Isabel Allende, Benetton e il New Epic

Ascolta Isabel Allende, Bocca di Rospo. Voce narrante Federico Berti

Nipote di Salvador Allende, il presidente della sinistra cilena democraticamente eletto, che venne ucciso nel 1973 dai golpisti del dittatore Pinochet, Isabel Allende non è estranea al tema politico, non solo nella sua attività di giornalista, ma anche nei suoi romanzi e racconti. Per quanto il taglio sia profondamente intimista, con una componente autobiografica di rilievo, la narratrice sudamericana colloca le sue vicende su uno sfondo storicamente connotato, che non risparmia al lettore temi anche politicamente sensibili. Questo suo aspetto la avvicina a quello che nel Memorandum di Wu Ming viene definito “New Epic”, uno sguardo obliquo sulla realtà dalla prospettiva di personaggi minori, appartenenti alle classi subalterne, che introducono il lettore al loro mondo, alle loro sofferenze, ai loro sogni, alle loro strategie di sopravvivenza.

Un caso emblematico è il racconto breve “Bocca di Rospo”, nella raccolta “Eva Luna racconta”, del 1992, nel quale la Allende costruisce una rappresentazione realistica del colonialismo inglese nella Terra del Fuoco, che non ha bisogno di un proclama esplicito. Fin dalla scelta dei personaggi principali, Hermelinda (la prostituta) e Pablo (il contrabbandiere), due fuorilegge, due emarginati; dietro di loro si scorgono in primo piano i lavoratori di un allevamento ovino, un luogo dove agli inizi del secolo non c’era nulla che gli inglesi potessero portarsi via, fuorché le concessioni dei pascoli

“In pochi anni gli animali si moltiplicarono in modo tale che da lontano parevano nuvole impigliate rasoterra, si mangiarono tutta la vegetazione e calpestarono gli ultimi altari della cultura indigena.”

Dietro questo dettaglio, apparentemente secondario, ma fondante la descrizione dello scenario su cui si svolge la vicenda, troviamo un riferimento, chiaramente polemico, al colonialismo non solo inglese, ma anche italiano, che opera tuttora in sprezzante conflittualità con le comunità Mapuche. Relegando i colonizzatori inglesi ai margini della rappresentazione, l’autrice rovescia le gerarchie sociali: i padroni dell’hacienda, con i loro rituali anacronistici e i loro praticelli curati, diventano figure spettrali, presenze che incombono sull’azione, senza mai diventarne protagonisti. E’ sugli sfruttati, che la Allende si concentra.

Questa tecnica narrativa rivela una comprensione profonda delle stesse dinamiche coloniali, che non si manifesta tanto nell’azione diretta, quanto nella creazione di strutture di potere che rendono invisibili e marginali le vittime dello sfruttamento. Hermelinda, Pablo e gli allevatori che si riuniscono alla sera per i ‘giochi di fantasia’, sono l’umanità che sopravvive negli interstizi del sistema coloniale, sviluppando forme proprie di resilienza e reciproca solidarietà.

Il contesto rimanda alla “Conquista del Deserto” (1878-1885), quando il governo argentino, sotto la guida del generale Julio Argentino Roca, condusse una sistematica campagna di sterminio delle popolazioni indigene mapuche. Le terre conquistate furono successivamente assegnate a proprietari stranieri, principalmente inglesi, che vi impiantarono un sistema di allevamento ovino orientato all’esportazione verso i mercati europei. Questa cornice storica non viene mai esplicitata nel racconto, ma permea ogni descrizione dell’ambiente e delle relazioni sociali. Le terre sterili e la vegetazione decimata dalle pecore introdotte dai coloni non sono elementi paesaggistici, ma testimonianze di una trasformazione violenta dell’ecosistema. L’introduzione dell’allevamento ovino su larga scala comportò infatti una grave degradazione dei pascoli su circa due terzi del territorio, alterando irreversibilmente l’equilibrio ambientale della regione.

