Italo Calvino e il mito dell’Autorialità.

Illustration Artwork by Federico Berti. Created with Gimp/Qwen

Nel 1967, Italo Calvino pubblicava “Cibernetica e fantasmi”, visionaria e lungimirante conferenza che anticipava con lucidità molte delle questioni oggi centrali nel dibattito sull’intelligenza artificiale e la creazione letteraria. Le sue riflessioni sulla “macchina poetico-elettronica” offrono strumenti teorici preziosi per superare le interminabili e noiose polemiche attuali intorno all’autorialità artificiale, dimostrando come le preoccupazioni sui sistemi di Large Language Model (#LLM) siano conseguenza di un malinteso, una mistificazione del processo creativo.

Calvino ha già smontato il giochino sessant’anni fa, sostenendo che gli elementi tradizionalmente considerati come “i più gelosi attributi dell’intimità psicologica” responsabiliti del mito dell’autorialità, si possano sostanzialmente ridurre a “campi linguistici” ognuno con la sua grammatica e sintassi. Sviluppò queste sue convinzioni collaborando coll’Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle), un collettivo di scrittori e matematici francesi di cui fece parte dal 1973, che si occupava proprio dell’arte come processo combinatorio.

Quando Calvino parla di “sussulti e strazi e illuminazioni interiori” come elementi codificabili, anticipa quello che oggi constatiamo empiricamente: i modelli linguistici possono generare testi che evocano stati emotivi e psicologici complessi perché hanno appreso le strutture linguistiche attraverso cui questi stati si manifestano. L’intimità creativa non rappresenta per questi sistemi un territorio metafisico inaccessibile, ma un insieme di pattern linguistici analizzabili e dunque riproducibili.

Questa prospettiva si riflette chiaramente in testi arditissimi per allora, come “Le città invisibili (1972), dove Calvino costruisce narrazioni di straordinaria suggestione emotiva attraverso combinazioni sistematiche di elementi descrittivi, dimostrando nella pratica come l’effetto poetico possa emergere da processi strutturati piuttosto che da ispirazioni ineffabili. Non era la prima volta, l’ars combinatoria era oggetto di vivo interesse fra intellettuai, poeti e scrittori fin dal tempo in cui Petrarca, il Boiardo, l’Aretino, componevano poesie lasciandosi ‘ispirare’ dalla casuale pesca di Trionfi, quelli che oggi chiamiamo Tarocchi.

Calvino tuttavia nella seconda metà del Novecento fa un passo che apre orizzonti nuovi a questa praticsa, spostando il centro di gravità del processo ermeneutico dall’autore al lettore. Quando afferma che “il momento decisivo della vita letteraria sarà la lettura”, anticipa la dinamica interattiva dei sistemi AI contemporanei. In “Se una notte d’inverno un viaggiatore” (1979) sperimenta proprio questa intuizione, creando un romanzo che si costruisce attraverso l’interazione tra testo e lettore, dove quest’ultimo diventa co-protagonista della vicenda narrativa. Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Quando leggo le polemiche attuali intorno all’autorialità, non poso trattenermi dal sorridere perché, occupandomi da più di trent’anni dell’arte combinatoria, pratico queste ridenti piagge da quando a nessuno l’argomento sembrava interessare granché, quando non esisteva nemmeno una traduzione italiana del bruniano De Umbris Idearum.

La prospettiva anticipata da Calvino si ritrova perfettamente replicata nei sistemi attuali di interazione tra uomo e macchina nel processo creativo, dove l’utente che formula un prompt svolge in realtà un ruolo che non si può ridurre a quello del passivo consumatore di testo, ma ne è insieme “interprete e co-autore”: il testo è frutto di quell’interazione tra macchina e utilizzatore cui faceva riferimento Calvino mezzo secolo prima. Su sta verificando quel processo di demistificazuione dell’autorialità che si trovava già preconizzato in “Cibernetica e fantasmi”: la qualità del risultato dipende tanto dalla sofisticazione del sistema quanto dalla capacità dell’utente di formulare richieste consapevoli e creative.

