La sposa dell’est. Romanzo noir. Libro, Ebook.

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La sposa dell’est.

F. Berti, “Il Boia dell’Alpe”
ISBN: 9788822881595

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“Bellina ero, quando facevo l’amore. Voi non la fate, l’amore? Si insomma è un peccato, giovane e bella come siete”. Va avanti così da un’ora la vecchia, non la sopporto. E’ nel comitato della festa, la notizia del cadavere dev’essere volata rapidamente di bocca in bocca. Lo sa benissimo che il mio compagno non è mai in casa, non capisco perché venga a provocarmi con battute imbecilli; brav’uomo non mi fa mancare nulla, un gran lavoratore non dico altro. In paese qualcuno sospetta sia nel commercio delle armi, per via di certe trattative riservate con misteriosi personaggi dei quali non dà che pochi cenni evasivi, in realtà è un semplice commesso viaggiatore nei detergenti eco-sostenibili. Brutta cosa la maldicenza.

Fucili o pulizie le mie giornate mi tocca passarle qui da sola, altro che l’amore. Ironia della sorte, sopra di me abita una giovane coppia che tutte le sere tuoni fulmini e saette, mi tocca bussare colla scopa sul soffitto. Mentre penso queste cose Veneranda porta il bicchiere alle labbra avvizzite, prende una bella sorsata di vino rosso, poi guardandomi dritta negli occhi, domanda: “Quindi, l’Anacleto?”. Sulle prime non so cosa rispondere, descrivo un’altra volta la scena del delitto ma non è quel che vuole sapere, le interessa il motivo per cui s’è ammazzato sei mesi fa, e chi lo sa rispondo!

L’anziana donna allora si accende un sigaro, senza distogliere lo sguardo mi sputa in faccia una boccata di fumo fetido. “Era un bell’uomo, non vi pare?”. Si che lo era. Aveva moglie, anche. Una donna bellissima, quando passava in paese la neve si scioglieva tutt’intorno dallo splendore che era, i vasi fioriti alle finestre sembravano lanciare petali per salutarla. Una straniera di queste che vengono dall’est, aveva due o tre lauree, lui la trattava come una principessa, buono, premuroso e con due spalle così. Insomma, una coppia felice. Me li ricordo bene, hanno abitato sopra di me anche loro per qualche tempo. La maledizione degli innamorati mi pende sul capo come una lama affilata, tutti da me vengono.

“Un bel giorno la donna è sparita senza lasciare traccia, portò via pure i due figli, nessuno l’ha mai più rivista”. Voglia il cielo, penso mentre quella strega mi ricorda il fatto: fornicavano giorno e notte, un’autentica tortura. Non dormivo più, ogni rumore venisse da quella casa mi figuravo scene terrificanti, poi un bel giorno vedo il camion davanti al mio giardino, stavano traslocando. Andarono a stare per conto loro, prima una baracca sulle ruote parcheggiata in mezzo al bosco, poi il povero Anacleto iniziò a costruire quella casa in sasso, l’ha tirata su tutta colle sue mani. “Non vi siete mai chiesta il motivo per cui Ludmilla se n’andò?” mormora allora la vedova, avvicinando il suo volto al mio. Batte le palpebre, sorride



“Le giovani spose giurano che vengono
di notte a turbare i loro sogni, al mattino
lasciano un berretto rosso a  testimonianza
del loro passaggio. Folletti, ma chi
vogliono prendere in giro quelle troie”.


Il cane abbaia nella penombra, un ghiro là fuori corre sul cavo dell’alta tensione per scomparire subito nell’oscurità. Veneranda sospira, gesticolando col sigaro acceso. “Certo da allora quel pover’uomo non è mai stato più lo stesso. Sempre da solo in casa, non lo vedevi nemmeno alle feste. Non beveva, ma dicono fumasse quell’erba del lago, l’odore si sentiva da fuori. Andò avanti per un po’ fin quando perse anche il lavoro, mentre tagliava un abete cadde da un ramo e si fratturò un braccio, la ditta non volle più saperne. Un uomo rovinato.

