Il traffico delle reliquie. Il Boia dell’Alpe, Cap.6

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Uno dei rebus che illustrano il romanzo
Frase 6, 2, 5, 3, 6, 1, 8

Il traffico delle reliquie

Il Boia dell’Alpe, Cap.6
Romanzo di Federico Berti

“Il pittore gesticola con tanta veemenza che sul centro tavola il lumino dei morti si divincola come un pesce, finite le candele siamo rimasti con un paio di moccoli gentilmente offerti dalla moglie del becchino. “Saran tre metri di neve là fuori, dite che dovrei mettermi a scavare nella terra gelata per disseppellire un mucchio d’ossa scarnificate?” protesta il pittore. Non ride. Lo guardo un po’ di sbieco, strizzando gli occhi. “Hai forse paura di spezzarti le unghie?”. Con una smorfia s’alza in piedi mentre le ombre della stanza danzano intorno alla piccola fiamma, illuminandogli una parte del volto: “Senti chi parla, la sposa reale di Babilonia!” accompagnando la frase con un ampio movimento del braccio. M’alzo in piedi anch’io, “Impara l’educazione, sciagurato!” sibilo col mento in avanti, poi aggiungo con studiata cattiveria: “La merda d’artista l’han già fatta cani e porci, te l’ha mai detto nessuno prima d’ora?”. Il quarantenne si gratta con insistenza la pancia continuando a masticare una gomma americana, poi dando un rutto sonoro mi risponde: “Questo invece l’ho fatto io metà per voi, l’altra metà per il profeta”. Prima che lo schiaffeggi a dovere interviene Veneranda con voce suadente: “Asfodelio ha ragione cara, il camposanto è visibile dall’alto fino in paese, saremmo in vista e li avremmo presto fuori dal cancello coll’acqua santa, il crocefisso in pugno e la medaglia di San Benedetto a recitare in coro le litanie. Non è prudente, ricordatevi che siete ricercata sempre per omicidio”. Il pittore schiocca più volte la lingua sul palato roteando gli occhi verso l’alto, “Pessima idea chiedere al becchino dov’è il punto esatto in cui piantare la vanga, non vi pare? Con tre metri di neve, come lo ritroviamo il sepolcro del boscaiolo”. Il ragionamento non fa una piega.



“L’oggetto era destinato alla collezione
privata di qualche stravagante milionario,
uomini tanto potenti quanto
annoiati e superstiziosi”.


A un tratto il quarantenne raschiandosi l’interno del naso con zelante impegno, ha un lampo negli occhi: “Olindo Gramigna” mugugna, prende poi un lungo respiro e tace qualche secondo. Già, il ladro. Non avevo pensato a lui eppure lo conosco fin troppo bene, mi abita proprio accanto: in ogni paese che si rispetti vive qualcuno che si crede talmente furbo da cascargli in terra all’uscita della messa il portafoglio del suo migliore amico, un ladro all’antica insomma, di quelli che si allenano fin da bambini rubando le offerte al prete, poi da ragazzi le ruote alle biciclette, i gettoni del telefono pubblico e così via. Un lungo tirocinio, la maggior parte entra ed esce di galera, i più intelligenti san circondarsi di amici abbastanza potenti da toglierli d’impaccio al bisogno. Il vecchio Olindo è un professionista, sa come aprire la finestra d’un solaio senza lasciare alcun segno di scasso, non son cose che s’imparano in un giorno ma richiedono costanza e sacrificio, a suo modo un mestiere di tutto rispetto. Non esistono forse in natura la cornacchia, la gazza, lo sciacallo, il cuculo, la piattola, il pidocchio, la sanguisuga? Così nel consesso umano un ladro di polli è a suo modo funzionale all’equilibrio della comunità quanto il sindaco e il capo della polizia, sempre che non gli vai a rompere le uova in tasca. Un animale spazzino.

Il vecchio Olindo qualche tempo fa vendeva in fondovalle castagne spigolate nelle cinque valli bolognesi, almeno così spergiurava la moglie invocando a testimone la schiera dei santi al completo, in realtà correva la voce che fosse nel mercato nero delle reliquie religiose, un affare da milioni in cui dovevano essere coinvolte persone importanti. “Andavano di notte al cimitero in cinque o sei per cavarsi una bara d’in terra, aprirla, asportare le parti meglio conservate e poi richiudere il tutto. Un lavoro a regola d’arte, mai sorpresi una sola volta” spiega il pittore. “Conservavano quelle carni marcite in ghiacciaia, pare affidassero a insospettabili artisti la falsificazione dei reliquiari, poi sostituiti cogli originali. L’oggetto era destinato alla collezione privata di qualche stravagante milionario, uomini tanto potenti quanto annoiati e superstiziosi: ne han visto più d’uno comprare le castagne in riva al torrente proprio dal Gramigna, loro che possedevano ettari di bosco. Non lo colsero mai sul fatto, però si portava addosso la puzza del morto per almeno due giorni dopo lo scavo notturno, se ne parlava in paese qualche anno fa. Una domenica m’avvicinò proponendomi di ricostruire la Madonna di San Luca, aveva un cliente disposto a pagare bene”; mentre ascolto l’incredibile racconto mi sorge un dubbio, verso l’acqua fresca nel bicchiere e bevo d’un fiato. “Olindo potrebbe aver dissepolto il corpo del povero Anacleto per farne macabro commercio” azzardo, l’ipotesi non è del tutto peregrina ma Veneranda suggerisce di non trarre conclusioni affrettate: “Son passati diversi anni da allora, nessun losco traffico ha mai trovato conferma. Le chiacchiere non fanno farina. Se però han trafugato davvero il cadavere di Anacleto dopo l’ultima nevicata, allora è probabile che troveremo laggiù al cimitero delle tracce nella neve”. Bevo ancora un sorso. Un ladro per amico. “Entreremo dal piccolo cancello sul retro, non dovrebbe essere difficile scavalcarlo, l’inverno s’arrampica sui muri, sfonda i cancelli”. Espongo l’ipotesi, suona bene anche a loro. La neve non mente. Asfodelio Maccheroni tuttavia mi guarda un po’ sorpreso, sembra volersi tirare indietro. Vagheggia incerto: “Stasera non siete in condizione, Erminia” dice. “Meglio che andiate a riposare, ne parleremo domani”. (Continua a leggere)

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