La forza del racconto risiede nella rappresentazione di due mondi che coesistono, senza mai incontrarsi veramente: da un lato, la coppia inglese vive in un’oasi artificiale di civiltà che sogna la lontana Europa, circondata da cespugli di rose che contrastano straniamente con la desolazione circostante. Dall’altro, Hermelinda e Pablo abitano uno spazio liminale fatto di solitudine, privazioni, dove la sopravvivenza dipende da strategie di adattamento che i colonizzatori non possono né comprendere, né controllare completamente.

Questa incomunicabilità non è meramente linguistica o culturale, ma strutturale, il sistema coloniale stesso impone questa separazione, mantenendo distanze invalicabili tra sfruttatori e sfruttati. La coppia inglese non ha bisogno di conoscere la realtà di chi lavora per loro: il sistema economico garantisce l’estrazione del valore senza richiedere alcuna forma di reciprocità.

Allende adotta, nell’approcciarsi a questo retroscena storico, una poetica dell’implicito”: il colonialismo non viene denunciato apertamente, ma reso visibile attraverso i suoi effetti. I braccianti descritti come desolati, abbandonati come le pecore che custodiscono, rivelano un processo di disumanizzazione che non ha bisogno di spiegazioni teoriche. La loro condizione di alienazione totale emerge dalla stessa struttura narrativa, che li confina in spazi angusti a rovinarsi il fegato con (pessimi) distillati di graspe. Isabel Allende evita in questo modo il rischio della retorica fine a sé stessa, preferendo mostrare piuttosto che dimostrare: il lettore viene condotto a scoprire gradualmente l’orrore attraverso dettagli apparentemente marginali, dai salari miseri all’isolamento geografico e l’impossibilità di accesso alla proprietà terriera.

I due protagonisti rappresentano forme diverse di resistenza al sistema coloniale: quella di Hermelinda è una resistenza affettiva, culturale, in qualche modo risponde al bisogno di intimità manifestato da gente che arriva al punto di giacersi con le pecore, o con le foche (spellate vive, per baloccarsi con i loro seni!). Quella di Pablo, il contrabbandiere, è invece una resistenza economica, una guerriglia attiva: le sue attività illegali configurano un’economia alternativa che sfugge al controllo coloniale, è un contrabbando che siamo portati a giustificare data la condizione complessiva dello sfruttamento. La loro relazione finale, la partenza dei due amanti dall’hacienda, pur non scardinando il sistema oppressivo, ne rivela la fragilità, poiché non è una fuga la loro, ma una scelta di prendere in mano la propria vita: i due amanti privano il sistema coloniale di quella componente umana che ne garantiva il funzionamento.

Il racconto acquista una risonanza particolare se letto in connessione con la realtà contemporanea della regione: la presenza di multinazionali come Benetton – il più grande proprietario terriero straniero dell’Argentina con 900.000 ettari – dimostra come le dinamiche coloniali si siano solo trasformate anche dopo la (cosiddetta) decolonizzazione, senza scomparire. I conflitti attuali fra queste aziende e le comunità mapuche, non sono che il risultato, il riverbero a lungo termine, delle tensioni originate al tempo della Conquista.

“Bocca di rospo” dimostra insomma come la letteratura possa portare alla luce stratificazioni del tempo storico che continuano a influenzare il presente: la scelta di concentrarsi sui margini, di rendere spettrali i colonizzatori e di dare voce agli sfruttati, rovescia le gerarchie senza mai cadere nella propaganda, ma tenendosi comunque nel campo di una nuova epica di classe, in linea con la militanza democratica mostrata dall’autrice nella sua attività giornalistica.

Il suo genio in questo caso è nella capacità di far emergere la violenza del sistema attraverso la rappresentazione della vita quotidiana dei suoi reali protagonisti: non si limita a denunciare ingiustizie storiche, ma offre strumenti per comprendere come quelle stesse dinamiche continuino a operare sotto forme diverse, nella contemporaneità. La letteratura diventa così non solo testimonianza, ma anche strumento per muovere una coscienza critica, evidenziando le contraddizioni del presente attraverso la rappresentazione del passato.


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