Sexy Cyborg. Naomi Wu e la propaganda anticinese

Illustration Artwork by Federico Berti. Created with Gimp/Qw

Articolo di Federico Berti

Mi viene sottoposto il caso dell’hacker cinese Naomi Wu, nota anche come Sexy Cyborg, la quale è stata silenziata (ali tagliate) dalle autorità cinesi, repressione motivata dal governo per il fatto di aver denunciato nei media occidentali e transnazionali alcune falle di sicurezza nei driver della tastiera Sogou della Tencent1. La sua denuncia, ma ancor più la condivisione di questa fragilità nei media internazionali, è stata percepita dalle autorità governative come una minaccia allo stato e dunque sono stati presi dei provvedimenti molto severi nei suoi riguardi; l’attivista si è lamentata del silenzio nei media occidentali, da cui sostiene di sentirsi ‘abbandonata’. Il caso viene presentato in questi giorni dalla stampa internazionale come un esempio di censura repressiva e violazione dei diritti umani da parte della Cina, ma come vedremo la questione è più complessa di come viene posta. Il primo passo nell’esaminare il caso è come al solito abbattere gli idola baconiani del pregiudizio, partire cioè dal presupposto che non conoscendo la vicenda di Naomi Wu, una sola versione riportata in un solo articolo non basta a ricostruirla. Il secondo passo quindi sarà tentare di isolarvi tutte le componenti di criticità, le eventuali contraddizioni interne quindi raccogliere quanto più materiale possibile per confrontare le varianti nel racconto2.

Da un esame diacronico il caso di Naomi Wu risulta più complesso di quanto la stampa occidentale voglia far credere, poiché non interessa solo il problema della censura, ma va a scoprire almeno quattro fili rossi che si intrecciano l’un l’altro. Il primo punto è la sicurezza nazionale del grande Firewall cinese, tema che sconfina nel pericolo di violazione informatica transnazionale e dunque interessa i servizi segreti, esattamente come in qualsiasi altra nazione del mondo: la sicurezza digitale non viene difesa soltanto in Cina ma anche in Europa, in America e nelle altre democrazie occidentali3. Il secondo punto è un tema altrettanto controverso, quello delle interferenze nella politica cinese da parte di organizzazioni come il NED statunitense, che sotto l’apparente missione di promuovere la democrazia nel mondo mette in pratica invasive campagne di violenza cognitiva finalizzate al regime change, i cui risultati abbiamo visto in Ucraina4 e altrove: l’attivista cinese, per sua stessa ammissione, è stata portata alla ribalta dei media occidentali come simbolo di resistenza antigovernativa, per poi propagandarne la repressione. Promossa inizialmente dal sistema di Twitter, Sexy Cyborg ha dichiarato di essersi sentita (parole sue) ‘abbandonare’ dall’Occidente con l’acquisi-zione dell’azienda da parte di Elon Musk. Un classico caso di bolla mediatica costruita dall’algoritmo stesso e poi scoppiata nel momento più delicato5.

Si direbbe che siamo di fronte a un caso di sicurezza nazionale e in un senso più ampio di guerra ideologica, come la stessa Wu l’ha definita per sua ammissione, ma non basta: altri due temi si aggiungono alla vicenda personale dell’hacker cinese, il fatto di essere un’attivista LGBTQ+ in Cina6, dove la comunità queer sta ancora incontrando difficoltà nel riconoscimento istituzionale, e cosa forse più problematica l’appartenenza della sua compagna alla comunità uigura nel nord-ovest del paese7. Qui il caso purtroppo si complica, andando ben oltre la semplice denuncia per una falla nella sicurezza digitale: la questione uigura è tutt’altro che lineare, quello che i media occidentali definiscono unilateralmente un genocidio, viene intepretato da parte delle autorità cinesi come un problema di eversione, separatismo e terrorismo. Secondo Pechino, non si mandano uiguri nei campi di lavoro in quanto appartenenti a un’enclave culturale, ma per attività apertamente sovversive e previo un equo processo8, come accadrebbe in qualsiasi altro stato occidentale. L’appartenenza alla comunità uigura della compagna di Naomi Wu, aggraverebbe dunque la criticità della sua situazione.

