Ernst Cassirer e l’arte della memoria. Le forme simboliche elementari

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L’impatto di un’arte della memoria sulla mente umana è legato ai due principi fondamentali che regolano la costruzione di ogni architettura mentale: l’economia e la pertinenza delle associazioni di idee e delle strutture cognitive che noi riusciamo a elaborare per assimilarle in profondità, quello che diffusamente chiamiamo il “palazzo” della conoscenza.

Se gli studi di Lurja dimostrarono come l’abuso dei sostrati nel memorizzare possa congestionare la memoria naturale, il filosofo Ernst Cassirer elaborò nella prima metà del secolo scorso un sistema in grado di aiutarci a capire quando un sostrato appesantisce il ricordo: minimizzando la divergenza tra forma e contenuto. Se lo scenario di un’architettura mentale emerge dal contenuto stesso che si vuole interiorizzare, in altre parole quando l’architettura del pensiero si accorda al duplice principio di economia e pertinenza, le risorse che la nostra mente impegna nell’elaborazione del ricordo sono meno impattanti.

Questo era stato il grande problema affrontato nell’arte della memoria sin dal tempo di sant’Agostino e di san Tommaso: quello del rapporto fra memoria e verità. Un ricordo può avvicinare alla realtà profonda, o allontanarvi ingannando la mente. La filosofia di quel tempo, dunque, si interrogò su come un palazzo della memoria potesse rivelarsi un non-luogo, ovvero una costruzione mendace al pari di un falso sillogismo, dunque dannosa per la nostra mente poiché induce alla costruzione di realtà alternative, che ci rendono naufraghi e orfani della verità.

La questione posta dai padri della Scolastica diede impulso alle molte declinazioni esoteriche e mistiche sviluppatesi nel basso Medioevo e per tutta l’età moderna, che portarono spesso e volentieri l’ars reminiscendi a forme di semiosi ermetica incompatibili con il pensiero scientifico, rendendola sempre più una pratica da avanspettacolo, qual è diventata nel Novecento. Gli studi di Cassirer sulle forme simboliche, raccolti nella monumentale opera in tre volumi del 1923-29, permettono di uscire dal circolo vizioso in cui l’eroico furore della tensione verso la verità può allontanare dalla verità invece di condurvi.

L’applicazione della Filosofia delle Forme Simboliche di Ernst Cassirer all’arte della memoria — intesa quest’ultima non come semplice tecnica di memorizzazione, ma come mnemopoiesi, ovvero la costruzione consapevole di una memoria simbolica — consente di reinterpretare radicalmente la funzione del simbolo, riformando la pratica dalle sue fondamenta. Nella prospettiva di Cassirer, il simbolo non è un rivestimento accidentale del pensiero, ma il suo organo costitutivo.

In questo articolo si vuol porre in evidenza come le quattro forme simboliche primarie da lui analizzate (spazio, tempo, numero e io) consentano di implementare i principi di pertinenza ed economia indispensabili a una mnemotecnica efficace e coerente dal punto di vista ontologico ed epistemologico, fondata sulla consapevolezza della funzione formativa dello spirito.

Si riconosce a Cassirer il merito di aver superato la visione del linguaggio e, più in generale, del simbolo come mero strumento di rappresentazione o comunicazione di contenuti già dati. Contro questa prospettiva, nota come “teoria del rispecchiamento”, egli affermò che il simbolo non rispecchia la realtà, ma la forma: è il simbolo stesso, infatti, a rendere possibile il pensiero.

Da questo punto di vista, applicare la filosofia delle forme simboliche all’arte della memoria significa riconoscere che l’immagine mnemonica, il locus, il codice simbolico, il segno o il numero non sono meri strumenti di supporto, ma consentono al contenuto da ricordare di prender forma e coerenza nella mente. In altre parole, noi produciamo continuamente loci e palazzi della memoria senza rendercene conto, poiché questa è la modalità con cui la nostra mente elabora la conoscenza.

Cassirer mostrò come il linguaggio, il mito, l’arte e la scienza costituiscano le primordiali forme simboliche dell’attività conoscitiva umana. Ogni forma simbolica impone una direzione all’attività formatrice della nostra realtà interiore, influenzando il modo specifico con cui il soggetto pensante interiorizza l’esperienza sensibile: è il pensiero a formare la realtà nella mente dell’uomo, la sola realtà dall’uomo intellegibile.

Nel contesto mnemopoietico, ovvero dal punto di vista dell’ars reminiscendi, ciò implica che la memoria non si limiti a conservare il sapere, ma lo produca a sua volta. Quando il soggetto comprende che il simbolo non indica un contenuto ma ne crea l’immagine mentale, il legame tra simbolo e significato non può porsi come arbitrario o puramente convenzionale: l’immagine agente da porre nei loci dell’architettura mnemonica deve essere intimamente e profondamente legata al contenuto stesso. La mnemopoiesi implica dunque una meditazione attiva sulla pertinenza intrinseca al simbolo, in cui ogni immagine o locus è funzionalmente connesso all’idea che vuol rappresentare.

Cassirer, sovrapponendo la funzione del simbolo a quella dello schema trascendentale e dell’io penso kantiano, trasforma la costruzione simbolica in un atto di sintesi conoscitiva. Creare un palazzo della memoria significa allora esercitare la stessa attività sintetica che permette alla coscienza di unificare l’esperienza: non semplice accumulazione, ma organizzazione formativa del pensiero.

