I bambini non sono cattivi. Romanzo noir

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I bambini
non sono cattivi

Il Boia dell’Alpe n.3
Thriller italiano
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E’ ancora notte fonda e là fuori non stanno in piedi neanche i gatti. Non riesco a dormire, mi sono rannicchiata s’una cassapanca le ginocchia strette al seno, se mi muovo sento scricchiolare. Infilo il naso nel girocollo della maglia per non disperdere il fiato, al chiaro di luna decido di continuare a scrivere del paese rimasto intrappolato nella morsa del gelo, quando mi sono allontanata dal borgo sotto gli occhi maliziosi che mi trapassavano come spilli aguzzi. I bambini non sono mai cattivi, possono essere viziati ma non cattivi, almeno finché son bambini, poi crescono; così ripeto a me stessa accelerando il passo inquieta. Indosso le racchette da neve imboccando il sentiero che sale verso il bosco, una coppia molto anziana vive lassù. Casa in sasso, legnaia bagnata sepolta sotto metri di morte; non ho le braccia buone da spalare, ma potrebbero aver bisogno di qualcosa. Avvicinandomi al caseggiato sento con sorpresa diverse voci, rumori in festa. Musica da ballo, altro che emergenza: non appena busso alla porta mi vengono ad aprire con un gran sorriso. Non potendosi muovere da lì, hanno pensato di riunirsi con due suonatori che vivono in questa stessa borgata, i due anziani proprietari sembrano piuttosto divertiti. Ottant’anni e non sentirli. Non danno l’impressione di patire il freddo. Salame, formaggio, pane appena sfornato. Ringraziano per l’interessamento, ma non hanno bisogno di niente anzi, la padrona di casa mi porge un gran bicchiere di vino, “Se volete rimanere… Mio marito è un ballerino lo sa?”. Nella grande sala del camino venti o trenta persone siedono intorno alle pareti, in mezzo hanno sgomberato per il ballo. Non tutti i matti stanno al manicomio, per un istante m’illudo che non sia una cattiva idea svagarmi in loro compagnia, poi non appena accosto il bicchiere alle labbra sento un urlo agghiacciante provenire da fuori e mi volto di scatto

Lo conoscono un po’ tutti da queste parti come il Lupo. Non è cattivo, lo vedi col cappotto lungo e gli stivali di gomma in estate, l’inverno con quella barba incolta, il colbacco in testa. Mormora fra sé parole incomprensibili, tiene a memoria il calendario perpetuo dai tempi di Abramo fino al giudizio universale, basta dirgli a caso una data e lui calcola a mente se quel giorno era o sarà lunedì, giovedì, domenica. Ricorda la posizione delle stelle dei pianeti, sa ricavarsi la ruota dello zodiaco senza un almanacco. Nessuno sa come l’abbia imparato, ma tant’è che ogni tanto lo incitano al bar: due novembre 1248, sei ottobre del 384, 12 aprile dell’anno zero. Hanno per lui un rispetto che sa di antico. Al primo segnale di pericolo si lascia prendere dal panico e allora inizia a vagare senza una meta per il paese, ululando come un lupo. Ecco il perché del soprannome. Insomma lo vediamo uscire dal bosco terrorizzato, corre ondeggiando quel pancione e roteando le braccia nell’aria come se dovesse nuotare nell’acqua torbida, incalzando a grandi passi lungo la rotta scavata sul sentiero. Viene a rifugiarsi da noi, ha il fiato grosso che sembra dovergli esplodere il cuore da un momento all’altro. “Vèn mò què ragazòl” gli dice l’anziana donna ma lui non riconosce nessuno, sgrana gli occhi nel vuoto. E’ spaventato, non riusciamo a capire da cosa. Continua a ripetere frasi sconnesse tra cui un’esclamazione ricorre: “Venere Luna!”, poi riprende a guaire, ringhiare e infine lancia il suo caratteristico urlo che mette i brividi se non te l’aspetti, non vorrei mai incontrarlo di notte nella selva.


“Se volete rimanere… Mio marito è un
ballerino lo sa?”. Nella grande sala del
camino venti o trenta persone siedono
intorno alle pareti, in mezzo
hanno sgomberato per il ballo”.


Per quanto in preda al delirio lo conosco abbastanza da sapere che la sua carta del cielo non è inventata, ma vai a sapere nella sua mente quel che succede. Chi o cosa può averlo ridotto in quello stato? Mentre nonna Berta l’aiuta a bere un po’ d’acqua, carezzandolo in fronte affinché si calmi noi tutti lo guardiamo con un misto d’affetto e riverenza, come forse gli antichi guardavano la Sibilla vaticinare un responso. Nell’imbarazzo generale dalla borsa prendo in mano il mio lunario, dopo averlo consultato alzo lo sguardo sui presenti, che mi guardano incuriositi. “Preciso, come sempre. Stanotte Luna in caduta su Venere, lo dice qui vedi?”. Lupo non sa leggere ma le orecchie per sentire non gli mancano. Si fa avanti allora la suonatrice di mandolino masticando sulla punta degli incisivi una gomma americana, tiene l’incavo tra il pollice e l’indice della mano destra sul fianco e mostra il sentiero innevato; “E’ venuto fuori all’improvviso dalla macchia, là sulla crosta di neve gelata. Deve aver visto qualcosa di terribile per essersi spaventato così”. Può darsi. Il vecchio Gigino infila gli scarponi senza dire una parola, prende il bastone, scende le scale, oltrepassa il cancello e s’incammina sulla neve fonda, noi lo seguiamo non sia mai avesse un cedimento ma non sapendo riconoscere a vista la parte ghiacciata da quella fresca affondiamo più volte fino al torace. Lui invece con quel rametto di castagno sottile e nodoso tasta il manto ghiacciato e vola sopra il velo da sposa dell’inverno che nemmeno Cristo sull’acqua. E’ nato qui.

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Il vecchio sparisce rapidamente nella foresta di cristallo, sembra scolpita dalla mano d’un artista. Lo raggiungiamo infreddoliti colla neve infilata dappertutto e il cuore in subbuglio, solo quando siamo intorno al suo corpo esile e curvo sotto il peso degli anni, punta il dito indicando la traccia lasciata dalle impronte. Se non sapessimo che appartengono al nostro amico, si direbbero le orme d’un gigante. “S’infilano in quel castagneto là, vedete?”. Non azzarda a spingersi oltre, qualcuno dovrà seguirle per capire dove portano. Tutti i presenti si guardano negli occhi a dire prego le pare prima lei, così per tagliare corto rispondo bene allora vado, chi m’accompagna? I maschietti restano muti, occhi aperti e bocca chiusa, la suonatrice di mandolino si risolve a prendere l’iniziativa. “Se non torniamo a un orario ragionevole, veniteci a prendere”.

Nota dell’editore. Manca una pagina. E’ strappata malamente, ma non riscontro alcuna discontinuità nel testo. Può darsi che recasse un disegno, degli appunti, impossibile stabilirlo con certezza. Trascrivo da dove il racconto riprende.

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Laureato al Dams di Bologna con una tesi sulla narrazione, Federico Berti è cantantautore, polistrumentista, uomo orchestra, pubblica romanzi, poesie, canzoni. “Il Boia dell’Alpe” è ambientato nel paese di Monghidoro sull’Appennino Bolognese, dove risiede stabilmente dal 2001.

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ISBN 9788822881595. 

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