Psicologia del Femminicidio in Maupassant
Maupassant torna spesso sul tema della follia, un’ossessione che lo tormenterà in special modo negli ultimi anni della sua vita, quando a sifilide arriverà a ridurlo in uno stato di decadimento cognitivo, paranoia e aggressività, culminante nella sua morte in manicomio a soli 38 anni. L’autore dunque osserva sé stesso scivolare nel baratro della psicosi in conseguenza di un male dal decorso fatale. La sua descrizione dei meccanismi profondi sottesi alla follia umana, è viva e terribilmente realistica. In più di un caso, quest’indagine va a toccare un tema tuttora sensibile e di grande attualità, quello della violenza di genere e in questo caso del femminicidio. Lo fa con un tono estremamente critico, di denuncia sociale.
In ‘Pazzo?’, un racconto pubblicato fra il 1875 e il 1891 in una delle riviste su cui era solito pubblicare allora, torna a confermare le precedenti smentite intorno all’ipotesi di un sottile e mal dissimulato sessismo, che sembrerebbe trasparire da alcuni altri suoi testi. L’argomento infatti è proprio un delitto che non possiamo definire semplicemente ‘passionale’, dato che non vi erano nemmeno e motivazioni per una possibile accusa di ‘infedeltà’ nei confronti della moglie. Si tratta piuttosto di un assassinio a sfondo relazionale, descritto nei minimi dettagli attraverso la psicologia profonda del criminale – che parla sempre in prima persona e con un flusso di pensiero in cui sembra anticiparsi il monologo interiore modernista.
Maupassant ci fa entrare nei perversi meccansimi della violenza di genere fondata sull’ossessione per il controllo, sull’ansia da prestazione, sul timore della perdita e nello stesso tempo, su quel senso di superiorità da padre-padrone del maschio che vuole porsi in una posizione di potere rispetto alla donna. La follia dell’assassino lo porta a fantasticare sul cavallo di lei, come se la passione per l’equitazione su cui evidentemente la donna (insoddisfatta) riversa le proprie attenzioni e il proprio tempo libero, debba tradursi in un rapporto completo con l’animale, di cui ritiene evidentemente capace la donna.
Una visione che esiste solo come ossessione malata di una mente che ha perso il proprio equilibrio. L’uomo quindi uccide prima il cavallo, poi lei stessa. Il movente è chiarissimo nel ‘train of thoughts’ del criminale, che di fronte a una crisi nel menage della coppia, non si pone il problema di come ristabilire l’armonia e la complicità, ma presume che la donna stia andando a ricercare altrove la propria soddisfazione, che insomma stia ‘tradendo’ il maschio egemone. Riversa cioè su un presunto altro da lui, una responsabilità che dovrebbe piuttosto ricercare dentro di sé. Questa è la psicologia di gran parte dei casi di femminicidio moderno.