Il nemico numero uno secondo Capuana
Quel che spicca, in modo anche piuttosto irritante, nel racconto “La nemica” di Luigi Capuana, è la palese, aperta misoginia non solo del protagonista, ma anche del suo entourage: una visione della donna come fonte d’ispirazione artistica, dunque oggetto di idealizzazione, ma da evitare come la peste nella vita reale: va bene invitare le modelle a posare nude per lui nel proprio studio, magari lasciando pure che vengano a godersi la bella vista i suoi amici, ma poi basta, bisogna pagarle bene (perché tornino) e mandarle via.
Mai legarsi sentimentalmente, perché le donne sono una condanna, una dannazione; avviene poi che ne compaia nella sua vita una molto ammalata, il pittore tenta una prima volta di dipingerla nel proprio studio ma lei muore e lui ne rimane straziato, perché quel dipinto stava riuscendo come il suo capolavoro: lo legava a quella donna più che un rapporto ‘professionale’. Così una mattina lui sparisce e si ritira in campagna lontano da tutti, dove riprova a dipingerla interamente a memoria, sulla base di un vago schizzo su carta, impiegando pigmenti naturali ottenuti dai fiori e dalla natura circostante.
Quando il suo servitore e un caro amico vanno a trovarlo, preoccupati per la sua prolungata assenza, lo trovano morto d’infarto, seduto in poltrona nell’atto di contemplare il proprio stesso dipinto: ecco, questo elemento conferma il rapporto strumentale del protagonista con il femminile, che per lui è solo un oggetto da ritrarre, un motivo di ispirazione, anche dopo la morte.
Anzi, se ammalata e decadente lo eccita intellettualmente ancora di più: se non è questa una forma di autocompiacimento narcisistico dai tratti patologici, non saprei come altro definirla.
Qualcuno potrebbe chiedersi se non sia il caso di stornare dall’autore il carico di questo atteggiamento misogino, narcisistico, manipolatore: la risposta è nel dispositivo narrativo stesso, da cui non traspare una condanna esplicita del protagonista, ma piuttosto il compianto pietoso e compassionevole di un uomo che è stato vinto dalla sua nemica. Proprio così, vinto-dalla-sua-nemica. In questo, l’autore non prende le distanze da una misoginia e da un narcisismo che evidentemente appartengono un po’ anche a lui medesimo.
Ecco un’altra di quelle forme sommesse, dissimulate, subdole, striscianti, che assume da sempre la discriminazione di genere, e che dobbiamo imparare a leggere tra le righe per poter trarre una lezione utile dal passato. La donna angelo, la donna oggetto, la donna da pagare, esporre, mandar via a comando: è la forma più pericolosa che assume il gender-gap ancora ai giorni nostri, della quale non ci siamo ancora del tutto liberati.