Blasoni mentali. Araldica e immagini agenti nell’ars memoriae

Blasoni mentali1
L’araldica e le immagini agenti
Articolo di Federico Berti
Un blasone è lo stemma araldico di un casato o istituzione, costituito da figure e colori che ne riassumono in una sola immagine origini, storia e valori. Il termine deriva dal suono del corno medievale che annunciava i cavalieri, possederne uno si considerava un segno di nobiltà e prestigio; da cui blasonato, sinonimo di esclusivo, elitario, aristocratico. La tradizione dell’araldica si è formata nel XII secolo in Europa: i cavalieri, coperti da armature che ne rendevano difficile il riconoscimento, dovevano esporre simboli chiari e visibili, dipinti su scudi e caschi, per distinguersi in battaglia e nelle giostre. L’araldica nacque così come un sistema identificativo analogico a partire dal quale si sviluppò col tempo un codice regolato da norme precise, che permetteva di riconoscere famiglie, lignaggi e titoli nobiliari.
Quando vediamo un blasone siamo dunque di fronte a un sistema complesso di simboli, combinato secondo forme sviluppatesi a partire da un linguaggio strutturato che permetteva di raccontare lo stemma tramite una descrizione verbalizzata. La blasonatura divenne così un codice condiviso per catalogare e trasmettere la storia, l’identità e i diritti di intere famiglie nobiliari. Questo sistema si sviluppò nella Francia feudale per diffondersi in tutta Europa; gli araldi, incaricati del riconoscimento dei cavalieri, giocarono un ruolo chiave nel consolidamento di questa tradizione ermeneutica. In pratica, il blasone è un piccolo dispositivo di architettura mnemonica pensato per l’organizzazione e il richiamo di concetti complessi: agisce come un’immagine agente nell’arte della memoria, condensando molte informazioni in una sola figurazione simbolica e allegorica.
Nella costruzione di un blasone, la scelta dei colori o smalti non è casuale ma risponde a una cromatica semantica utilissima al mnemonista per la meditazione sui contenuti da rappresentarsi alla mente. Giallo, bianco, rosso, azzurro, verde, nero e porpora sono tradizionalmente associati a una rosa di concetti da cui si possono ricavare, per libera associazione, diverse altre declinazioni: il giallo rimanda alla ricchezza, al comando, alla potenza; il bianco alla purezza, l’innocenza e la giustizia; il rosso al valore, al coraggio, e all’audacia; l’azzurro alla verità, alla lealtà e alla spiritualità; il verde all’abbondanza, alla speranza e all’onore; il nero al lutto, al dolore e alla dedizione; il porpora alla dignità, alla nobiltà e fedeltà. Ogni colore è insomma associato a un contenuto simbolico, la cui forte connotazione lo rende funzionale all’impressione duratura del ricordo.
Le figure mobili scelte per ‘arredare’ il blasone rimandano a un canone condiviso di immagini convenzionali e si dividono in animali allegorici, figure vegetali come piante, alberi, fiori, figure artificiali come manufatti o costruzioni, e chimere ovvero creature mitologiche. Approfondirne lo studio richiede tempo e l’accortezza di non universalizzare mai l’associazione del simbolo al contenuto: occorre piuttosto riconoscere l’esistenza di una tradizione ermeneutica consolidata attraverso secoli di pratica condivisa, apprendendo la quale possiamo conoscere il modo in cui diverse comunità interpretative hanno attribuito significati a quei simboli nel corso del tempo. Questo permette di costruire immagini di memoria non arbitrarie e non autoreferenziali ma comprensibili anche da altre persone, alleggerendo il carico mentale per memorizzarle in quanto le immagini si accordano con flussi di idee riconfermate continuamente dalla collettività. Se infatti da un lato l’associazione tra simbolo e contenuto nell’ars memoriae antica può essere teoricamente arbitraria, poiché serve solo al mnemonista per richiamare ciò che è chiamato a rammentare, dall’altro servirsi di segni e simboli riconosciuti da una collettività permette alla nostra mente di avvalersi dei continui rimandi che rinforzano quell’associazione in altri contesti — arte, musica, letteratura, spettacolo — generando una rete di riferimenti che ne consolida la funzione mnemonica: è il principio di economia e pertinenza alla base della mnemotecnica riformata.
