Le cornici narrative. Intrattenimento, Insegnamento e Ispirazione.

Xaver Winterhalter, Decameron, olio su tela, 1837

Le cornici narrative

Intrattenimento,
Insegnamento, Ispirazione

Articolo di
Federico Berti

Nel Panchatantra indiano un re affida i suoi tre figli alle cure di un brahmano Visnusarman incaricato di educarli e questi compone per loro cinque libri di racconti esemplari, leggendo i quali gli apprendisti acquistano la saggezza in soli sei mesi: di questo libro nel XIII secolo Giovanni da Capua darà una versione latina nel Directorium humanae vitae derivante da una versione in lingua ebraica a sua volta ricavata dall’Hitopadesa di un secolo precedente, la versione latina sarà poi alla base di una successiva edizione tedesca e una spagnola, tornata in Italia per opera di Agnolo da Firenzuola verso la metà del ‘500, con la sua Prima veste de’ discorsi degli animali.

Tutte queste versioni si ritiene che derivino da una lezione in lingua Palhavi del VI secolo andata perduta, a sua volta ripresa da precedenti del II-IV secolo d.C., anch’esse perdute. In tutte queste versioni la cornice narrativa è la medesima, l’educazione dei tre figli di un re attraverso la narrazione di storie sapienziali. Nel Sukasaptati la cornice sembra piuttosto orientata a influenzare l’azione dei protagonisti: un pappagallo ritarda l’adulterio di una moglie indiana incuriosendola e intrattenendola con la narrazione di storie durante la notte. Di questa raccolta si conoscono edizioni del XII secolo che potrebbero aver ispirato il Boccaccio, ma la più conosciuta sarebbe il Tutinama, ovvero una raccolta tradotta da un medico sufi persiano residente in India nel XIV secolo. In questa versione la moglie infine viene uccisa dal marito, quando al suo rientro il pappagallo svela il progetto di adulterio; la formazione della cornice letteraria è sempre di origine letteraria, naturalmente.

Nelle Mille e una notte di cui abbiamo il più antico manoscritto ritrovato nell’800 e datato al XIII secolo ma interpolato con racconti arabi, musulmani, cristiani e arricchito con dettagli secondo il gusto della moda letteraria vittoriana, come sappiamo è una donna condannata a morte per il capriccio di un re, il quale per l’infedeltà della propria moglie ha deciso di giacere con una donna diversa ogni notte e poi ucciderla al mattino. Quando non rimangono più giovani vergini in tutta la Persia, la figlia del Visir si offre di passare la notte col re e manda a chiamare sua sorella per rivederla un’ultima volta prima di morire, questa le chiede d’intrattenerla con un’ultima storia ma la concatenazione dei racconti e il gioco di rimandi a scatole cinesi di cui Sherazade è chiaramente, non finisce mai e dunque la morte della donna viene rimandata fin quando lo stesso re non decide di graziarla della vita. La cornice narrativa è ancora una volta un romanzo di formazione, la guarigione di un pazzo omicida.

Di origine indiana si ritiene sia pure il Libro dei Sette Savi, raccolta di racconti esemplari diffusa in Italia nel XIV secolo fra Toscana e Veneto, probabile derivazione da un testo francese precedente. Ne esiste anche una versione greca bizantina, Libro di Syntipas, e una latina medievale Historia septem sapientium. Ne parla il D’Ancona nel 1864. La cornice è quella di un giovane principe, accusato dalla matrigna di averle usato violenza, dopo essere stato condannato dal padre alla pena capitale viene consigliato dagli astri di raccogliersi per otto giorni in assoluto silenzio. Nel frattempo sette savi riescono a far rimandare la sentenza intrattenendo il re con racconti esemplari. Di nuovo il ritardo di un evento delittuoso e la cura dell’anima di un uomo che sta per commettere un’ingiustizia. Poi abbiamo il Decameron di Giovanni Boccaccio, con l’espediente dei giovani che si ritirano in campagna per scampare alla peste e decidono di intrattenersi raccontandosi delle storie.

Nel Pecorone di Giovanni Fiorentino scritto alla fine del Trecento, a intrattenersi piacevolmente sono una giovane e bella suora di un convento forlivese, di nome Saturnina, e Auretto un fiorentino «savio, sentito e costumato e ben pratico di ogni cosa» che per conoscerla, avendone sentito lodare la fama, si fa frate e diventa cappellano nel monastero dove è rinchiusa la giovane. I due innamorati si mettono d’accordo per ritrovarsi ogni giorno in parlatorio dove, per consolarsi e frenare il desiderio, si raccontano una novella. Sembra quasi di sentir riecheggiare la dissuasione dal peccato di adulterio nel Tutinama. Nelle Piacevoli notti di Francesco Straparola, pubblicate nel XVI secolo, sono tredici donne riunitesi nel palazzo del vescovo di Murano a raccontare storie tra cui fa la sua comparsa il ‘Gatto con gli stivali’ poi ripresa nel repertorio di Charles Perrault. Una costante nella cornice di quest’opera sono gli enigmi in rima riportati in ogni storia. Nei Racconti di Canterbury ventinove pellegrini in viaggio per la tomba di Thomas Beckett si raccontano storie per intrattenersi e alleggerire le pene del cammino, un tema che avevamo già incontrato all’inizio dell’Asino d’Oro di Apuleio. Infine il Cunto de li cunti di Giovan Battista Basile, dove l’intrattenimento ha più esplicitamente uno scopo terapeutico, curare l’ansia di una giovane donna prossima al parto.

Queste nella letteratura antica sono le cornici narrative più famose, per quanto riguarda almeno il racconto a tema fiabesco. In tutti i casi abbiamo una cura dell’anima e non solo un puro e semplice intrattenimento. Possiamo distinguere due temi ricorrenti, uno è l’intreccio di storie per ritardare un evento negativo, come la strage delle donne e la morte di Sherazade nelle Mille e una notte, oppure l’adulterio della moglie indiana nel Tutinama, la dissuasione degli amanti che si trovano al parlatorio del convento per non corrompere il voto di castità della monaca, o la fuga dalla peste di boccaccesca memoria, l’esecuzione del principe condannato a morte nel Libro dei sette savi. L’altro tema ricorrente è quello della formazione, ovvero la cura dell’anima: nell’Asino d’Oro di Apuleio, come nell’opera di Chaucer, il tema del viaggio come occasione per uno scambio di racconti che diventa motivo di crescita, nel Panchatantra un’educazione attraverso il racconto di storie sapienziali che sembrano richiamare la pedagogia del mito platonico.

La stessa Commedia dantesca, è riconducibile a un viaggio iniziatico nel quale il neofita, ovvero l’autore del poema, ascolta le storie dalle anime dei defunti per guarire la sua che s’era perduta. Le cornici narrative non si esauriscono nel genere fiabesco, a ben vedere le si ritrovano in molte altre opere osservando con attenzione: tutta la letteratura epica e cavalleresca è costituita da un insieme di contenitori pensati per collegare tra loro storie semi-indipendenti inserite in un ciclo comune, dall’Iliade al Beowulf, dai Reali di Francia all’Orlando Furioso. In quel caso però non è la narrazione medesima oggetto della cornice narrativa, per cui non interessa la nostra riflessione sul racconto a incastro. Quel che a noi premeva notare in questa breve panoramica sulle cornici narrative, è la duplicità della componente ludica e di quella formativa, due volti della stessa medaglia. Docere, delectare, movere, diceva Cicerone. Ovvero intrattenere, insegnare e ispirare un’azione.

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