Pelasgi ovunque. Note intorno alle terramare di Poggiomarino

Pelasgi ovunque. Sulle Terramare di Longola a Napoli

Pelasgi ovunque

Note intorno alle terramare di Poggiomarino
e alle necropoli del Sarno nell’età del ferro.

Articolo di Federico Berti

Abstract: L’attributo di popolo pelasgico è stato variamente riservato a quasi tutte le comunità che si sono stanziate intorno al Golfo di Napoli tra il II millennio a.C e il V secolo. Micenei, Osci, Sarrasti, Greci, Etruschi, Opici. In risposta a chi si ostina a voler vedere Pelasgi ovunque, la ricerca archeologica sembra aver documentato al contrario in quell’arco di tempo e in quel territorio, un contesto sociale molto più aperto al sincretismo, alla convivenza e alla cooperazione, di quanto a volte non si pensi. Più che popoli, culture.

Le fantasiose ricostruzioni dei sostenitori della migrazione pelasgica in Italia hanno portato, come si è detto altrove1, a risultati contraddittori, non suffragati da documentazione adeguata e in contrasto con varie informazioni sulle quali ampio è il consenso nel dibattito accademico. Non sarà inutile riflettere sui ritrovamenti nel sito di Poggiomarino, nell’area archeologica di Longola2, che testimonierebbero la presenza di un insediamento di terramare sul fiume Sarno in un arco di tempo fra l’XI il VI secolo a.C., insediamento poi abbandonato in seguito a un’alluvione, in favore dell’area intorno a Pompei e Nocera3. L’insediamento di Poggiomarino è stato attribuito a un misterioso popolo di Sarrasti citato da Virgilio e Silio Italico4, su cui (neanche a dirlo) è più volte ricaduto il topos di ‘pelasgico’. Salvatore D’Angelo riporta a questo proposito le parole di Marco Onorato Servio:

Sarrasti sono popoli della Campania, così chiamati dal fiume Sarno; Alcuni Pelasgi ed altre popolazioni uscite al Peloponneso giunsero in quel luogo d’Italia che prima non aveva alcun nome, e diedero il nome di Sarno al fiume presso il quale abitarono, dalla denominazione del fiume della loro patria, e chiamarono se stessi Sarrasti e fondarono molte città tra cui Nocera”5.

I ritrovamenti constano di capanne in legno intonacate all’interno, sovrapposte l’una all’altra su piattaforme in legno sostenute da pali o travi squadrate, infitte verticalmente nel fondale formando canali navigabili, con probabile funzione di porto fluviale. L’ottimo stato di conservazione del legno e la qualità dei ritrovamenti nei dintorni del villaggio, ha permesso di ricostruire nel dettaglio anche il contesto ambientale, faunistico e culturale6. Boschi di querce con abbondante selvaggina, cinghiali, orsi, caprioli e cervi. Chi vi abitò possedeva buone conoscenze di ingegneria idraulica, falegnameria, esperienza nel-la lavorazione del bronzo, del ferro, dell’ambra e della pasta vitrea, materiali con cui venivano costruiti (e scambiati) beni considerati allora di prestigio. Non un povero villaggio di pescatori, quindi. L’area sembra sia stata oggetto di bonifica e più volte rialzata nel corso di varie ricostruzioni successive. Con l’alluvione del VI secolo a.C., la comunità di terramaricoli sarebbe migrata verso Nocera e Pompei.

Il ritrovamento del sito di Poggiomarino, non è isolato. Sempre lungo il corso del Sarno, a un’ora e mezzo di cammino dal villaggio riemerso dal fango, si trova la necropoli di San Marzano e mezz’ora più lontana quella di San Valentino Torio, entrambe datate dalla metà del IX secolo a.C. fino alla metà del VII, ovvero nel periodo in cui si ritiene che il vicino insediamento terramaricolo fosse nel pieno del suo sviluppo. Dalla posizione delle due necropoli, dalle loro dimensioni e dal modo in cui si presentano le sepolture, è molto improbabile che possano attribuirsi a una cultura diversa da quella stanziata a Poggiomarino7. Si tratta di tombe a fossa con il corpo inumato supino rivolto a est, corredate da armi, suppellettili e altri oggetti, per un totale di 300 sepolcri.

