gli angoli bui, dissipando le ombre, consente all’anima di dare un senso alle cose. La finestra diventa così metafora del pensiero stesso, trasparente ma non invisibile. L’umanista Giulio Camillo porta questa idea all’estremo, nel suo Teatro della Memoria ogni finestra corrisponde a un livello del sapere, il pensiero si dispone come in una facciata luminosa, ordinata secondo le proporzioni dell’universo.

Con l’età moderna è la mente umana, in quanto parte della perfezione divina, a rispecchiare la struttura stessa della natura e dunque la memoria diventa una finestra aperta sull’infinito. Leibniz quando parla della monade come unità costitutiva del mondo ontologico, pensa a una realtà priva di finestre, in quanto essa stessa finestra sul tutto, mentre il panteista Spinoza vede l’anima dell’uomo come parte della sostanza unica, punto di contatto tra pensiero immateriale ed estensione corporea. In ognuno di questi modelli, la finestra è sempre il luogo della relazione tra dentro e fuori. Nel Romanticismo la finestra consolida il suo duplice aspetto di finestra verso l’esterno, ma anche verso l’interno, un locus che apre a nuove prospettive (finestra aperta) e insieme una sfida per l’immaginazione, l’intuizione, la ragione (finestra chiusa). La mente può immaginare quel che non vede, la finestra si fa strumento di invenzione estetica, soglia fra percezione e sogno.

Nel Novecento si accentua la componente riflessiva del varco, come una feritoia attraverso cui l’esterno può scrutare l’interno, rivelandone il flusso incoerente del pensiero. Mies van der Rohe con i suoi edifici di vetro trasforma il palazzo stesso in finestra abitabile, la trasparenza del pensiero che abbatte le pareti espone l’interiorità allo sguardo esterno, la finestra modernista diventa simbolo di spoliazione: una trasparenza che per Walter Benjamin si fa controllo, sorveglianza. Con la televisione e i media elettronici la finestra evolve addirittura in schermo che sostituisce la realtà fenomenica, lo sguardo non si affaccia più sul mondo ma su una mimesi del mondo, un flusso d’immagini riprodotte da una sorgente artificiale, la luce naturale viene sostituita da quella sintetica, il reale dal virtuale. Nel XXI secolo la finestra digitale è ovunque, ogni black mirror delimita un ambiente percettivo sostanzialmente chiuso all’esterno, un frammento di universo navigabile, esplorabile, ma prodotto in laboratorio: questa moltiplicazione dei varchi produce una nuova forma di cecità nel senso che vediamo tutto, ma non distinguiamo e non focalizziamo l’attenzione su nulla, perché l’uomo contemporaneo non guarda più attraverso la finestra, ma è la finestra a scrutare nel suo mondo interiore.

Si è voluto indugiare su questo aspetto duplice della finestra attraverso i secoli, per poter chiarire una volta ancora la dimensione sociale e in ultima analisi storica del lavoro di riforma qui intrapreso sulla mnemotecnica. L’indagine sulle reazioni della mente umana a stimoli esterni, ovvero sulla finestra che si apre sull’interno, costituisce di fatto strumento di abuso sistematico attraverso la violenza cognitiva della propaganda, della pubblicità, delle relazioni vampirizzanti. La manipolazione della mente passa proprio dai varchi che questa si apre per osservare il mondo, dunque comprendere e padroneggiare l’uso delle finestre nella costruzione delle nostre architetture interiori non serve solo a massimizzare e ottimizzare la capacità di elaborazione delle informazioni, ma diventa anche uno strumento di resilienza e resistenza culturale quando il soggetto pensante impara ad aprire o chiudere le sue finestre in modo consapevole, impedendo al mondo di penetrare impunemente nell’anima sabotandola, devastandola, asservendola. In questo senso il ruolo della finestra è doppiamente essenziale nella mnemopoiesi, poiché regola le relazioni che intratteniamo con quel che avviene dentro di noi e quel che percepiamo fuori di noi. A volte, bisogna saper chiudere una finestra che ci espone a relazioni abusanti.

