Ercole a Napoli. Gli dei si evolvono con gli uomini che li venerano

Ercole, figlio del Vesuvio. Gli dei evolvono con gli uomini che li venerano

Ercole a Napoli

Gli dei si evolvono con gli
uomini che li venerano

Articolo di Federico Berti
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Abstract: Del vasto corpus mitico-leggendario intorno al mito dorico-miceneo di Ercole, alcuni aspetti si legano a tradizioni locali nel culto osco, etrusco, greco, romano, dando luogo a varianti, in accordo con i valori culturali delle rispettive comunità e del quadro storico complessivo. Gli dei si evolvono con gli uomini che li venerano.

Quando pensiamo all’epica omerica prendiamo di solito a riferimento l’Iliade e l’Odissea, che ne rappresentano la lectio ortodossa, dimenticando che nel repertorio dei cantori greci si erano sviluppati e continuarono a fiorire per secoli il ciclo dei ritorni da Troia, l’Etiopide, il Tebano e l’Eraclide. Le imprese di Ercole1, nell’immaginario greco, erano tutte ambientate in un periodo precedente l’età del ferro e in territori molto lontani tra loro: dai monti dell’Atlante nell’Africa Occidentale, all’Eraclea Pontica del Mar Nero, dall’altopiano dell’Anatolia alle isole della Magna Grecia, nei quali assumeva di volta in volta aspetti diversi, legandosi ad altri culti locali.

L’Eracle dei popoli italici non è solo un mito coloniale dell’eroe che uccide i demoni del caos e riporta l’ordine nel mondo, ma assume l’aspetto di un protettore delle greggi, dei commerci, dei viaggi per mare e delle sorgenti d’acqua2. Nel territorio napoletano si riteneva fosse stato il fondatore di Baia, Ercolano e Pompei, non delle grandi città come Cuma, Dicearchia e Neapolis ma di quei piccoli centri di cultura e lingua osco-umbra, poi etrusca, fioriti nell’agro campano e nell’area vesuviana. L’aspetto rituale dell’eroe messo alla prova, dell’eterno migrante, trovava d’altro canto fra i coloni Greci il suo corrispondente umano nella figura dello straniero in cerca di adozione tra i nativi3. Ognuno insomma coglieva nel mito gli aspetti che trovava più consoni alla propria condizione, ai propri valori e al proprio stile di vita.

Dionigi di Alicarnasso, storico e insegnante di retorica del I secolo a.C., sosteneva che la città di Ercolano fosse stata fondata da Ercole di ritorno dalla Spagna con una mandria di buoi rubati al gorgonide Gerione, un gigante con tre teste e sei braccia4. L’autore data l’evento in un anno preciso, il 1243 a.C., otto secoli prima dell’insediamento greco. Questo sembra impossibile, dato che le prime colonie della Magna Grecia risalgono all’VIII secolo in Sicilia, in Lucania e nel Salento, non meno di un secolo più tardi nel territorio campano. Stando al racconto dello storico di Alicarnasso, possiamo pensare che abbia fatto semplicemente un po’ di confusione, oppure chiederci se il mito greco di Ercole non si sia innestato su precedenti culti, cosa del tutto plausibile. Una divinità assimilabile all’Eracle greco può essere stata introdotta in precedenza dai micenei, la cui presenza è attestata fino al XV secolo a.C. nella penisola e nel territorio campano, ipotesi del resto compatibile col mito letterario dato che la madre di Ercole si riteneva fosse Alcmena5, principessa di Micene, nipote di Andromeda e Perseo. Storie di origine greca, di cui i Greci stessi attribuivano l’origine a coloro da cui essi vantavano discendenza, i Micenei.

L’Eracle dei Greci come si è detto divenne oggetto di un sincretismo con precedenti culti locali, producendo una serie di varianti che contribuirono al suo radicamento nel territorio, ma anche alla sua ridefinizione. La leggenda dei buoi di Gerione rubati a Ercole che Dionigi di Alicarnasso ambientava a Ercolano nel XII secolo, ha dato luogo a una propria localizzazione romana sull’Aventino, dove un mostruoso pastore di nome Caco, gigante a tre teste figlio di Vulcano che sputava fuoco dalla bocca, aveva il proprio rifugio in una caverna. Secondo una versione del racconto, Ercole si era fermato con la mandria rubata a Gerione presso un tempio alla dea Fauna6, volle a sua volta costruirvi un altare ma mentre si trovava intento all’opera il gigante gli rubò alcuni buoi.

