Fortunato Giordano, La Fuga in Egitto.

Fortunato Giordano, La fuga in Egitto. Cantastorie

Fortunato Giordano
La fuga in Egitto

Cantastorie siciliano

Abstract: In questo articolo si vuol prendere in esame il tema della fuga in Egitto da parte della sacra famiglia incalzata da Erode, ponendo a confronto due componimenti in ottava rima tratti dal repertorio di due noti cantastorie del Novecento, Fortunato Giordano e Otello Profazio. L’obiettivo è porre in relazione i due racconti con la tradizione degli orbi siciliani e gli apocrifi del Nuovo Testamento, proiettando l’una e gli altri nel contesto delle grandi migrazioni contemporanee.

L’episodio in cui si racconta la fuga in Egitto della sacra famiglia, minacciata dalla furia di Erode, è riportato nel Vangelo secondo Matteo, ma in modo relativamente sbrigativo. Non sono molti i particolari che l’evangelista riferisce in merito. Il tema è ampiamente sviluppato nelle tradizioni popolari del meridione italiano, nel cui repertorio di fiabe, novelle e canzoni, sono generosamente riportati dettagli assenti nella dottrina canonica, impreziositi da eventi favolosi di alberi che si piegano al passaggio dei profughi, fonti d’acqua che sorgono per dissetarli, fiere che li guidano attraverso il deserto brucando l’erba accanto alle greggi, per non parlare di quell’incontro straordinario che in alcune versioni viene attribuito al bambino, il quale in alcuni canti popolari si trova faccia a faccia con gli stessi ladri che moriranno con lui tre decenni più tardi sulla croce. Questi elementi non sono solo il frutto della fantasia di narratori estrosi, ma hanno com’è noto radici più profonde e soprattutto, radicate nel culto religioso. Scriveva Giuseppe Pitré nella seconda metà del XIX secolo, a proposito degli orbi siciliani nella cui tradizione si inscrive l’a tradizione’arte di cui il Giordano si fa tardo interprete e prosecutore:

“Si può ritenere che la maggior parte de’ fatti di queste leggende bibliche non menzionati ne’ quattro Evangeli, sieno opera della fede popolare più antica, la quale ne’ primi secoli dell’èra volgare diede luogo ai graziosi racconti che vanno sotto il titolo di Evangeli Apocrifi. Son semplici tradizioni piene di candore e di bonarietà, che la critica non accetta come storia positiva né respinge come pura invenzione: ma riguarda come testimonianza di storia morale, come argomento delle trasformazioni che uno stesso fatto andò subendo nelle classi inferiori della società”.

Giuseppe Pitré, Canti popolari siciliani, Vol.II, Leggende bibliche, Palermo, Pedone-Lauriel, 1871

Armando Bisanti riporta alcuni tra gli episodi presenti nella tradizione apocrifa del Nuovo Testamento, dove un nugolo di serpenti velenosi mette in fuga i servi di Giuseppe e si accosta ai piedi del bambino, che li ammansisce e ordina loro di seguirlo; leoni e leopardi addirittura diventano animali-guida, mostrando loro la via attraverso il deserto, mentre una palma piega i suoi rami fino in terra per placare la fame di Maria stanca del lungo cammino, e una sorgente d’acqua sgorga dalle sue radici. La sacra famiglia giunta nella città di Sotine in Egitto si reca in un tempio pagano e le statue delle divinità adorate in quel luogo misteriosamente crollano in terra, suscitando meraviglia nei presenti e innescando nel governatore di quella città la conversione. Interessante a questo proposito notare l’impossibilità che si tratti di una conversione al cristianesimo, dato che l’evento narrato precede di trent’anni la predicazione del profeta, si direbbe dunque più probabile una conversione all’ebraismo, sebbene per intercessione del bambino prodigioso e della Vergine cui Afrodisio cade genuflesso.

