Beni comuni digitali. Verso un’IA pubblica e partecipativa

Illustrazione di Federico Berti. Creata con Gimp/Qwen

Il modello attuale di sviluppo e gestione privata dei sistemi di intelligenza artificiale presenta, come evidenziato da molti, seri problemi di sostenibilità economica/ambientale e mancato rispetto dell’equità sociale: l’orientamento verso la massimizzazione del profitto induce di fatto le aziende a privilegiare tagli selvaggi alle risorse umane e riduzioni degli standard qualitativi, anziché investire in riconversioni professionali o miglioramenti strutturali.

Laddove un robot (lo schiavetto senz’anima) riesce a svolgere lo stesso compito di un dipendente (lo schiavetto coll’anima) per un costo drasticamente inferiore, l’azienda troverà sempre più conveniente delegare tutto al primo, lasciando a casa il secondo. Questo approccio però genera cicli di crisi ricorrenti, dove le corporazioni, incapaci o disinteressate ad autoregolarsi, scaricano i costi sociali sulla collettività, mantenendo il controllo strategico delle tecnologie ma ingolfando tutto il sistema economico.

In verità il rapporto è tutt’altro che unilaterale: l’utilizzatore, nel godere del servizio, sta a sua volta dando un contributo all’addestramento del sistema, solo che lui paga per quel servizio, mentre la società che amministra il sistema non paga per il suo contributo. Poniamo che un utente impieghi dieci minuti a progettare un prompt, o passi mezz’ora a chattare con un modello linguistico per i motivi più disparati: una parte di quel tempo andrà senza dubbio a beneficio dell’utente medesimo, ma un’altra parte ricadrà sul sistema stesso, che avrà modo di crescere proprio addestrandosi anche grazie a lui, nutrendosi del suo lavoro intellettuale.

Siamo insomma di fronte a un duplice furto: di contenuti e di diritti. La soluzione a questa pericolosa sperequazione economica è nella creazione di sistemi di modellizzazione pubblici, nazionalizzati, gestiti come beni comuni digitali direttamente dalle amministrazioni, garantendo libero accesso alle piattaforme sia per uso commerciale che privato, eliminando gli abbonamenti e anzi, retribuendo gli utenti in base al contributo che forniscono al sistema.

Ogni interazione (prompt, generazione di contenuti, feedback) si dovrebbe quantificare e qualificare come lavoro cognitivo, con compensi proporzionali al valore generato per l’addestramento degli algoritmi. Ad esempio, un utente che impiega 30 secondi per generare un’immagine dovrebbe ricevere, per la parte corrispondente, un adeguato dividendo, calcolato attraverso metriche trasparenti: non zero virgola zero zero (come taluni fanno, per invogliarti a rendere pubblici i tuoi prompt), ma una quota concordata bilateralmente dall’incontro delle parti sociali.

Il lavoro intellettuale dei cittadini intorno a questi sistemi pubblici e aperti, verrebbe poi integrato con il sistema produttivo nazionale, riallocando le competenze acquisite per ottimizzare servizi essenziali (sanità, trasporti, educazione). Questo può creare effettivamente delle sinergie tra innovazione e interesse collettivo. L’implementazione di tali sistemi porterebbe col tempo il privato a dover competere con il pubblico sia nella qualità del servizio, che nella retribuzione dell’utente, vanificando lo sfruttamento del diritto intellettuale.

Per quanto ne sappiamo la Cina è stata la prima a elaborare un LLM ad ampia partecipazione statale e l’Unione Europea sta già lavorando a standard comuni per l’IA open source, che potrebbero evolvere verso un protocollo internazionale di cooperazione tra pubblico e privato. Modelli come Minerva dimostrano che gli Stati possono sviluppare IA competitive, garantendo al contempo trasparenza e controllo democratico dei processi gestionali.

Insomma, la nazionalizzazione dei sistemi di IA non è utopia, ma necessità. Un modello pubblico, basato su reciprocità e condivisione, nel rispetto del lavoro cognitivo, permetterebbe di democratizzare l’innovazione trasformando gli utenti da consumatori a cocreatori retribuiti, ottimizzare risorse pubbliche, contrastando il monopolio delle Big-Techs, generando nel contempo un valore condiviso dove i profitti derivanti dalle applicazioni commerciali dell’IA pubblica vengono reinvestiti in servizi sociali. A me pare fattibile.

Reaction to @ferrystech
L’IA ti FREGA il lavoro ? 👉 Deve PAGARCI lo stato con l’UBI
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