In una fase arcaica la struttura delle due necropoli riflette una società poco differenziata, le tombe maschili si distinguono da quelle femminili per la presenza di armi e rasoi in bronzo, l’unica distinzione è tra uomini, donne e bambini. Il corredo funerario è in questo periodo costituito da una coppa per bere, un grosso vaso e in alcuni casi un coltello, poco altro. In un secondo periodo che va dall’VIII alla metà del VII secolo a.C., classificato dagli archeologi sotto il nome di Orientalizzante antico, s’inizia a constatare nelle tombe femminili la comparsa di strumenti come la rocca e il fuso, collane di ambra, pasta vitrea, scarabei. In questa seconda fase, le tombe iniziano a presentare un’evidente stratificazione sociale, più nella quantità che nella qualità degli oggetti deposti nel corredo, sia nelle tombe maschili che in quelle femminili. La percentuale di guerrieri è inferiore di un quinto rispetto alla prima età del ferro, e anche tra questi inizia a vedersi una maggiore articolazione. Scrive a tal proposito Patrizia Gastaldi:

Queste modificazioni apparentemente cosi improvvise si producono sulla spinta di sollecitazioni esterne provenienti dall’arrivo, sulle coste campane, dei primi coloni greci”8.

Il primo ritrovamento nel sito di Poggiomarino dunque si direbbe ascrivibile a una cultura di tipo indoeuropeo, terramaricolo, che un secolo più tardi inizia a evolvere in direzione di un’evidente orientalizzazione, con l’arrivo sulle coste campane dei coloni dalla Grecia nell’VIII secolo. Si registra un cambiamento profondo nella struttura sociale, in cui viene a manifestarsi una sempre più marcata stratificazione sociale e nel contempo un diverso prestigio nelle donne rispetto alla fase più arcaica9. L’ipotesi che la migrazione da Poggiomarino conseguente l’alluvione del Sarno, avvenuta nel VI secolo, abbia portato all’emergere dei centri di Nocera e Pompei, è chiaramente indice di un’evoluzione graduale, un sincretismo tra villanoviani e Greci ellenizzati, più pacifico di quanto l’epica dei nazionalismi antichi e moderni non vorrebbe dare a intendere: questa evoluzione dell’insediamento Osco, constatata nell’ambito di un medesimo rituale funerario modificatosi nel tempo e alimentato dall’apporto di nuovi elementi culturali dall’Oriente, è il segno di una nuova cultura sviluppatasi dall’incontro nell’VIII secolo, sul territorio intorno all’area vesuviana, di un sostrato indoeuropeo, con un nuovo apporto greco10.

Come si è detto dunque la cultura delle terramare attestata nella regione del Sarno tra IX e VI secolo a.C. induce a ipotizzare una continuità storica e culturale con lo sviluppo di Pompei e Nocera, in una prima fase come una società poco differenziata di combattenti, artigiani, agricoltori e pastori, che inizia a manifestare un processo di orientalizzazione solo a partire dall’VIII secolo. Non risulta aver lasciato nulla di scritto, non sembra interessata a innalzare delle mura megalitiche, non costruisce in pietra, seppellisce i morti in tombe a pozzetto e non a tumulo. Sembra lontana dalle caratteristiche proprie della ci-viltà micenea o di quei ‘pelasgi’ che pure qualcuno ha voluto vedere nell’insediamento dei Sarrasti. Le testimonianze della presenza micenea intorno al Golfo di Napoli risalirebbero a un periodo precedente il XII secolo a.C., poi l’influenza greca sul territorio è oscurata dal declino miceneo conseguente l’inizio dell’età del ferro.