In una variante arcadica, il tempio sull’Aventino fu costruito dal greco Evandro, figlio di Mercurio e della ninfa Carmenta, capo dei greci che vivevano sul Palatino7. In entrambe le versioni, Ercole trova il ladro e lo uccide. Su questo racconto non mancano ipotesi che vedono nel mostruoso pastore la damnatio tardiva di una dea che aveva lo stesso nome, ma al femminile, legata a un culto del fuoco precedente a quello delle Vestali, che rimanderebbe addirittura a un sostrato culturale pre-etrusco8. La parziale coincidenza tra i due racconti, quello romano e quello partenopeo, rimanda senza dubbio a un insieme di componenti che pur essendo presenti nel mito di Ercole, si ricollegano però a culture diverse e all’evoluzione di culti locali. Tradizioni e varianti rielaborate in momenti diversi e con diversi intenti.

In Lucania, in Puglia, in Sicilia, Ercole rappresentava in una fase più antica, databile intorno al VI secolo a.C. l’eroe civilizzatore che affronta i demoni dell’oltretomba, le creature del caos, per riportare l’ordine nel mondo. Al racconto di Gerione si affiancavano la vittoria sul leone di Nemea, sull’idra di Lerna, su centauri, tritoni, amazzoni, uccelli stinfalidi: l’aspetto della colonizzazione culturale e quello dell’iniziazione alla guerra e alla caccia, caratteristico dell’Ercole Invitto9, veniva posto in primo piano. Due secoli più tardi il culto radicato nell’immaginario delle comunità locali, opportunamente riconfigurato assimilandolo come si è visto a culti pre-esistenti, o integrandolo con varianti, si rivolse più concretamente alla protezione dei commerci, degli armenti, delle sorgenti d’acqua. In queste forme di combinatoria narrativa transculturale, è difficile distinguere il sostrato più antico dai nuovi apporti, gli eroi e le divinità cambiano spesso nome, aspetto fisico, persino genere (da maschile a femminile o viceversa), ogni contributo si sedimenta e a sua volta diviene oggetto di sincretismo. Quel che conta è la funzione assunta dal racconto e dal culto cui rimanda.

E’ su questo scenario che viene a porsi il problema dell’origine stessa di Ercolano, città sorta intorno all’area vesuviana di cui alcuni intellettuali latini sostenevano un’origine precedente l’urbanizzazione greco-romana. Il nome stesso del Vesuvio si ritiene possa derivare dalla radice greca Ves, che era uno dei nomi di Zeus, cosi Ercole stesso divenne Vesouvios, ‘figlio di Ves’10. Un culto del fuoco nel quale sembra quasi risuonare l’idea del mostruoso pastore figlio di Vulcano che sputava il fuoco dalla bocca, solo che stavolta il figlio del vulcano è Ercole stesso. Strabone è un po’ più concreto a riguardo, sostiene che la città fosse stata fondata nel XII secolo dagli Osci, la sua tesi non è al momento documentabile ma sappiamo che nel periodo cosiddetto orientalizzante antico, un nume eraclide era oggetto di culto in diverse regioni della penisola italica, e che questo nume non lo si venerava ovunque nello stesso modo. Si entra qui in un terreno spinoso, perché gli aspetti cultuali sono ancora per noi relativamente sconosciuti. Il nome di Ercole sembra però essere variamente attribuito (o sovrapposto) a differenti culti locali che non riportano tutte le manifestazioni del ciclo eraclide greco-miceneo, ma solo alcuni aspetti, integrati da varianti.