Nella canzone di Fortunato Giordano, quando la famiglia lascia Betlemme per recarsi in Egitto, Gesù ha tre anni, cosa che pone l’episodio molto più avanti rispetto alla natività. In questa versione del racconto un angelo appare in sogno a Giuseppe (si noti che l’angelo parla al padre, non alla madre), dicendogli di partire in fretta poiché il governatore di Roma intende uccidere entrambe. Giuseppe racconta il sogno a Maria, quella stessa notte decidono di fuggire senza nemmeno raccogliere le loro cose. L’angelo indica loro la strada. Dove passano ogni albero, fronda o fiore si inchina in segno di riverenza al bambino, Maria siede sotto una palma desiderosa di coglierne il frutto e quella tende i rami verso di lei. Segue l’episodio del ladro che assiste alla scena, scende dal monte per andare a prostrarsi davanti al bambino chiedendogli il perdono dei peccati, poi li ospita in casa sua dando loro ogni bene per proseguire il viaggio. Quindi accompagna in Egitto i profughi e il bambino gli profetizza che morirà sulla croce accanto a lui trent’anni più tardi. Manca nella sua versione del racconto, la parte relativa alle bestie feroci, mentre la conversione di Afrodisio è sostituita da quella del ladro, il resto sembra attingere direttamente alla tradizione indicata dal Pitré e dal Bisanti.

Il testo cantato dal siciliano Fortunato Giordano corrisponde in alcune parti a quello nel repertorio del calabrese Otello Profazio, per quanto cantato su una melodia completamente diversa. Ognuna delle due versioni riporta però dettagli assenti nell’altra, il che induce a ritenere che entrambe siano attinte da una fonte precedente. Profazio infatti parla di un nuvola peregrina che fa ombra a Maria, sulla terra brulla pone unba manna di mosaica memoria, rubini e perle che traboccano dal fiume Giordano, una sorgente d’acqua fresca e dolce che sgorga da sotto una pietra per dissetare la donna tormentata dalla sete (con tanto di orazione della pietra medesima), gli animali si avvicinano rendendo omaggio ai fuggitivi, gli uccelli intonano un concerto delizioso. Nella versione del Profazio tuttavia manca ogni riferimento alla conversione del ladro e alla profezia della sua crocefissione, che invece viene riportata dal più anziano di lui Fortunato. Le ottave in comune tra i due canti corrispondono in modo talmente perfetto da far pensare prorpio a una tradizione comune e a un testo di riferimento precedente, in cui è possibile che fossero menzionati altri dettagli.

Una tradizione precedente quindi, non estranea alle congregazioni religiose ma al contrario, sotto il controllo di queste per quanto riguarda le coerenza dei contenuti. Una coerenza cui non sempre corrisponde la storicità degli eventi narrati. Sappiamo che il tema della Fuga in Egitto viene considerato ambiguo dagli storici, se bene le vie di comunicazione tra Israele e il Nilo fossero molto frequentate in quegli anni e ad Alessandria sia documentata la presenza di una comunità ebraica ben radicata. Anche dal punto di vista della congruenza con le date e la presunta età del bambino, sono state poste in evidenza alcune discrepanze: Matteo colloca la nascita del Redentore quattro anni prima rispetto alla morte di Erode il grande avvenuta nel 4 a.C., mentre Luca sostiene che sia nato nell’anno del censimento di Quirino, avvenuto un decennio più tardi. La discordanza tra queste due fonti non è mai stata del tutto risolta dal punto di vista teologico e questo rende problematico datare il presunto editto di Erode sulla strage dei bambini. Una delle contestazioni rivolte alla fonte evangelica è che la tesi della difficoltà ad arrestare il bambino e sua madre nella grotta di Betlemme, sarebbe stata insostenibile in una piccola località come quella e con una cometa giunta proprio sopra la grotta della natività a segnalarne laposizione. Teologi cattolici, ortodossi e presbiteriani, come ad esempio Raymond Brown, Rudolf Baltmann, John Dominic Crossan,, sostengono la dubbia storicità del racconto che per loro avrebbe un valore puramente simbolico e sarebbe volto ad avvalorare l’idea del messia come nuovo Mosè.