Se dunque osserviamo la vicenda personale dell’attivista in modo diacronico, vale a dire da tutti i punti di vista, ci rendiamo conto che la questione va a toccare proprio i quattro punti che più spesso ricorrono nella propaganda anticinese da parte della stampa euro-atlantica: le denunce sulla violazione dei diritti umani, il presunto genocidio uiguro, il panopticon e la sorveglianza digitale, la lentezza con cui si stanno progressivamente affermando i diritti della comunità LGBTQ+. Leggendo queste cose un occidentale si sente portato, per la natura polarizzante propria del dibattito politico in Occidente, a prendere le parti dell’attivista cinese, ma non è così semplice poiché tale visione si scontra con una cultura e un modello di governance radicalmente diverso: la risposta istituzionale rispetto al caso du Naomi Wu è che la repressione dell’iniziativa personale intrapresa dall’attivista sia motivata e giustificata da un problema di sicurezza nazionale, conseguente la condivisione di fragilità nel sistema predisposto alla protezione del paese dalle violazioni informatiche9.

Per uscire dall’ennesima logica polarizzante, dobbiamo dunque porre la domanda inversa: se queste forme di repressione in Cina vengono presentate dai media europei e statunitensi come strutturali e proprie del modello cinese, sarebbe opportuno chiedersi quanto la parte dell’accusa si stia dimostrando liberale su quegli stessi temi. La risposta purtroppo non è confortante e questo dimostra che i problemi evidenziati intorno al caso di Naomi Wu non sono esclusivi del modello cinese, non sono cioè conseguenza della democrazia centralizzata alla guida del paese. Basti pensare alla repressione violenta della comunità queer in Europa10 e negli Stati Uniti, alle deportazioni in massa delle minoranze etniche11, al mancato riconoscimento dei diritti di cittadinanza, alle violazioni della privacy da parte dei nostri governi12, alle infiltrazioni degli stessi nelle redazioni dei giornali, alla censura dei giornali indipendenti, allo scioglimento dei partiti di opposizione, alla giustificazione dei genocidi occidentali13, per rendersi conto che questi problemi non sono propri del modello di governance cinese ma interessano tutte le nazioni del mondo. Questo impone se non altro di ricercarne altrove le cause: non nel socialismo di mercato cinese, non nella censura di Pechino, ma in un disagio che si riscontra a livello internazionale, in tutti i paesi del mondo. Per poterlo risolvere si dovrebbe risalire alle cause reali, non attribuirlo ora a questo, ora a quell’attore contingente.

In conclusione, lungi dal voler prendere posizioni a favore o contro il caso di Naomi Wu, penso che piuttosto l’enormità delle implicazioni obblighi a un esame più attento della sua vicenda personale, giunta a noi non per via ‘orizzontale’, ovvero per una trasmissione spontanea di informazioni, ma per via algoritmica, viziata da un’amplificazione e reinterpretazione dei fatti in funzione apertamente propagandistica e anticinese. Si attribuisce cioè la repressione dell’attivista al modello di governance, non all’esecizio del potere in quanto tale, quando i dati dimostrano che il problema non è conseguenza di una politica propriamente cinese, ma si manifesta in varie forme in tutti gli stati nazione del mondo e dunque non dovrebbe ridursi a una propaganda monodimensionale ma suscitare piuttosto una riflessione ad ampio respiro.

Piuttosto, il caso di Naomi Wu suggerisce l’opportunità di riflettere in modo non polarizzante, obiettivo e documentato, sui singoli temi che il caso va a toccare, vale a dire il problema della sicurezza interna, la progressiva integrazione della comunità queer, le tensioni con la comunità uigura. Questi sono i temi messi sul tavolo dal caso di Naomi Wu, penso che il modo migliore per rendere merito all’intelligenza della stessa attivista, nel rispetto della sovranità popolare cinese, il nostro compito sia affrontare singolarmente ognuno di questi temi sfuggendo alla perniciosa visione dello schieramento acritico. Non si tratta di prendere le parti dell’uno o dell’altro, ma piuttosto di riflettere sulle ragioni dell’uno e dell’altro.

Note

1Jackie Singh, Naomi Wu and the Silence That Speaks, in: ‘Hacking but Legal’, 16 Agosto 2023, menziona la vulnerabilità nel software tastiera denunciata dalla Wu.

2Si rimanda per questo metodo a Federico Berti, Le vie delle fiabe. L’informazione è narrazione, Bologna, Streetlib, 2021 dove si propone di applicare all’informazione mediale gli stessi metodi elaborati dal folklore nell’indagine sulla narrazione popolare, raccogliendo più versioni di un medesimo racconto per isolarne gli elementi ricorrenti e le variabili divergenti.

3Secondo il bollettino annuale di Freedom House,Freedom in the World. Digital Booklet, Washington, 2024, in tutto il mondo si stanno utilizzando spyware avanzati e tecnologie di sorveglianza digitale che comportano un rischio concre-to per i diritti civili e la libertà di stampa. Non si tratta dunque di un problema causato espressamente dal modello di governance cinese come viene presentato nella rassegna stampa occidentale su Naomi Wu, ma piuttosto di un problema trasversale alle nazioni e indipendente dalle specificità contestuali.