In base a quanto detto finora è evidente che la storia degli insedia-menti intorno al Golfo di Napoli non segue una linea retta, ma un insieme di percorsi multipli, talvolta ellittici, concentrici, altre volte a grappolo, altre ancora un groviglio di strade senza una logica apparente, non la si può ridurre a un elenco di battaglie e qualche genealogia di imperatori. Nel territorio del Sannio ad esempio, cui Ercolano fu annessa prima della conquista romana, non si trovarono mai centri urbani articolati, ma villaggi di pastori e contadini che vivevano in capanne, palafitte e terramare. La ricerca archeologica sembra incline a ritenere che vi sia stata una linea evolutiva relativa-mente pacifica dai proto-villanoviani del gruppo linguistico osco, ai popoli (in parte ellenizzati) delle confederazioni sannitiche da una parte, etrusche dall’altra. Questo tipo di cultura ha seguito a sua volta una direttrice di sviluppo verso lo stile di vita urbano delle grandi città come Cuma, Neapolis e la stessa Roma, un’altra verso l’ostinata resistenza a quel modello e a quei valori, da parte dei popoli che continuarono a difendere i loro villaggi di capanne, l’agricoltura e la pastorizia di sussistenza, l’artigianato e il commercio, rifiutando l’urbanizzazione imposta con la forza dai grandi centri di potere11.

Ancora una volta non siamo di fronte a popoli intesi nel senso di stirpi chiuse, ma a culture che evolvono l’una nell’altra elaborando forme di sincretismo e cooperazione, in alcuni casi conflittualità non risolte che possono degenerare nella sopraffazione e nella servitù. In questo complesso di dinamiche non lineari, mai generalizzabili, Ercole non rappresenta per il mondo osco-greco il mito della forza, ma l’esatto opposto: è piuttosto l’iniziazione al controllo di un potere che può evolvere in violenza, se non viene correttamente disciplinato12. Se per i coloni Greci Ercole è l’emigrante che deve farsi adottare dal nativo per essere accettato in una comunità cui non appartiene, il principe diseredato, l’apolide condannato a restare sempre non abbastanza uomo per vivere tra gli uomini, né abbastanza divino per vivere tra gli dei, per i popoli italici rimane un nume tutelare delle greggi, dei commerci e delle sorgenti d’acqua, sul quale si sedimentano le nuove suggestioni venute dall’Oriente. Si osservi a questo proposito la differenza tra l’Eracle post-miceneo, l’etrusco, sannitico, e l’Ercole romano13 divenuto col tempo il patrono dei giochi gladiatori. Del vasto corpus mitico-leggendario intorno al mito dorico-miceneo di Ercole, alcuni aspetti si legano a tradizioni locali nel culto osco, etrusco, greco, romano, dando luogo a varianti, in accordo con i valori culturali delle rispettive comunità e del quadro storico complessivo. Gli dei si evolvono con gli uomini che li venerano.

Bibliografia

– Alighieri, Dante, Inferno, Canto XVI e XVII, in: Divina Commedia.

Berti, Federico, Le vie delle fiabe. L’informazione è narrazione. Bologna, Streetlib, 2020.

– Capano, Antonio, Il mito e il culto di Eracle/Ercole nella Magna Grecia e nella Lucania antica, in: ‘Basilicata Cultura’, 131-132.

– De Benedittis,Gianfranco, I Sanniti. Una storia negata, Pub.Ind, 2022.

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– Erodoto, Storie, I, 7, Milano, Rizzoli, 1984.

– Euripide, Eracle, Milano, Rizzoli, 2018.

– Christina Franzen, Sympathizing with the Monster. Making sense of colinization in Stesichorus’s Geryoneis, in: ‘Quaderni Urbinati di Cultura Classica’, vol. 92, n. 2, 2009, pp. 65-66.

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– Moormann, Eric M.; Uitterhoeve, Wilfried, Miti e personaggi del mondo classico, Pearson Italia, 2004.

s.a., Heracles, in: Enciclopedia britannica, ed. 2002.

– Strabone, Geografia, V, 2, Milano, Rizzoli, 1988.

Note

1Heracles, in: Enciclopedia britannica, ed. 2002.

2L’Ercole cui si rendeva il culto nel centro Italia era molto simile all’Hercle etru-sco, spirito tutelare delle greggi e delle sorgenti d’acqua, che nell’VIII secolo e-ra ampiamente diffuso tra i popoli del gruppo linguistico osco-umbro. Si veda a questo proposito Nancy Thomson de Grummond, Erika Simon, The Religion of the Etruscans, University of Texas Press, 2006.

