Restiamo umani. Futuro dell’editoria e Apocalisse AI

Il settore dell’editoria digitale sta attraversando una fase di trasformazione profonda, traumatica se vogliamo: l’evoluzione tecnologica ridefinisce le dinamiche consolidate negli ultimi vent’anni nel web, ponendo interrogativi e sollevando preoccupazioni più che comprensibili sulla sostenibilità dei progetti, sul futuro stesso dell’informazione di qualità. Per oltre due decenni, l’ecosistema ha operato secondo un paradigma relativamente semplice: produzione di contenuti, attrazione di pubblico attraverso motori di ricerca e monetizzazione tramite pubblicità display.

Questo modello sta subendo contraccolpi che da anni ne ridimensionano le aspettative. Uno scenario che alimenta preoccupazioni crescenti fra gli operatori del settore: senza incentivi economici, di fronte a un aumento sproporzionato del rumore di fondo e delle produzioni massificate, modellizzate, clonate, la qualità dell’informazione stessa rischia di scadere sotto il livello di guardia, con una potenziale proliferazione di fonti sempre meno affidabili.

Pur riconoscendo la ragionevolezza di queste preoccupazioni (e una critica più in generale al sistema di produzione che sta alla base del modello), vorrei tuttavia proporre una prospettiva complementare, che vede nell’attuale trasformazione un’opportunità per la valorizzazione dell’elemento umano di cui tanto si parla in questi mesi: la saturazione dei contenuti sta paradossalmente creando una domanda crescente proprio per le produzioni meno stereotipate, per le voci fuori dal coro, per la costruzione di rapporti sempre meno intermediati.

Le evidenze empiriche supportano in alcuni casi studio questa tesi: si osserva ad esempio un aumento dell’audience nei podcast caratterizzati da narratori coinvolgenti, in contrapposizione alla diffusione di contenuti sintetici. L’intelligenza artificiale, più che assorbire indiscriminatamente l’audience, potrebbe favorirne una prima scrematura, facilitando l’emergere di contenuti di qualità superiore e consentendo alle eccellenze di distinguersi in un sistema ormai da tempo sovraccarico.

La trasformazione in corso però richiede un ripensamento fondamentale: editori e pubblicisti devono investire nel valore aggiunto elevando fino all’inverosimile gli standard, sia dal lato di chi produce contenuti, sia dal lato degli utenti. In altre parole, formazione, formazione, formazione. Il futuro dell’editoria digitale si trova dunque a un bivio: la direzione che prenderà il sistema stesso dipende in gran parte dalla sua capacità di adattarsi, di riposizionarsi; la domanda fondamentale non è se debba esservi un cambiamento, ma quanto e come l’industria culturale si dimostrerà capace di risolvere le attuali criticità, sia dal lato di chi scrive, sia dal lato di chi legge.


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