I primi proto-greci a esplorare il territorio erano stati come sappiamo gli Achei dell’Anatolia e di Cipro intorno al XVI se-colo a.C., alcune tavolette in scrittura Lineare B rinvenute a Pylos nel Peloponneso fanno menzione di insediamenti micenei in Puglia, nel Lazio e in Toscana, considerati allora distretti di quella polis11. Si trattava per lo più di piccole colonie auto-sufficienti con zone di mercato, centri produttivi e stazioni di supporto per un’eventuale radicamento futuro nel territorio. Questi primi pionieri si muovevano lungo le vie dei metalli in cerca di rame e stagno, non erano a quanto pare dei guerrieri ma abili commercianti, con un acuto spirito di osservazione che li rendeva particolarmente inclini al sincretismo culturale. Con la fine dell’età del bronzo e la comparsa del ferro, la civiltà micenea era però entrata in declino, l’influenza greca si era dunque indebolita fra XII e X secolo, per poi riprendere a consolidarsi nell’VII con lo sviluppo delle nuove colonie nella Magna Grecia. Gli storici lo chiamano medioevo ellenico.

Ripercorrendo all’indietro la storia del territorio, si torna a parlare di Pelasgi (ancora una volta) nel mito degli Opici12, un popolo che secondo Strabone si sarebbe stanziato sull’attuale collina di Materdei a Napoli due millenni prima di Cristo, popolo cui gli intellettuali menzionati dai sostenitori della teoria pelasgica attribuirono per l’appunto un’origine egea, come se tutti i popoli dell’Egeo nel secondo millennio potessero aver mai costituito un unico popolo. Il cerchio si chiude, l’attributo di pelasgico è stato variamente riservato a quasi tutte le comunità che si sono affacciate sul Golfo di Napoli tra il II millennio e il V secolo a.C., Micenei, Osci, Sarrasti, Greci, Etruschi, Opici. In risposta a chi si ostina a voler vedere Pelasgi ovunque, la ricerca archeologica sembra aver documentato al contrario, in quell’arco di tempo e in quel territorio, un conte-sto sociale molto più aperto al sincretismo, alla convivenza e alla cooperazione, di quanto a volte non si pensi. Più che popoli, culture in relazione di reciprocità.

Bibliografia

Nicola Corcia, De la Venuta de’ Pelasgi in Italia, in: ‘Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti’, n. 46, Napoli, 1839.

Salvatore D’Angelo, La Sarno protourbana e perifluviale dei Sarrasti, Sa-lerno, Edisud, 2004.

Nazarena Valenza Mele, Cuma. Studi sulla necropoli. Scavi Stevens 1878-1896, Roma, L’Erma di Bretschnider, 201

Gilbert Murray, Le origini dell’epica greca, Firenze, Sansoni, 1963

Marco Onorato Servio, Ad Aeneida, VII, 738

Silio Italico, Punica, VIII, 536-537

Passananti, Filiberto, I greci prima dei greci, in: ‘Partenope’ 4 Ottobre 2013,

Patrizia Gastaldi, Le necropoli protostoriche della Valle del Sarno: il passaggio dalla qualità alla quantità, in: Gherardo Gnoli, Jean-Pierre Vernant, La mort, les morts dans les sociétés anciennes, Éditions de la Maison des sciences de l’homme, Cambridge University Press, 1990, p.222-240.

Publio Virgilio Marone, Eneide, VII, 738.

Note

1Sulla natura contraddittoria dell’ipotesi pelasgica proposta da Nicola Corcia nella prima metà dell’Ottocento, rimando a Gilbert Murray, Le origini dell’epi-ca greca, Firenze, Sansoni, 1963, secondo cui il termine Pelasgico deriverebbe da pelas gē (πέλας ‘terra vicina’), cosicché Pelasgoi sarebbe niente di più che il popolo straniero più vicino ai Greci invasori”.

2L’attuale Parco Archeologico di Longola è una ricostruzione ad uso didattico, realizzata su un’area di 30.000 mq dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici, sulla base dei ritrovamenti. Per la mancanza dei fondi necessari alla bonifica e alla prosecuzione degli scavi, non si è potuto indagare oltre.

