L’uso politico della presunzione d’innocenza.

L’uso politico della presunzione d’innocenza.

L’arresto di Toti e la riabilitazione di Lucano
Clubhouse speech

Si pone qui un problema inesorabilmente legato al rapporto fra giustizia e politica. Un rapporto necessariamente biunivoco, poiché la separazione dei poteri non toglie che sia comunque la politica a fare le leggi, e che gli amministratori di una repubblica debbano essere a loro volta alla legge soggetti, quindi il pericolo di un uso strumentale della giustizia da parte della politica, e di uno uso strumentale della politica da parte della giustizia, è sempre dietro l’angolo. Questo intervento su Clubhouse è suggerito dalla concomitanza tra due eventi, che hanno animato il dibattito politico a poca distanza l’uno dall’altro: l’arresto di Giovanni Toti, Presidente della Regione Liguria, e la piena riabilitazione di Mimmo Lucano in Corte di Cassazione. Due eventi che sembrano andare in direzione opposta, ma che sono profondamente legati.

Se infatti il presidente Toti è stato sottoposto a misure cautelari insieme ad altri venti indagati, nell’ambito dell’inchiesta di un pool antimafia in corso da Giugno del 2023, e dopo che a dicembre già era stata emessa una richiesta di custodia cautelare per il pericolo che l’indagato potesse fuggire, inquinare le prove o reiterare il reato, l’intervento da parte del Ministro della Giustizia Nordio nell’invocarne la presunzione d’innocenza fino all’ultimo grado di giudizio sembrerebbe volgere in direzione d’un condivisibile garantismo istituzionale. Quando parla di giustizia ‘a orologeria’, considerando la candidatura di Toti alle imminenti elezioni, non ha forse tutti i torti considerando che tra i capi d’imputazione per cui è indagato si menziona proprio la corruzione a fine di turbativa elettorale, dunque il pericolo di reiterare il reato è più che concreto nel caso che sia colpevole, e la misura cautelare tanto più necessaria.

La contemporanea assoluzione di Mimmo Lucano a distanza di anni tuttavia, pone il problema dei due pesi e delle due misure, dal momento che gli avversari politici del sindaco di Riace usarono la sentenza di primo grado, nella quale si attribuivano condanne pesantissime all’imputato, come un martello politico per distruggere il primo cittadino e la sua politica solidale, nel quadro di nuove prospettive fatte di respingimenti, soccorsi mancati, rimpatrii forzati e discriminazione sociale. Nei confronti di Mimmo Lucano non fu adottata la stessa prospettiva garantista oggi manifestata nei confronti di Giovanni Toti. Allora si preferirono posizioni giustizialiste, che a distanza di anni e col senno di poi ebbero un effetto infamante e destrutturante per tutta la sua esperienza politica, oggi pienamente riabilitata dopo l’ultimo grado di giudizio.

Non si tratta di un caso isolato, lo abbiamo visto proprio nei giorni scorsi con la denuncia a carico dell’onorevole Piero Fassino, infamato alla stregua di un ladro comune per un ‘presunto tentato furto’ che lo vede altrettanto innocente di Toti fino all’ultimo grado di giudizio. Anche in questo caso la prospettiva sembra vistosamente sbilanciata verso il giustizialismo, non certo verso il garantismo.

Garantisti insomma con gli alleati, con gli uomini del proprio partito, giustizialisti con gli avversari politici. Questo è l’uso strumentale che della presunzione d’innocenza viene fatto oggi da questa classe politica. Un uso intollerabile, che l’atteggiamento mostrato dal Ministro della Giustizia Nordio ribadisce con la sua pesante accusa di ‘giustizia a orologeria’. Se si è invocato ieri il giustizialismo per Lucano, lo si dovrebbe invocare altrettanto e forse più ancora oggi nei confronti di Toti, per la maggior gravità dei reati per i quali è indagato, per le misure cautelari cui è sottoposto, che indicano un rilevante grado di pericolosità diverso, nella valutazione del giudice.

Presunzioni d’innocenza diverse dunque. Una ‘diversa gradazione’ dell’innocenza, data dall’uso strumentale della giustizia da parte di quella stessa politica che impunemente accusa la corte di uso politico della giustizia. Siamo con ogni evidenza di fronte a un conflitto evidente fra due poteri dello stato, nel quale non si può non rimarcare la profonda incoerenza della parte politica, pronta a servirsi ora dell’uno, ora dell’altro principio, secondo convenienza. Mi chiedo cosa aspetti il Presidente Mattarella, garante della separazione tra i poteri, a intervenire.

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