3Antonio Capano, Il mito e il culto di Eracle/Ercole nella Magna Grecia e nella Lucania antica, in: ‘Basilicata Cultura’, 131-132, “Uno dei più antichi miti del Golfo di Napoli ricorda il passaggio di Eracle: a lui miticamente si ricollega la fondazione di Baia, di Ercolano e di Pompei, ed è interessante l’osservazione del Bérard, che questo mito, come altri, non si collega alle grandi città, come Cuma, Dicearchia, Neapolis, ma a piccoli centri che non hanno risonanza sto-rica. I Campi Flegrei sono per molti il teatro della lotta tra l’eroe e i giganti; e la strada che da Baia conduceva a Puteoli era, nella tradizione mitica, vista come opera di Eracle. In tale contesto sacro non si segnala soltanto un’area di confine della città, che confluisce nel culto di una dea armata, ma un culto «le-gato alle iniziazioni, ai periodi di transizione e, quindi, a momenti di passaggio da uno status precittadino ad uno status cittadino»”.

4Gerione era un gigante a tre teste e sei braccia che discendeva da Medusa la Gorgone, cantato dal poeta e citaredo della Magna Grecia Stesicoro nella Ge-rioneide, un poema del VII secolo a.C. del quale sono rimasti solo pochi fram-menti su circa 1300, sul quale si rimanda all’interessante contributo di Christina Franzen, Sympathizing with the Monster. Making sense of colinization in Stesichorus’ Geryoneis, in: ‘Quaderni Urbinati di Cultura Classica’, vol. 92, n. 2, 2009, pp. 65-66.

5Sul mito di Alcmena si veda Eric M. Moormann, Wilfried Uitterhoeve, Miti e personaggi del mondo classico, Pearson Italia, 2004.

6Sull’aspetto silvestre del culto più arcaico, si rimanda a Mario Attilio Levi, Ercole a Roma, L’Erma di Bretschnider, 1997.

7Mauro Quercioli, Le mura e le porte di Roma, Newton Compton, Roma, 1982, sostiene che il culto di Evandro sia collegato a ritrovamenti archeologici di un sito greco risalente all’VIII secolo e dunque compatibile sia con le migrazioni dal Peloponneso, sia con la fondazione di Roma. Testimonierebbe una presenza greca sul Palatino, che a sua volta legittimava sé stessa come discendente da un insediamento arcadico risalente al periodo miceneo.

8Per ricostruire le complesse vicende relative alle varianti locali del culto di Ercole a Roma, Denis Feeney, Letteratura e religione nell’antica Roma, Roma, Salerno, 1998.

9Il topos dell’Ercole invitto si ritroverà più avanti nel culto mitraico e in quello del Sol Invictus, che l’imperatore Costantino sovrapporrà alla croce di Cristo nel IV secolo d.C. ponendolo sulle proprie insegne militari.

10Antonio Capano, Il mito e il culto di Eracle/Ercole nella Magna Grecia e nella Lucania antica, op.cit., p.133: “Tra l’altro il Vesuvio si diceva consacrato all’eroe semidio Ercole, e la città di Ercolano, alla sua base, prendeva da questi il nome, così come anche il vulcano, seppur indirettamente. Ercole infatti era ritenuto il figlio del dio Giove e di Alcmena, una donna di Tebe. Uno dei nomi di Giove era Υης (Ves). Veniva così chiamato per essere il dio della pioggia. Così Ercole divenne Υησουυιος (Vesouuios), il figlio di Ves”

11Sull’aspetto ideologico di questa scelta, si rimanda a Gianfranco De Benedittis, I Sanniti: Una storia negata, Pub.Ind, 2022.

12Il tema dell’Eracle furioso che in un improvviso accesso d’ira uccide la moglie e i figli da lei avuti, è tutt’altro che marginale nella storia del semidio. Le imprese imposte da Era dovevano servire a riscattarlo da quel crimine orrendo, si veda a questo proposito l’Eracle di Euripide, Milano, Rizzoli, 2018.

13Sulle specificità dell’Ercole romano nel suo primitivo aspetto di divinità ctonia e aniconica in coppia con Diana, si veda Mario Attilio Levi, Ercole a Roma, L’Erma di Bretschnider, 1997.

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