Antispecismo nell’Ottocento? Il ‘Pierrot’ Maupassant
Il termine specismo inizia a circolare tra gli ambientalisti negli anni ’70 del Novecento, per indicare quelle forme di violenza, crudeltà e discriminazione rivolte dall’uomo verso le altre specie. Da allora si è sviluppato parallelamente a concetti come razzismo, sessismo, per i quali tuttora si conoscono forme di attivismo e militanza attiva in ogni parte del mondo. Negli anni ’80 si inizia a parlare apertamente di diritti degli animali in affiancamento dei diritti umani e civili.
Sebbene il termine e la sua articolazione formale siano recenti, non mancano anticipatori del pensiero antispecista nel buddismo, nel giainismo, nel pitagorismo che imponevano un trattamento rispettoso degli animali. Non nel Cristianesimo, nell’Ebraismo e nell’Islam, che per secoli hanno negato un’anima agli animali, fondando la genesi stessa del mondo proprio sulla superiorità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, sopra tutte le altre creature del cielo, della terra e dell’acqua.
Il movimento antispecista ha trovato un riconoscimento pubblico e accademico solo negli ultimi decenni, con la nascita di riviste specializzate, dipartimenti universitari dedicati agli Animal Studies e con la radicalizzazione dell’attivismo militante. Si deve però distinguere l’antispecismo dai precedenti movimenti per la protezione degli animali: mentre le prime associazioni zoofile dell’Ottocento puntavano principalmente a prevenire la crudeltà verso gli animali e migliorarne le condizioni di vita, l’antispecismo promuove un approccio ancor più radicale, che mette in discussione l’idea stessa dell’uomo in posizione dominante sulle altre specie.
L’antispecismo contesta la legittimità morale di qualsiasi sfruttamento animale, indipendentemente dalle modalità con cui viene condotto, ponendo questioni fondamentali sul nostro rapporto etico con le altre specie e sulle pratiche sociali, economiche e culturali che da tale rapporto derivano. Movimenti animalisti e associazioni per la protezione degli animali erano in attività fin dalla prima metà dell’Ottocento.
La condizione degli animali domestici era stata fino a quel momento diversa da quella attuale: gli animali si consideravano allora per lo più strumenti di lavoro, mezzi di trasporto o semplici proprietà. Cani da guardia, gatti cacciatori di topi, cavalli e buoi da tiro avevano un valore prevalentemente utilitaristico, con scarsa considerazione per il loro benessere emotivo o fisico.
L’abbandono degli animali era una pratica ancora piuttosto comune, socialmente accettata. Nelle città in rapida industrializzazione, non esistevano rifugi organizzati o legislazioni a protezione degli animali abbandonati: quelli che perdevano per qualsiasi ragione la loro utilità, o diventavano un peso economico, venivano uccisi, oppure abbandonati, condannati a una vita di stenti e a una morte prematura.
In questo contesto culturale, Guy de Maupassant anticipa le moderne battaglie antispeciste, manifestando una sensibilità inusuale per l’epoca verso la sofferenza animale. Particolarmente significativo è il suo racconto Pierrot, dove narra con profonda commozione la storia di un cane abbandonato, evidenziando la crudeltà e l’indifferenza umana.
Maupassant riesce a mettere in luce non solo la sofferenza dell’animale abbandonato, ma anche l’insensibilità di una società che non riconosce valore alla vita animale, se non in misura proporzionale all’utilità pratica. In questo era all’avanguardia rispetto ai valori dominanti del suo tempo.
Nell’ultimo dopoguerra, gli animali iniziano a essere considerati sempre più come membri della famiglia. Questo cambiamento di status coincide con l’emergere di un nuovo paradigma etico che riconosce agli animali non solo bisogni fisici ma anche emotivi.
Oggi l’abbandono degli animali è generalmente considerato un atto riprovevole e, in molti paesi, perseguibile legalmente. Esistono rifugi, associazioni di volontariato e campagne di sensibilizzazione dedicate alla lotta contro questo fenomeno. L’identificazione obbligatoria tramite microchip e la registrazione anagrafica, sono strumenti concreti per contrastare l’abbandono.
Ciononostante, il problema persiste. In Italia, ad esempio, si stima che ogni anno vengano abbandonati oltre 50.000 animali domestici, con picchi durante i periodi estivi. Questo suggerisce che, nonostante i progressi culturali, permangono atteggiamenti di irresponsabilità e indifferenza.
La preoccupazione di Maupassant per la sofferenza degli animali abbandonati anticipa effettivamente di decenni il dibattito pubblico su questo tema. In un’epoca in cui gli animali erano considerati principalmente come proprietà o strumenti, la sua capacità di riconoscerne la dignità e di denunciare la crudeltà dell’abbandono rappresenta una significativa eccezione alla mentalità dominante.