In più quella brutta storia del confine, aveva un contenzioso per una strada che il vicino s’era messo in testa d’asfaltare ad ogni costo anche se veniva qui due settimane all’anno in estate. Discussero a lungo sull’argomento, ogni tanto si prendevano le questioni pure nell’osteria. Gli avvocati ormai campano sulle contese di vicinato, o sul recupero dei crediti”. Veneranda lascia morire il sigaro, poi s’alza e inizia a sgomberare la tavola, ogni tanto ravviva la fiamma.

Non sapevo fosse arrivato a tanto da togliersi la vita, in paese vado poco e mi piace pensare ai fatti miei, male non dare, paura non avere. “Vedete, son convinta che il racconto vostro sia sincero” riprende allora la donna. “Ma se il corpo del boscaiolo è sotto un metro di terra, com’è potuto arrivare fin lassù?”. Domanda interessante. Han detto che s’è impiccato nel giardino di casa, sepolto al cimitero della Faggiola ma non so spiegarmi come il corpo sia rimasto incorrotto e chi abbia divorato parte del suo volto. Le cornacchie, forse? Impossibile. Quei segni l’ho visti bene, erano denti umani. Riesumato il cadavere e consumato l’orrendo pasto l’han portato fin lassù al prato, lasciandolo ai piedi del suo stesso letto, non comprendo per quale motivo ma come dicono i vecchi, non si può andare a messa e stare a casa. Una spiegazione dev’esserci. “Non saranno mica i folletti?” sorride Veneranda, con un velo di malizia nello sguardo.

Di nuovo questi raperonzoli se ne parla dappertutto, nessuno l’ha mai visti ma quando sparisce una gallina dal pollaio, un capretto dal recinto, ogni tanto qualcuno dà la colpa a loro. Le giovani spose giurano che vengano di notte a turbare i loro sogni, al mattino lasciano in cucina un berretto rosso a testimonianza del loro passaggio. Folletti, ma chi vogliono prendere in giro quelle troie. Altro che capanne sull’Alpe, così pensavo tra me. La vecchia sentenzia, “Per dimostrare la vostra innocenza avremo bisogno d’aiuto. Una buca al cimitero, apriamo la cassa e guardiamo in faccia la realtà: se è come dite voi, faremo in modo che il brigadiere venga a saperlo”. Potrebbe essere anche una soluzione, ma chi vorrà esporsi per una come me? Il rischio di trovarsi coinvolti in un’indagine per omicidio è alto. Non saprei davvero a chi rivolgermi. Lei mi rassicura, “State pur tranquilla una soluzione la troviamo”.

Il cane abbaia di nuovo, ha sentito suonare alla porta e si agita felicemente, deve aver riconosciuto un odore amico. La donna rimbrotta l’animale scansandolo con un piede, apre. Sulla soglia m’appare la persona meno gradita che potessi aspettarmi d’incontrare in un momento come questo, un quarantenne alto e brizzolato coll’orecchino al naso e le scarpe di coccodrillo. Indossa un’elegante salopette schizzata di vernice sotto un lungo cappotto di pelle nera aderente al corpo, sciarpa di vero cincillà, in bocca una sigaretta spenta. L’erba del lago, la riconosco subito.

M’impongo un silenzio dignitoso, non sono certo nella posizione di chi può scegliersi gli amici, ho cinquant’anni, debole e febbricitante, carabinieri alle costole e mi porto dentro la testimonianza d’una carneficina. Asfodelio Maccheroni ha il viso rotondo e la pelle tirata come quella d’un tamburo, entrando in casa bacia la vecchia sulla bocca levandosi il cappotto, poi si lascia cadere sul divano allungando i piedi sopra una sedia. Quello scansafatiche del pittore, dunque è vero quanto si dice: se la fa colle donne anziane! Ignorante, volgare, presuntuoso. “Allora, dov’è che dobbiamo andare?” chiede. Veneranda lo istruisce.

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