La dissoluzione della “figura dell’autore” che Calvino propone poco prima della sua prematura scomparsa (peccato non aver potuto assistere agli sviluppi successivi di questa sua ricerca, tanto promettente già allora) non va letta come una perdita, ma come una presa di coscienza del fatto che da sempre la letteratura è un processo di selezione combinatoria human oriented, ovvero finalizzata alla condivisione di contenuti modellizzati, fin dal tempo di Omero e Gilgamesh.

L’autore prende coscienza del fatto che la sua creatività è limitata e si svolge entro i limiti dei modelli cui inevitabilmente è costretto a rifarsi: questa concezione, influenzata dalle teorie strutturaliste dell’epoca, si allinea perfettamente con l’esperienza contemporanea degli LLM.
Sempre in “Cibernetica e fantasmi”, Calvino chiarisce che la comprensione meccanica del processo creativo non ne diminuisce il valore estetico: come scrive citando Gombrich, il “procedimento della poesia e dell’arte è analogo a quello del gioco di parole”, fondato sul “piacere infantile del gioco combinatorio”.

Questa prospettiva trova conferma per l’appunto nelle opere combinatorie di Calvino, dalle “Cosmicomiche” (1965) al “Castello dei destini incrociati” (1973), dove sperimenta sistemi generativi basati su elementi modulari, gli stessi Tarocchi già usati secli prima allo tesso scopo dal Petrarca, dal Boiardo, dall’Aretino e da tanti altri, anticipando di decenni le logiche dei moderni algoritmi di generazione testuale.

La metafora del “gioco combinatorio” risulta particolarmente illuminante per comprendere il funzionamento degli LLM. Calvino riconosce che la letteratura opera attraverso permutazioni di materiali linguistici, ma mantiene il ruolo cruciale dell’elemento umano: il “significato inatteso” vien fuori dal testo nel momento esatto in cui tali combinazioni incontrano “i fantasmi nascosti dell’individuo e della società”. Il risultato non è da ricercarsi nella combinazione meccanica degli elementi, ma nell’effetto particolare che questa combinazione produce “sull’uomo dotato d’una coscienza e d’un inconscio”: la macchina può “effettuare tutte le permutazioni possibili”, ma il testo acquista un significato solo nell’incontro con la sensibilità umana, cioè nel momento in cui raggiunge il lettore.

Le intuizioni di Calvino suggeriscono che la resistenza all’autorialità artificiale derivi in qualche modo da una concezione mitologizzata della creazione letteraria: se accettiamo che la scrittura è fondamentalmente un processo combinatorio operante su strutture linguistiche esistenti, la distinzione qualitativa tra autore umano e sistema AI si ridimensiona notevolmente. Ciò non implica ovviamente una svalutazione dell’elemento umano, ma solo il suo riposizionamento strategico: dall’autore mistificato al lettore consapevole, dall’ispirazione individuale alla comprensione sistemica dei processi creativi. Come Calvino profetizza, sparirà “la figura dell’autore” nel senso del poeta-vate, individualista, accentratore, narcisista, ego-riferito, per lasciare posto a un uomo più cosciente dei propri limiti, che saprà di essere lui stesso una macchina e saprà come questa macchina funziona.

La prospettiva aperta da Calvino dunque non svilisce la letteratura in quanto tale, ma ne rivela semplicemente le logiche profonde; i sistemi AI, reinterpretati in questo senso, non costituiranno mai una minaccia reale alla creatività umana, ma solo un’evoluzione naturale delle sue dinamiche combinatorie, permettendo eventualmente la sperimentazione di combinazioni prima impensabili.

Non c’è motivo di arroccarsi in difesa di chissà quali prerogative umane minacciate dalla disumanizzazione dei sistemi di produzione letteraria, molto più interessante sviluppare nuove competenze di interazione creativa coi sistemi algoritmici: come Calvino aveva intuito, il mito dell’autorialità è stato largamente sopravvalutato e questi sistemi ci stanno sbattendo in faccia una realtà per alcuni odiosa, ma con la quale prima o poi era inevitabile confrontarsi. Pensiamo piuttosto a orientarci consapevolmente negli spazi combinatori aperti dalle nuove tecnologie, mantenendo al centro il momento decisivo dell’incontro fra testo e coscienza umana.


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