Date queste premesse è tuttavia doveroso ricordare l’importanza che il tema della fuga in Egitto ricopre nella tradizione copta del cristianesimo ortodosso, essendovi tuttora sulle rive del Nilo santuari attestanti la presenza di un culto reso a questi eventi, dunque se prescindiamo dalla storicità della narrazione popolare, dobbiamo comunque prendere atto della storicità del culto. La spiegazione più ragionevole della sua permanenza in un ambiente culturale cattolico è che si tratti di testimonianze culturali lasciate da migrazioni databili intorno al XV secolo attraverso l’Egeo e il mare di Sicilia, in quel meridione della penisola che rappresenta da sempre un crocevia attraverso il Mediterraneo. Sergio Bonazinga fa notare che il tema della fuga in Egitto, per quanto spurio e apocrifo secondo la dottrina cattolica, è tuttavia centrale nelle celebrazioni rituali della festa di San Giuseppe in Sicilia. La sua rappresentazione ricorre sia nei testi in lingua italiana che nella poesia dialettale. Si tratterebbe di un repertorio formatosi a partire da fonti scritte che risalgono a un periodo compreso fra il XVI e il XVIII secolo, comune a molte tradizioni locali, riassorbite nelle arti popolari dallo spettacolo dei pupi al repertorio dei cantastorie, alla narrazione familiare di fiabe e racconti.

Il problema qui posto è quello della corrispondenza tra i racconti riportati nella tradizione degli orbi siciliani, gli apocrifi che li hanno ispirati e i luoghi reali del culto religioso documentato e testimoniato da una quantità di monasteri in quella regione del Basso Egitto. Il primo luogo del presunto cammino percorso dalla sacra famiglia partita da Betlemme, è la città di Tal Basta nei pressi di El Zakazik, dove si narra che sgorgò la sorgente d’acqua e caddero gli idoli nel locale tempio. Da lì i profughi attraversarono il Nilo verso il Delta Occidentale, passarono da Wadi El Natrun, poi si diressero verso il Cairo dove riposarono sotto la palma del racconto apocrifo, un luogo che fu meta di pellegrinaggio per tutto il medioevo e ancora oggi è meta di turisti. Il motivo per cui non si fermarono mai a lungo è che ovunque arrivassero, gli idoli rovinavano al suolo per cui dovevano ripartire non volendo incorrere nell’ira dei residenti. Si diressero verso sud e giunsero a El Maadi nelle vicinanze di Menfi, poi a Samallut dov’è il Monte degli Uccelli a Ganal El Tair dove sarebbe ancora impresso un palmo della mano del bambino, che avrebbe fermato una roccia staccatasi dalla parete affinché non ricadesse sulla madre. Lo chiamano il ‘Monte del Palmo‘. Giunsero quindi al Monte Kusham, dove oggi si trova un altro monastero dedicato alla Vergine e si racconta che il bambino dormisse proprio sul piano dell’altare. Sulla via del ritorno si fermarono al Monte Dronca, dov’è un altro monastero. Quando tornarono in Palestina, erano passati tre anni dalla loro partenza. L’aspetto interessante in questo percorso è che si tratta di un pellegrinaggio reale, nei luoghi della cristianità copta che sorsero con la nascita del monachesimo, in conseguenza della diffusione degli Apocrifi in cui si raccontavano quelle storie. E’ molto importante constatare la corrispondenza tra il racconto popolare e l’esistenza di luoghi reali, legati a un culto che tuttora viene reso al favoloso viaggio. Ancora una volta, ribadiamo che la storicità della fuga in Egitto è messa in dubbio, ma la storicità del culto reso a quei racconti che ne tramandavano la tradizione, rappresenta la componente reale del racconto fantastico.