Anche la struttura del manufatto è portatrice di significato: lo scudo può dividersi verticalmente, diagonalmente oppure orizzontalmente, in due, tre o più parti non necessariamente uguali, secondo una combinatoria molto elaborata, come avviene nella costruzione dei loci classici, o nella moderna elaborazione delle mappe mentali. Ogni partizione ha un nome convenzionale, affinché l’immagine sia descrivibile verbalmente nel minimo dettaglio, mentre ogni quadrante può a sua volta essere suddiviso in sotto-quadranti, ampliando ulteriormente la varietà compositiva. La struttura è poi caratterizzata dalle cosiddette pezze onorevoli: bande orizzontali, verticali, fasce, scaglioni, cantoni, pali, ch ene caratterizzano ulteriormente l’aspetto visivo e il rimando simbolico, per cui possiamo dire che la composizione stessa dello scudo contribuisce alla sua narrazione attraverso le forme, prima ancora di collocarvi delle vere e proprie figure.
Queste ultime si dispongono all’interno dello scudo così strutturato come elementi mobili tratti da un canone convenzionale: figure naturali (piante, animali, corpi celesti), artificiali (edifici, armamenti) e chimeriche (creature mitologiche) che arricchiscono il blasone rendendolo un sigillo mnemonico, supportato da un sistema interpretativo che è lo stesso mutuato dalla letteratura e dalla poesia: il leone simboleggia il coraggio, l’aquila la potenza e la vittoria, la quercia forza e nobiltà, il serpente astuzia e prudenza, proprio come avviene nella dinamica delle metafore concettuali descritte da Ebbinghaus. Noi pensiamo per blasoni. Il canone di questi elementi figurativi è ampio e familiarizzarvi richiede studio, ma l sua varietà, la sua sistematicità e nello stesso tempo la sua apertura a nuove interpolazioni, offrono un utile repertorio per l’interpretazione dei simboli ricorrenti.
Altro elemento fondamentale nel blasone è il motto o impresa, una breve sentenza che rimanda a un detto sapienziale, un proverbio, una massima, da associare alle figure e alla struttura dello scudo in un sistema iconico-testuale di tipo ideogrammatico, cui si può approcciare come a un geroglifico funzionale. Questo concetto è familiare all’ars memoriae rinascimentale, ampliato da Giordano Bruno nella nozione di Sigillo: le associazioni figurate ricorrenti nella blasonatura si radicano in una pratica antica che è quella della scrittura interiore, fin da Alberto Magno e Tommaso d’Aquino si raccomandava l’uso delle similitudini corporee per richiamare alla mente le intenzioni spirituali, questa tradizione rimandava a sua volta all’ars notoria di Apollonio e alla meditazione sulle forme geometriche dei pitagorici. Il blasone, traducendo un’idea astratta in un’immagine fisica e codificata, assolve perfettamente questa funzione come fosse un cartiglio di ideogrammi.
Un esempio concreto di blasonatura a scopo mnemonico è nel coro della Basilica di Santa Giustina a Padova, dove si trovano intagli allegorici raffiguranti vizi e virtù, predisposti come strumenti meditativi per i monaci. Anche nelle tarsie di Santa Maria Maggiore a Bergamo le imprese iconiche sintetizzano ed evocano contenuti tratti dalle Scritture. La conversione dell’astratto in concreto risponde a un principio fondamentale nell’ars reminiscendi rinascimentale: Paolo Beni, retorico cinquecentesco, sosteneva che la memoria rerum (figurata) dovesse preferirsi alla memoria verborum (verbalizzata). SI ricordano meglio l ecose che le parole: rem tene, verba sequentur. Il blasone è dunque un microcosmo mnemonico strutturato, un’immagine agente collocabile come locus all’interno di qualsiasi architettura mentale. Approfondire le associazioni ricorrenti nel canone araldico — significati allegorici delle figure mobili, ripartizioni, palette cromatiche, pezze onorevoli, motti — può aiutare il mnemonista a creare luoghi non solo memorabili per sé stesso, ma portatori di contenuti comunicabili, condivisibili: strumenti di una memoria collaborativa, intesa come responsabilità comune.
1 Dispensa per il corso di Mnemotecnica Riformata, a cura di Federico Berti.
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