Date le considerazioni fin qui esposte, quando mentalmente andiamo a costruire un palazzo della memoria per disporvi dei loci in un processo di mnemopoiesi o ricomposizione della memoria, dobbiamo pensare che ogni architettura mentale, per quanto solida e ordinata possa essere, ha bisogno di respirare, varchi attraverso le pareti dai quali affacciarsi e lasciar entrare la luce: collocare una finestra in un percorso mentale equivale a concedersi uno spazio attraverso il quale affacciarsi e orientarsi nel mondo. Ogni sua parte (montanti, architrave, vetrata, lunetta, panneggi) si presta a ospitare loci che rimandino a collegamenti ipertestuali chiaramente percepibili dal soggetto come bagaglio acquisito della propria conoscenza, con il quale si possono tentare i più arditi accostamenti, associazioni del tutto personali. Le colonne laterali corrispondono alle due polarità concettuali che ne sostengono il tema centrale; sull’architrave e la lunetta disporremo simboli, segni, figurazioni complesse, sigilli, che rimandino all’esperienza diretta del pensatore.

È il momento della verifica. Ciò che stiamo imparando, si può riportare alla realtà dei nostri sensi, a conoscenze che abbiamo già assimilato, principi stabili su cui fondare un ragionamento coerente, una legge nota, un fatto esemplare? La finestra consente di uscire momentaneamente dal percorso prestabilito dando all’immaginazione l’opportunità di elevarsi attraverso la luce, come Dante novello Elia attraverso i cieli. Nei luoghi mentali che la finestra ospita siamo liberi di rappresentare le nostre opinioni, riflessioni, libere associazioni, personalizzando il percorso di apprendimento, dando nuovo slancio all’assimilazione dei contenuti. Là dove le stanze tendono a chiudersi su sé stesse, la finestra invita alla transizione: un ponte fra discipline, paradigmi diversi, attraverso cui il pensiero passa creando collegamenti. Attraverso quel varco, tutte le idee si fecondano reciprocamente.

Ovviamente vale anche per la finestra quel che vale per gli altri elementi del palazzo, dev’essere unica e riconoscibile. Se disponiamo più finestre ognuna di queste deve avere struttura, aspetto esteriore, colore e ospitare loci diversi. La qualità stessa della luce che filtra da ognuna può dare un apporto semantico al varco: una luce dorata può simboleggiare la conoscenza intuitiva o spirituale, una luce bianca la chiarezza razionale, una luce rossa l’esperienza emotiva, una luce azzurra il pensiero astratto, una luce verde la sapienza naturale e così via. Per questo dobbiamo aprire varchi nei quartieri della nostra interiorità, varchi che consentano di rendere non solo l’esterno comprensibile dall’interno, ma anche l’interno comprensibile dall’esterno, ovvero la nostra visione interiore condivisibile con qualcun altro. Elemento che implica una dimensione collaborativa (non competitiva) dell’ars reminiscendi, poiché ogni finestra aperta nel nostro palazzo, può schiudere a noi prospettive nuove sul palazzo di qualcun altro

Bibliografia essenziale

  • Agostino d’Ippona, De Trinitate, Libri XI–XIV.
  • Giulio Camillo, L’idea del Theatro, Venezia, 1550.
  • René Descartes, Meditationes de prima philosophia, 1641.
  • Gottfried Wilhelm Leibniz, Monadologia, 1714.
  • Caspar David Friedrich, Donna alla finestra, 1822.
  • Charles Baudelaire, Le Spleen de Paris, 1869.
  • Claude Monet, La fenêtre à Étretat, 1883.
  • Le Corbusier, Vers une architecture, 1923.
  • Walter Benjamin, Erfahrung und Armut, 1933.
  • Marshall McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man, 1964.
  • Sigfried Giedion, Space, Time and Architecture, 1941.
  • Vilém Flusser, Into the Universe of Technical Images, 1985.
  • Jonathan Crary, Techniques of the Observer, 1990.

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