Tradurre i proverbi.

Quando i proverbi popolari sono intraducibili, allora meglio una traduzione letterale con un richiamo in nota. Illustrazione Berti/Fotor

Le tecniche della traduzione

Come, se e quando tradurre i proverbi?

Note di Federico Berti
su un articolo di Sylwia Skuza

Sylvia Skuza si pone un problema ricorrente nella cosiddetta ‘paremiologia‘, ovvero nello studio dei proverbi, partendo dalla difficoltà di traduzione che molti di questi presentano, specialmente quelli tratti dalle fonti letterarie più antiche. Le alternative da lei poste sono di usare un proverbio uguale che esista sia nella lingua di partenza che in quella arrivo, o usare un equivalente, un sostituto culturale, oppure tradurre letteralmente. Ognuno di questi procedimenti può presentare criticità, tanto maggiori quanto più marcata è la distanza culturale. Quando un proverbio è chiaramente riconducibile a una fonte letteraria, in modo particolare una fonte greco-latina, o una fonte biblica, allora molti traduttori tendono a usare quel riferimento comune. Si privilegia spesso il proverbio d’autore nella traduzione, magari indicandone in nota la provenienza.

L’autrice si sofferma poi sul concetto di equivalenza, intesa come una similitudine funzionale tra i differenti contesti in cui un detto popolare viene impiegato, anche nel caso in cui da un punto di vista propriamente semantico, non dicano esattamente la stessa cosa. Ad esempio l’italiano Vesti un palo e sembrerà un cardinale, presenta alcuni aspetti in equivalenza con l’inglese Dress up a stick and it does not appearto be a stick, per quanto fra i due modi di dire vi siano evidenti divergenze letterali, anche nel tono più figurato del primo rispetto al secondo.

La natura ribelle delle paremie si fa tanto più problematica con quei proverbi fortemente legati al territorio di provenienza, alla cultura popolare che spesso fa riferimento a fatti conosciuti solo agli abitanti di quel luogo, alla storia locale, a personaggi della letteratura popolare, come nel caso dell’italiano paga Pantalone, in cui si menziona un personaggio della Commedia dell’Arte e dei Burattini. In quel caso il traduttore può mantenere la forma linguistica del proverbio originario e porre in nota il fatto a cui si richiama, oppure tradurlo con un equivalente nella lingua di arrivo, come nel caso dell’inglese Don’t carry coals to Newcastle, che trova un perfetto equivalente nell’italiano Non portar la legna al bosco, per indicare un atto privo di senso.

In alcuni casi i proverbi legati al territorio portano con sé stereotipi, pregiudizi, elementi in cui la connotazione etnica si fa preponderante e per tal motivo si preferisce lasciarli così come sono traducendoli in modo letterale, e mettendo poi in nota il retroterra culturale per meglio comprenderli, basti pensare al caso letterario del Timeo Danaos et dona ferentes.

In conclusione, la tesi esposta di Sylwia Skuza è che nel variegato mondo dei proverbi internazionali, vi siano casi in cui è possibile trovare un equivalente comune nella lingua di arrivo a causa di un ascendente letterario comune, ma nei casi in cui gli elementi territoriali e le componenti legate all’etnicità siano preponderanti e recalcitranti alla trasposizione, allora può essere preferibile una traduzione letterale con una spiegazione in nota di quel contenuto ipertestuale sottinteso nel proverbio originario.

Bibliografia

  • Arthaber, Augusto, Dizionario comparativo di proverbi e modi proverbiali italiani, latini, francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi e greci antichi, Milano, Hoepli, 1929
  • Crimi, Giuseppe/ Pignatti, Franco, eds., Il proverbio nella letteratura italiana, dal XV al XVII secolo. Atti delle Giornate di studio Università degli Studi Roma Tre Fondazione Marco Besso, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 2014
  • Milani, Maria, Massime e proverbi goldoniani. Padova, Editoriale Programma, 2007
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