La stessa efficacia di un’arte della memoria dipende dalla sua capacità di organizzare vasti contenuti in strutture simboliche sintetiche. Cassirer individua quattro forme fondamentali — spazio, tempo, numero e io — che, se reinterpretate in chiave mnemopoietica, corrispondono ai pilastri su cui si fonda la costruzione della memoria.

Nella tradizione della mnemotecnica classica, i loci costituivano punti d’appoggio spaziali per l’immagazzinamento dei ricordi. La filosofia di Cassirer consente di giustificare questa pratica mostrando che la determinazione spaziale è il primo passo nella costruzione della realtà oggettiva: lo spazio non è un contenitore neutro, ma il principio che consente di distinguere le relazioni tra soggetto e oggetto. L’efficacia dei loci deriva dunque da una tendenza universale nell’uomo a proiettare l’esperienza nella dimensione spaziale: la memoria dello spazio non funziona perché è una convenzione utile, ma perché attinge alla struttura simbolica originaria attraverso cui lo spirito ordina il mondo.

La seconda forma simbolica, il tempo, introduce la dimensione della successione e dell’azione. Cassirer mostra come il tempo acquisti senso solo quando l’attività del soggetto unifica l’“ora” e il “non-ora” in un continuum dinamico. Il linguaggio stesso riflette questo principio: il verbo, portatore del tempo, sintetizza l’azione nel suo inizio e nella sua fine.

Nella mnemopoiesi, questa visione implica che l’immagine più efficace non sia statica ma narrativa: rappresenta cioè un’azione completa, con un soggetto e uno scopo. Le sequenze dei loci diventano quindi un racconto coerente, un viaggio mentale in cui il tempo si traduce in ordine e direzione.

Per Cassirer, il numero non è una proprietà degli oggetti, ma un medium imposto dal soggetto per stabilire relazioni e ordinare l’esperienza. Nelle culture arcaiche, come ancora oggi nella prima infanzia, il corpo stesso fungeva da matrice simbolica del contare (le dita della mano), dimostrando che la numerazione nasce da una simbolizzazione sensibile, non da un’astrazione pura.

In ambito mnemopoietico, la numerazione e la codifica alfabetica svolgono la funzione più alta di economia: ridurre un contenuto vasto a una forma gestibile e ordinata. Codificare un concetto in un numero significa imporre una forma alla materia caotica del pensiero, trasformando la memoria in una struttura logica. Il numero diventa così il ponte tra sensibilità e intelletto, tra l’immagine e la serie ordinata dei concetti.

La quarta forma simbolica fondante l’opera di Cassirer, quella dell’io, rappresenta il principio unificante della coscienza. Nelle prime espressioni linguistiche, il soggetto si definisce per opposizione all’oggetto, spesso attraverso l’azione: agire e patire sono le categorie elementari da cui nasce la coscienza di sé.

Il massimo sviluppo si ha con l’azione riflessa, in cui il soggetto determina se stesso, facendo coincidere il punto di partenza e quello d’arrivo dell’azione. Applicata alla mnemopoiesi, questa forma di autocoscienza implica che l’immagine di memoria non sia esclusivamente contemplata, ma agita: il soggetto si incorpora nel simbolo, e l’atto di ricordare diventa un atto di autoconoscenza. In tal modo, l’io funge da principio di coerenza dell’intera architettura mnemonica. Come unità assoluta priva di distinzioni interne, esso garantisce che le immagini e i simboli restino connessi da un filo logico e formale coerente.

La Filosofia delle Forme Simboliche di Cassirer offre dunque alla mnemopoiesi un fondamento teorico solido: ricordare è un atto di costruzione simbolica dell’interiorità. L’architetto della memoria (ovvero il soggetto conoscente) non usa il simbolo come un semplice rivestimento, ma come il mattone costitutivo con cui costruisce l’edificio stesso del sapere.

Pertinenza ed economia non sono principi esterni o tecnici, ma proprietà intrinseche del simbolo stesso, inteso come organo del pensiero: solo comprendendo questa natura formativa del simbolo, la memoria diventa ciò che è realmente, una forma di conoscenza incarnata, un atto dello spirito che costruisce il mondo e, al tempo stesso, individua il proprio sé.

Questo naturalmente impone al mnemonista una meditazione attiva sui sostrati che impiega nella costruzione delle proprie architetture mentali, una scelta oculata dei segni e dei simboli di cui si serve per implementare l’assimilazione delle informazioni in profondità.

Riempire la nostra mente di non-luoghi può essere motivo di alienazione, indurre a forme di ideazione disturbata; perciò, quando si parla di ars reminiscendi, non è più possibile intendere solo un insieme di espedienti, ma piuttosto una disciplina dell’interiorità, una tecnologia del sé.

Tenendo altresì presente l’abuso dei non-luoghi nella violenza cognitiva (endemica, istituzionale persino) o, più semplicemente, della manipolazione nelle relazioni abusanti, allora la mnemopoiesi può porsi come strumento di resistenza individuale ed eventualmente di massa, orientata alla trasformazione dei non-luoghi in luoghi significanti, neutralizzando qualsiasi forma di architettura abusante, da qualunque parte provenga.


Bibliografia essenziale

  • Berti, Federico, Memoria. L’arte delle arti, Bologna, StreetLib, 2022.
  • Berti, Federico, Rivoluzione interiore. Mondi possibili e guerra cognitiva, Bologna, StreetLib, 2023.
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