4Sulle ingerenze del NED nello scacchiere dell’Europa Orientale si rimanda a Federico Berti, Guerra cognitiva e conflitto ucraino, in: Lo spettro di Mariupol, Bologna, Streetlib, 2024.

5Sarah Emerson, ‘Vice’, 25 Maggio 2018, Shenzhen’s Homegrown Cyborg. L’articolo spiega la sua presenza sui social occidentali e la guerra ideologica nel nome della quale sostiene lei stessa di essere stata strumentalizzata.

6Julia Hollingsworth,How Naomi Wu Wants to Change the Tech Scene’s Sexist Wiring, in: ‘Six Tones’, 15 Dicembre 2017, sull’attivismo della Wu nella comunità queer cinese.

7Jackie Singh, Naomi Wu and the Silence That Speaks, cit., menziona la rilevanza della questione uigura nel caso dell’attivista cinese, che non ha potuto lasciare il paese in quanto alla sua compagna sarebbe stato negato il diritto all’espatrio.

8Chris Zambelis, Uighur Dissent and Militancy in China’s Xinjiang Province, in: ‘Combacting Terrorism Center at West Point’, 10 Gennaio 2010, Vol. III/1. Prendere in considerazione la prospettiva del governo cinese non vuol dire asse-condarla, ma constatare l’aspetto controverso della questione uigura, da chiarire eventualmente nel corso di indagini e inchieste giudiziarie bipartisan. Non si può dare l’informazione come definitivamente acquisita, unilateralmente connotata, si deve segnalarne la criticità. La mancanza di cautela a riguardo, denota un atteggiamento più incline alla propaganda che all’informazione.

9Prendere atto della posizione governativa a riguardo, ancora una volta è funzionale a una comprensione profonda del tema, non necessariamente a una giustificazione dell’atto repressivo in sé. Jackie Singh, Naomi Wu and the Silence That Speaks, cit., attribuisce il provvedimento giudiziario a carico dell’attivista alla rigidità del modello cinese, ponendosi ancora una volta più nell’ottica polarizzante della propaganda che in quella dell’informazione.

10European Union Agency for Fundamental Rights, LGBTIQ equality at a cross-roads: progress and challenges, Sex, sexual orientation and gender. Equality, non-discrimination and racism,14 Maggio 2024.

11American Immigration Council Special Report, Mass Deportation: Analyzing the Trump Administration’s Attacks on Immigrants, Democracy, and America, 23 Luglio 2025.

12Bollettino ‘Human Rights Watch’ del 28 Luglio 2014, How Large-Scale US Surveillance is Harming Journalism, Law, and American Democracy. Ancora una volta il problema non sembra essere proprio del modello di governance cinese.

13Sul sostegno occidentale al genocidio palestinese da parte degli stessi che accusano la Cina del (tuttora presunto) genocidio uiguro, si rimanda al ben noto rapporto di Francesca Albanese che valuta la complicità di 63 Stati nello sterminio pianificato a Gaza, incluse forniture militari ed economiche da paesi occidentali.

Rassegna stampa

  • American Immigration Council Special Report, Mass Deportation: Analyzing the Trump Administration’s Attacks on Immigrants, Democracy, and America, 23 Luglio 2025.
  • Berti, Federico, Guerra cognitiva e conflitto ucraino, in: Lo spettro di Mariupol, Bologna, Streetlib, 2024.
  • Berti, Federico, Le vie delle fiabe. L’informazione è narrazione, Bologna, Streetlib, 2021.
  • Emerson, Sarah, ‘Vice’, 25 Maggio 2018, Shenzhen’s Homegrown Cyborg.
  • European Union Agency for Fundamental Rights, LGBTIQ equality at a cross-roads: progress and challenges, Sex, sexual orientation and gender. Equality, non-discrimination and racism, 14 Maggio 2024.
  • Freedom House Bulletin. 2024,Freedom in the World. Digital Booklet, Washington
  • ‘Human Rights Watch’ Bulletin, 28 Luglio 2014, How Large-Scale US Surveillance is Harming Journalism, Law, and American Democracy.
  • Hollingsworth, Julia How Naomi Wu Wants to Change the Tech Scene’s Sexist Wiring, in: ‘Six Tones’, 15 Dicembre 2017,
  • Jackie Singh, Naomi Wu and the Silence That Speaks, in: ‘Hacking but Legal’, 16 Agosto 2023.
  • Chris Zambelis, Uighur Dissent and Militancy in China’s Xinjiang Province, in: ‘Combacting Terrorism Center at West Point’, 10 Gennaio 2010, Vol. III/1.

Approfondimenti


Condividi