L’incubo di Alligator Alcatraz e la Dignità dell’Uomo

Illustration Artwork by Federico Berti. Created with Gimp/Qwen

Un italiano finisce recluso in un campo di concentramento in Florida e il caso di Alligator Alcatraz mostra il nervo scoperto dell’amministrazione Trump, sul mancato rispetto dei diritti umani. Samuel Gheorghe, trent’anni, originario di Lodi, non immaginava che la sua permanenza negli Stati Uniti si sarebbe conclusa in una delle strutture di detenzione più controverse delgli ultimi cinquant’anni. Non sappiamo come sia arrivato in America e perché non avesse un permesso di soggiorno valido, sappiamo solo che le leggi americane consentono di lavorare in regola, pagare le tasse e vivere normalmente anche con un permesso scaduto, in attesa di un processo che devciderà se consolidare la nostra posizione.

Risultato senza docvumenti a un controllo della polizia, gli era stata disposta qualche giorno fa la cavigliera elettronica per la libertà vigilata e non essendosi presentato alla polizia di Fort Lauderdale come previsto, sono andati a prenderlo, l’hanno arrestato e trasferito al centro di detenzione Alligator Alcatraz. Gheorghe è uno dei primi casi documentati di cittadini europei finiti nella struttura ad ‘alta sicurezza’ inaugurata un mese fa dall’Amministrazione Trump, la sua testimonianza può aiutarci a ricostruire le condizioni in cui vivono i detenuti al suo interno e preparatevi, perché va oltre ogni senso dell’umanità. Siamo alla pura criminalità istituzionalizzata.

Alligator Alcatraz può ospitare fino a cinquemila persone, dice la stampa mainstream americana, configurandosi come uno dei centri di detenzione più grandi mai costruiti sul territorio americano: ‘costruiti’ è una parola grossa, visto che si tratta di una tendopoli improvvisata nel relitto industriale di un aeroporto mai finito di costurire. La struttura è stata realizzata all’interno di un’area abbandonata proprio per le condizioni ambientali ostili. Si trova nella Big Cypress National Preserve, nelle Everglades, un nome che parla da solo: vuol dire, letteralmente, “paludi”. La zona, che si estende per centinaia di chilometri, è famosa non solo per l’insalubrità del clima, ma anche per la presenza di rettili e aracnidi velenose, nonché di quegli alligatori che han dato il nome alla struttura.

Vale la pena ricordare, per chi non ne fosse a conoscenza, che in America l’immigrazione irregolare non è un reato penale e che i migranti col permesso di soggiorno scaduto vivono regolarmente sul territorio americano da dieci, quindici anni, possono lavorare, pagare le tasse, alloggiare in una casa e condurre in famiglia una vita normale, nella grande maggioranza dei casi le persone deportate da Donald Trump hanno la fedina penale pulita. Vengono prelevate spesso dalla polizia solo perché hanno un ‘aspetto’ da migranti, cioè su base razziale, cosa che il sistema giudiziario americano ha dichiarato illegale, e che sta dando il via a una serie di reazioni a catena, cause intentate da varie associazioni per la difesa dei diritti umanitari.

Ma non è tutto, purtroppo: quelli che il governo americano chiama 5000 posti letto, sono in realtà delle tende a cielo aperto, nemmeno delle baracche si sono degnati di allestire! Il pavimento è sovente allagato dalle acque reflue, i detenuti dormono su materassi senza coperte, senza lenzuola, mangiano cibo avariato, spesso verminato. Carenza di servizi igienici, temperature insostenibili, umidità elevatissima. Non c’è la polizia di stato a guardia della tendopoli, tutto è in mano a milizie private: un campo di concentramento insomma, simile all’inferno di Arbe e Rab allestito dai fascisti durante la seconda guerra mondiale.

Ma la cosa ancor più inquietante, è che a queste persone vengono negati i diritti di base previsti dalla legge americana, la famosa telefonata all’avvocato: i legali delle persone rinchiuse nell’inferno di Alligator Alcatraz, non hanno notizie dei loro assistiti, in sostanza giudici, avvocati, parenti, non hanno modo di visitarli. Siamo in un clima da Desaparesidos a rischio epidemie, rivolte interne, le condizioni sono durissime. Un contesto che evoca tremende visioni da ‘soluzione finale’. Non so come sia stato possibile arrivare a questo punto, ma è tempo di aprire gli occhi e fermare questa macchina della morte.

Quel che dovrebbe destare serie preoccupazioni in Italia è leggere sulle pagine di “Libero” che ci vorrebbero centri sul modello di Alligator Alcatraz anche qui da noi: il livello di ragionamento, il linguaggio, l’immaginario di riferimento che anima la stampa di questa parte ormai involuta e ferina dell’opinione pubblica, è lo stesso che animava il dibattito politico nella Germania nazista al tempo dell’eugenetica e degli omicidi di massa. Siamo nel pieno di quell’incubo! Se non si revoca immediatamente la credibilità che si è preteso di attribuire a questa gente, se non ci si attiva subito per ostacolare il propagarsi di queste forme di ideazione disturbante e disturbata, davanti alla storia saremo colpevoli degli stessi crimini che queste civilissime orde di assassini seriali stanno commettendo.


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