Competizione e addestramento. Memoria fattuale e valoriale

Competizione e addestramento 1
Memoria fattuale e valoriale
Articolo di Federico Berti
La digitalizzazione dei ricordi ha imposto negli ultimi anni un problema etico, toccando temi che sconfinano nella distinzione uomo/macchina, portando a riflettere sulla relazione tra reminiscenza e principio di individuazione, ovvero sul ruolo dela memoria nella consapevolezza del sé. Il punto focale è distinguere tra memoria fattuale e memoria valoriale: le nuove tecnologie sembrano promuovere un’atti-vità ipertrofica di accumulazione che privilegia il criterio della quantità episodica, rispetto alla qualità e al significato degli elementi esperienziali: cosa vuol dire per noi quel ricordo, come riverbera nella nostra memoria naturale, come si radica nel profondo. Se si assume il paradigma della memoria come semplice raccolta di dati, questo può avere implicazioni critiche per lo sviluppo etico del soggetto pensante, ridotto a quello che Marcuse chiamava l’uomo a una sola dimensione, che vive in uno stato di inconsapevole sonnambulismo cognitivo. L’estrema degenerazione di questo stato è la sindrome autistica del sauvant.
La macchina per sua natura quantifica senza poter operare sui dati un’elaborazione realmente qualitativa: può combinare una mole sovrumana di dati, ma non possiede un inconscio in cui radicarli, non risponde cioè al principio junghiano di individuazione. Nella realtà della mente umana, la reminiscenza è in primo luogo un atto etico inscindibile dall’identità del soggetto pensante, va dunque osservata in una prospettiva olistica, non puramente procedurale: la memoria fattuale, scollegata dal problema semantico ovvero dalla figura del pensatore, è solo una pallida mimesi della mente umana, un simulacro.
Per questo motivo l’abuso dei sistemi di modellizzazione può compromettere nell’uomo la facoltà di sedimentare il dato e restituirlo alla coscienza per conferirgli uno spessore etico, dargli cioè un significato personale: questo è il procedimento attraverso cui la coscienza evolve a partire dall’espe-rienza per pianificare le scelte in prospettiva, immaginando mondi possibili. Delegare la memoria alla macchina comporta il dilemma platonico della mente che perde la capacità di produrre nuovi ricordi, soppesandone le implicazioni valoriali. Questo alla lunga porterebbe a un’umanità disumana, producendo creature alla mercè di ogni dispotismo tecnicamente possibile, proprio in quanto prive di un’etica personale. Quello che Hanna Arendt vide negli occhi dei nazisti processati a Norimberga, capaci solo di ‘eseguire degli ordini’.
Uno dei problemi rilevati in questa dinamica di epurazione dell’uomo dall’uomo è la progressiva inibizione dell’oblìo consapevole che conduce all’incapacità di differenziare e stratificare l’esperienza sensibile, ostacolando l’emancipazione dal flusso, una pericolosa forma di alienazione: la memoria per poter svolgere al meglio la sua funzione deve essere in grado di scegliere le informazioni da scartare, entrando in relazione solo con quel che desidera correlare alle esperienze pregresse. Dimenticare è essenziale per l’evoluzione della soggettività. La memoria accompagnata dall’oblìo possiede di fatto un potenziale creativo, poetico, funzionale all’esercizio dell’arbitrio, mentre un accumulo infinito di dati non elaborati, non stratificati, come nel Funes di Borges, paralizza il soggetto pensante.
L’uso delle tecniche mnemoniche potenzia l’apprendimento e la concentrazione, trasformando il modo in cui le informazioni vengono immagazzinate e recuperate, sfruttando in particolare la capacità umana di elaborazione sensoriale e spaziale: più si impara, più si impara a imparare, poiché il processo è fondato sull’associazione di nuove informazioni con quelle acquisite in precedenza. Tuttavia l’essere umano ricorda per immagini sinestesiche, multisensoriali, che sono a loro volta emotivamente non neutre: questo lo sanno bene i ‘memory surfers’ delle competizioni internazionali, che associano le informazioni a immagini stravaganti, ridicole o dolorose, in grado cioè di commuovere suscitando un’emozione. Le tecniche di memoria sono impegnative, massimizzano il ricorso al focus dell’attenzione, è un sistema dispendioso dal punto di vista mentale e va usato con parsimonia, proprio per il fatto di agire non solo al livello della computazione, ma anche al livello dell’emozione: in modo particolare non si dovrebbe mai perdere di vista il problema valoriale, distinguendo la fase addestrativa, (computazionale) da quella cognitiva (mnemopoietica).