3Pompei e Nocera sono due tra le città che Nicola Corcia, De la Venuta de’ Pelasgi in Italia, in: ‘Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti’, n. 46, Napoli, 1839, sostiene siano state fondate, o conquistate, dai cosiddetti Pelasgi. Qualsiasi cosa egli intendesse con tale nome, i ritrovamenti sul Sarno sembrano offrire spunti di riflessione intorno alle domande poste dall’archeologo ottocen-tesco.

4Virgilio, Eneide, VII, 738.
Silio Italico, Punica, VIII, 536-537

5Marco Onorato Servio, Ad Aeneida VII, 738 cit. in Salvatore D’Angelo, La Sarno protourbana e perifluviale dei Sarrasti, Salerno, Edisud, 2004.

6Caterina Cicirelli, L’abitato protostorico di Poggiomarino. Località Longola. Campagne di scavo 2000-2004, Roma, L’Erma di Bretschnider, 2012.

7Le necropoli si trovavano generalmente allora a una distanza dal centro abitato che non superava il chilometro e mezzo, come si può vedere nei ritrovamenti intorno a Cuma di cui in Nazarena Valenza Mele, Cuma. Studi sulla necropoli. Scavi Stevens 1878-1896, Roma, L’Erma di Bretschnider, 2011. La distanza tra le necropoli del Sarno e il porto flu-viale di Poggiomarino è più di sei chilometri, per cui non possiamo pen-sare a una relazione diretta fra i due siti. Purtroppo, la mancanza di ri-sorse ha impedito di proseguire gli scavi per verificare la reale esten-sione e distribuzione della cultura terramaricola sul territorio, ma per quanto ne sappiamo quel tipo di villaggio raramente si presentava come solitario, e alcune necropoli del tempo servivano più insediamenti nei dintorni. Necropoli e porto fluviale sono entrambi compatibili con la cultura Osca da cui si svilupparono i centri di Pompei, Nocera e Cuma.

8Patrizia Gastaldi, Le necropoli protostoriche della Valle del Sarno: il passaggio dalla qualità alla quantità in: Gherardo Gnoli, Jean-Pierre Vernant, La mort, les morts dans les sociétés anciennes, Éditions de la Maison des sciences de l’homme, Cambridge University Press, 1990, p.222-240.

9Ibid., “Con il passaggio dalla prima età del ferro all’Orientalizzante si assiste ad un sostanziale e quasi improvviso cambiamento nell’articolazione della compa-gine sociale, prima fondata sulla coppia di opposizioni «adulto-non adulto» e «uomo-donna/bambino» ed ora stabilita sulla base di criteri non più qualitativi ma quantitativi. A questo fenomeno si accompagna il riconoscimento del ruolo femminile con l’immissione della donna nel rituale del sacrificio”.

10Un processo di sviluppo graduale simile a quello rilevato nell’area padana tra Villanoviani ed Etruschi, dove questi ultimi vennero a costituirsi progressi-vamente per differenziazione sociale dai primi nello stesso periodo cosiddetto Orientalizzante antico, ovvero a partire dall’VIII secolo. Gilda Bortolotti, La cultura villanoviana. All’inizio della storia etrusca, Firenze, Carocci, 2022.

11Filiberto Passananti, I greci prima dei greci, in: ‘Partenope’ 4 Ottobre 2013, “Questi primi colonizzatori, a cavallo tra la protostoria e la storia, si muovono sulla via dei metalli, a caccia di rame e stagno, spinti soprattutto dalle loro gran-di abilità commerciali”.

12Ibid. “Già prima degli achei d’Anatolia e di Cipro e prima ancora della caduta di Troia (1300-1200 a.C.), le nostre terre sono abitate dagli opici. I greci, che danno loro questo nome, li considerano una popolazione autoctona. E guarda caso, l’origine degli opici è egeo-pelasgica.”

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