Fortunato Giordano, nato nel 1911 a Palermo, appartiene come si è detto alla tradizione degli orbi cantastorie, di cui rappresenta uno degli esempi più tardivi essendo rimasto in attività fino agli anni ’80 del Novecento. Interprete e suonatore di grande talento, con particolare riguardo al repertorio religioso, restò orfano molto presto sia di madre che di padre e dovette arrangiarsi svolgendo diverse professioni. Imparò l’arte popolare da suonatori di strada, mise in piedi un ‘concertino’ e da allora ebbe una discreta fortuna. La tradizione in cui si sviluppa il repertorio narrativo e musicale da lui ripreso è quella degli orbi siciliani, riuniti in congregazione a Palermo dai Gesuiti nel 1661 proprio con il compito di diffondere testi poetici dialettali di argomento religioso; dalla biografia di Giordano non è chiaro se fosse parte o no di questa pur laica congregazione, ma è noto che i testi religiosi di questo ciclo non erano sempre scritti dalle stesse persone che li cantavano, rimandavano spesso a intellettuali accreditati presso il clero e gli ordini monastici. Il tema della Fuga in Egitto era parte di un officium pastorum riconosciuto dalle istituzioni ecclesiastiche, sebbene con alterne vicende e controversie intorno alla disciplina sia dei repertori che delle forme di espressione, inclini a un sincretismo che travalica a volte l’insegnamento dottrinale, ponendosi in un’intersezione evidente fra popolare e colto, canonico e apocrifo, sacro e profano.

Il tema della Fuga in Egitto riproposto da Fortunato Giordano, per quanto antico nella radice e spurio nella collocazione, è di grande attualità, poiché affronta il tema della migrazione e dei perseguitati politici che attraversano ancora oggi i confini di stati e nazioni, tema particolarmente sentito in Sicilia, Calabria, Lucania e Puglia, teatro delle tragedie che tutti noi dolorosamente ricordiamo. Scriveva nel 2020 il pontefice Francesco nella rivista ‘Migranti’

Nella fuga in Egitto il piccolo Gesù sperimenta, assieme ai suoi genitori, la tragica condizione di sfollato e profugo «segnata da paura, incertezza, disagi (cfr Mt 2,13-15.19-23). Purtroppo, ai nostri giorni, milioni di famiglie possono riconoscersi in questa triste realtà. Quasi ogni giorno la televisione e i giornali danno notizie di profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca di sicurezza e di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie

Jorge Mario Bergoglio, Migranti, Rivista di informazione e di collegamento della Fondazione Migrantes, Anno XLI – Numero 7-8 luglio-agosto 2020

Bibliografia

  • Albright, W.F. e C.S. Mann. “Matthew.” The Anchor Bible Series. New York, Doubleday & Company, 1971.
  • Bergoglio, Jorge Mario, Migranti, Rivista di informazione e di collegamento della Fondazione Migrantes, Anno XLI – Numero 7-8 luglio-agosto 2020
  • Bonazinga, Sergio, Le forme del racconto, I generi narrativi di tradizione orale in Sicilia
  • Brown, Raymond E. The Birth of the Messiah: A Commentary on the Infancy Narratives in Matthew and Luke. London: G. Chapman, 1977.
  • Clarke, Howard W. The Gospel of Matthew and its Readers: A Historical Introduction to the First Gospel. Bloomington: Indiana University Press, 2003.
  • Gundry, Robert H. Matthew a Commentary on his Literary and Theological Art. Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1982.
  • Jones, Alexander. The Gospel According to St. Matthew. London: Geoffrey Chapman, 1965.
  • Giuseppe Pitré, Canti popolari siciliani, Vol.II, Leggende bibliche, Palermo, Pedone-Lauriel, 1871.
  • Schweizer, Eduard. The Good News According to Matthew. Atlanta: John Knox Press, 1975
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