Le gare di memoria in cui si memorizzano migliaia di informazioni come sequenze numeriche, carte o parole casuali entro un arco di tempo definito, permettono di sviluppare e implementare le potenzialità di figurazione, la rapidità di elaborazione, ma pur non lavorando in modo consapevole sul sitema valoriale, agiscono comunque sull’emotività del pensatore. Anche l’ars reminiscendi propria delle tradizioni popolari europee, dove contadini e pastori analfabeti memorizzavano lunghi poemi, erano previste pratiche di compe-tizione rituale nell’improvvisazione poetica a contrasto, in cui qarrivavano a comporre in modo estemporaneo (modulare e istintivo), poesie da leggersi a versi contigui, alternati, inver-si, pur senza saper leggere né scrivere. Quindi sì, la competizione gioca un ruolo nell’addestramento della memoria.
Tuttavia questo agoni poetici non si limitavano alla mera ripetizione del dato inerte, ma richiedevano una combinatoria poetica in cui l’aspetto valoriale veniva necessariamente chiamato in causa. Nel contrasto in ottava rima ad esempio, agli agoni veniva assegnato un personaggio che ognuno dei partecipanti doveva far parlare mettendolo in relazione con gli altri in uno scenario comune, imponendo al poeta estemporaneo valutazioni ben oltre la semplice computazione. Anche nel gioco tradizionale degli scacchi si doveva trascendere la semplice ripetizione di schemi predisposti, attivando l’intuizione per sviluppare la capacità di interpretare le mosse dell’avversario, leggendo nel suo pensiero attraverso il movimento dei pezzi sulla scacchiera: una stessa posizione poteva assumere significati completamente diversi, a seconda della partita in cui si presentava.
Qui sta la differenza fondamentale tra computazione e meditazione, pratiche distinte ma complementari: la prima consente di sviluppare gli aspetti quantitativi della memoria, la seconda permette una meditazione più approfondita sulle implicazioni etiche e valoriali; l’insieme di questi due strumenti è funzionale all’esercizio della disciplina. L’obiettivo è mantenere il focus a lungo termine su un’armoniosa compenetrazione della mnemopoiesi come fenomeno olistico, che interessa l’individuo nella sua complessità, all’esercizio meccanico nella computazione di memorie fattuali.
Questa duplice dimensione si afferma più sul piano narrativo, creativo, simbolico, che su quello statistico-cumulativo: la memoria umana è valoriale, il criterio della qualità prevale su quello della quantità sia a livello individuale che collettivo. Senza la stratificazione delle informazioni data dalla soggettività della visione e dal filtro della sfera emotiva, la memoria non sarebbe altro che una vuota e ininterrotta accumulazione di dati inerti, la memoria di Funes per l’appunto. Compito dell’arte è dunque lavorare sulla connessione narrativa tra gli episodi nella loro natura organica, incorporata, emotivamente carica di significato. Quando la memoria fattuale viene a radicarsi nella memoria profonda, si sottrae alla logica quantitativa per abbracciare il principio di qualità, che si riflette nella soggettivazione del ricordo.
Nelle scelte morali, come nel dilemma del veicolo autonomo, la macchina opera in base a una razionalità imitativa che richiama la quantità attraverso l’analisi costi-benefici: per un sistema di modellizzazione l’elemento morale non è che una delle informazioni, la macchina in quanto tale è disincarnata, poiché manca di sensazioni, percezioni, rielaborazioni emotive: non è in grado di costruirsi una propria soggettività e dunque non può esercitare quella che i classici chiamavano phronesis, ovvero il buon senso, la prassi della sapienza applicata alla vita reale. Essendo la sua memoria sostanzialmente episodica, non può partecipare al piano umano/etico, proprio della reminiscenza incarnata.
1Dispensa per il corso di Mnemotecnica Riformata, a cura di Federico Berti.
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