Segnali precoci della violenza di genere secondo Ada Negri

Ada Negri, con la sua prosa lirica, visionaria e straordinariamente incisiva, ha saputo cogliere e rappresentare nella raccolta “Le solitarie” (1917) dinamiche relazionali e di potere che, a più di un secolo di distanza, sono ancora di sconcertante attualità: nel racconto dei due adolescenti italiani in Svizzera, mette in evidenza alcuni dei segnali precoci di abuso e violenza di genere, mostrando come questi meccanismi relazionali si trasmettano da una generazione all’altra.

Ambientato in un villaggio svizzero nei primi anni del Novecento, Ada Negri in questo racconto rappresenta con delicatezza, ma anche con un’implacabile profondità psicologica, due giovani sedicenni innamorati, entrambi provenienti da famiglie segnate dalla violenza. La giovane, figlia di immigrati italiani nel ginevrino, e il suo innamorato si muovono in un paesaggio primaverile struggente, che fa da contrappunto alla loro sofferenza interiore causata dalle dolorose vicende familiari.

Quel che rende il testo così vivo e attuale è la capacità dell’autrice di mostrare, in modo tutt’altro che didascalico, i semi della violenza di genere, in comportamenti apparentemente innocui: attraverso dettagli minuti – poche frasi del ragazzo che pretende di controllare come la giovane debba vestirsi, la sua critica alla madre di lei che ‘ardisce’ ribellarsi alla follia del marito (il quale secondo lui andrebbe sopportato con pazienza), fino alla terribile predizione su un futuro in cui la ragazza piangerà, ma lo amerà lo stesso – Negri mette in scena l’emergere di una situazione altrettanto asfissiante, di controllo e prevaricazione, nel futuro della giovanissima coppia.

Particolarmente significativo il gesto del ragazzo che, nel pronunciare quelle parole inquietanti, stringe con fermezza il polso della giovane: un contatto fisico che, pur non configurandosi come violenza esplicita, preannuncia una volontà di predominio che troppo spesso, nella vita reale, rappresenta l’anticamera di violenze più gravi.

Il racconto di Ada Negri mette in risalto un fenomeno che le scienze sociali del Novecento hanno ampiamente documentato: la trasmissione generazionale della violenza. I figli che assistono alla prevaricazione del padre nei confronti della madre, hanno una probabilità significativamente maggiore di diventare a loro volta prevaricatori nei confronti delle proprie compagne, mentre le figlie hanno maggiori probabilità di esserne vittime.

E’ naturalmente vero anche l’opposto, come taluni si peritano di puntualizzare, esiste cioè anche una violenza declinata al femminile, per lo più di tipo manipolatorio e psicologico, che tuttavia non si può paragonare per incidenza, frequenza, gravità dell’abuso ed effetti reali nella società, a quella degli uomini sulle donne: secondo un’indagine ISTAT condotta nel 2014, i partner delle donne che hanno assistito ai maltrattamenti del proprio padre sulla propria madre sono autori di violenza nel 21,9% dei casi (contro una media del 5,2%). Similmente, coloro che hanno subito violenza fisica dai genitori mostrano tassi più elevati di comportamenti violenti nelle relazioni: la violenza da partner attuale aumenta dal 5,2% al 35,7% se l’uomo è stato picchiato dalla madre, e al 30,5% se dal padre.

Questo circolo vizioso si riflette anche nelle statistiche riguardanti le donne che hanno subito abusi: tra coloro che sono state vittime di violenze prima dei 16 anni, l’incidenza delle violenze da adulte raggiunge il 58,4%, contro il 31,5% come valore medio. Dati che confermano (drammaticamente) l’intuizione letteraria di Ada Negri: i maschi imparano dalle generazioni precedenti i meccanismi della prevaricazione, le femmine a tollerarla. Tutto questo avviene tendenzialmente in famiglia. Famiglie italianissime, cristianissime, europeissime, vale la pena sottolineare.

La sconfortante attualità del racconto di Ada Negri emerge con ancora maggiore evidenza se consideriamo i dati sulla violenza di genere nell’Italia contemporanea. Al 4 aprile 2025, l’Osservatorio Nazionale Non una di meno ha registrato 98 femminicidi, 1 transcidio, 6 suicidi di donne cis, 1 suicidio di un uomo trans e altri casi di violenza fatale. Le statistiche più ampie mostrano che il 31,5% delle donne italiane tra i 16 e i 60 anni (quasi 7 milioni) ha subito una qualche forma di abuso fisico o sessuale nel corso della vita. Particolarmente allarmante è il dato che riguarda le adolescenti: il 10,6% delle ragazze italiane sotto i 16 anni ha subito abusi di questo tipo, quasi nell’80% dei casi da parte di persone conosciute.

Il racconto mette in luce la fase iniziale di quelle dinamiche relazionali che possono evolvere e degenerare: il controllo, la svalutazione dell’autonomia femminile, la normalizzazione della sofferenza come parte inevitabile dell’amore. Quei piccoli segnali che Ada Negri descrive con tanta precisione nel 1917, rappresentano oggi le bandierine rosse che educatori e psicologi individuano come indicatori di potenziali relazioni tossiche e abusanti.

La straordinaria rilevanza pedagogica del racconto di Ada Negri è nella sua capacità di mostrare come la violenza di genere non sia un fulmine che cade a ciel sereno, ma un processo graduale che inizia con segnali sottili, ma significativi. Insegnare alle giovani donne (e agli uomini) a riconoscere questi segnali precoci, può contribuire alla prevenzione.

Preoccupa il dato secondo cui il 29% degli adolescenti tende ancora ad addossare le colpe di uno stupro alla vittima per il modo di vestire o di comportarsi, mentre il 24% ritiene che la donna che non dica chiaramente ‘no’ sia, in fondo, disponibile al rapporto. Queste convinzioni, purtroppo ancora diffuse, creano il terreno fertile per la normalizzazione dell’abuso.

La delicatezza con cui l’autrice tratta il tema, evitando la banalizzazione e il tono da predica domenicale, permette ai giovani lettori di identificarsi nei personaggi e riconoscere, attraverso lo specchio deformante della letteratura, dinamiche che potrebbero verificarsi nella loro vita quotidiana.

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