Memoria profonda e sindrome di Stendhal in Capuana

https://youtu.be/OwNqppzKDKU

Torniamo a Luigi Capuana e le sue Novelle dell’occulto, un invito a nozze per chi si interessa di genesi della pseudo-scienza moderna, dove troviamo una singolare combinatoria di spiritismo, complottismo e irrazionalismo ammantata da un’aura di ‘verismo’. L’autore lo sappiamo, era uno che fotografava i morti, s’interessava di ipnotismo, magnetismo animale, mesmerismo, interpretazione dei sogni e tutte quelle pratiche tanto in voga nell’Ottocento, che venivano genericamente impugnate in opposizione al materialismo storico, al positivismo e allo scientismo razionalista.

Veniamo dunque al terzo racconto della serie, dove si racconta di un organista che prevede in sogno la propria morte. Il tema fondamentale con cui si misura il racconto è quello dei sogni premonitori, un tema antico forse quanto l’uomo stesso dato che lo ritroviamo fin dai versi dell’Iliade e le pagine della Torah. Le immagini oniriche sono soltanto illusioni, o è la vita stessa, come in Calderon de la Barca, ad essere un sogno dal quale ci svegliamo solo al momento del trapasso? Questa l’ipotesi fondamentale che la novella adombra.

Il racconto di Capuana si apre con un’esperienza onirica straordinariamente vivida, che presenta tutte le caratteristiche di un’allucinazione ipnagogica, come quella vissuta dal principe Leopoldo nel racconto precedente: queste esperienze intense non hanno nulla di soprannaturale come si è detto, possono verificarsi in modo particolare nella fase liminale tra veglia e sonno, in cui si risvegliano i sensi ma la coscienza non è ancora abbastanza desta da tenere a bada la memoria profonda. Il protagonista, immerso in una fitta nebbia illuminata da una luce bianca, ascolta una musica celestiale di straordinaria bellezza, con la piena consapevolezza di trovarsi in un sogno, ma un sogno quasi più reale della realtà stessa. Un’idea questa, che sembra voler quasi strizzar l’occhio all’idealismo platonico, o all’animismo pitagorico, se non più semplicemente alla dottrina cattolica della morte come liberazione dall’esistenza terrena che consente all’anima di salire al regno dei cieli per ricongiungersi con Dio stesso.

La musica celestiale che il pianista ascolta nel sogno potrebbe quindi rappresentare un’anticipazione dell’esperienza ultraterrena. Siamo in piena reazione alla scienza, potremmo dire quasi a cavallo della pseudo-scienza, che proprio in questo genere di affermazioni trova ancora oggi legittimazione: se non posso dimostrare che non è vero, allora dev’essere sicuramente vero. A questa visione del sogno come un portale aperto sull’oltre-mondo, si intreccia il tema della conoscenza proibita (occulta, per l’appunto), la mela biblica verrebbe da dire, rappresentata da una parte della melodia ascoltata in sogno che l’autore morirebbe se potesse ricordarla da sveglio. La conoscenza proibita intesa come un confine che non deve essere oltrepassato, un tabù la cui violazione comporta conseguenze nefaste.

Nel racconto di Capuana, la morte del pianista quando ricorda la seconda parte della melodia può essere interpretata come la punizione per aver acquisito una conoscenza riservata a dimensioni non umane, al pari della cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden. Questo tema della verità occulta si inserisce perfettamente nel contesto culturale dell’Italia tra fine Ottocento e inizio Novecento, un periodo caratterizzato dal fiorire delle società segrete e dei circoli teosofici, quel retroterra culturale in cui si sviluppano proprio in quegli stessi anni e nel periodo immediatamente successivo, vale la pena di ricordarlo, l’antisemitismo e la mistica del nazifascismo esoterico.

Il terzo tema fondamentale che incontriamo in questa novella è la complessa relazione tra memoria e creazione artistica: come ho avuto modo di osservare altrove, a proposito dell’ars reminiscendi antica, nella mitologia greca le Muse erano figlie di Mnemosyne, dea della memoria, evidenziando lo stretto legame tra ricordo e ispirazione artistica. Nel sogno del musicista questo legame diventa centrale: il protagonista tenta di ricordare e riprodurre una musica ascoltata in sogno, un’esperienza che trascende la semplice memorizzazione e sconfina nel territorio dell’ispirazione divina.

Il processo di reviviscenza mnemonica descritto nel racconto è particolarmente interessante e trova riscontro anche alla luce delle neuroscienze contemporanee: il ricordo della prima parte della melodia, l’esercizio su di essa al pianoforte, innescano il riaffiorare involontario della seconda parte, quella proibita, se pure contro la volontà del suonatore stesso e in modo perfettamente istintivo. Questo fenomeno anticipa il concetto modernista della memoria involontaria, in cui un frammento di ricordo può riportare alla coscienza un’intera esperienza passata.

Nel racconto, la memoria non è un archivio passivo di esperienze, ma una forza attiva che può sfuggire al controllo cosciente dell’individuo. I ricordi riverberano gli uni negli altri per cui il pianista, nonostante conosca il pericolo a cui va incontro ricostruendo la seconda parte della melodia, non può impedire che il ricordo emerga spontaneamente durante l’esecuzione della prima. Questa rappresentazione della memoria come forza autonoma anticipa in qualche modo le teorie freudiane sull’inconscio, formulate proprio in quegli stessi anni.

L’intima relazione tra musica e memoria è del resto particolarmente significativa: la musica, in questa prospettiva spiritistica, occultistica e neopitagorica, si fa ponte tra il mondo materiale e quello immateriale, tra il conscio e l’inconscio, tra il terreno e l’ultraterreno. Questa ricerca di una musica trascendente riflette sia l’interesse dell’autore per i fenomeni occulti sia le tendenze simboliste dell’epoca, che vedevano nell’arte un mezzo per accedere a dimensioni spirituali e non è un caso, verrebbe da dire, che lo strumento suonato dal maestro Wolgango sia un organo.

Nonostante gli elementi soprannaturali disseminati ovunque dall’autore, il racconto di Capuana lascia in realtà ampio spazio a interpretazioni razionali dell’esperienza del protagonista e della sua morte improvvisa: si pensi a quella che viene definita Sindrome di Stendhal, una condizione psicosomatica caratterizzata da disturbi normalmente transitori, che si manifesta come reazione all’esperienza contemplativa dell’arte, associata a sensazioni di malessere fisico e psichico. Può causare tachicardia, vertigini, svenimenti e in individui con predisposizione a malattie cardiovascolari, quel tipo di esperienza può provocare danni irreversibili se trascurata.

Nel caso del pianista, l’emozione travolgente provocata dal riaffiorare della melodia ultraterrena potrebbe essere stata così intensa da causare un arresto cardiaco, non sarebbe del resto la prima volta che un artista muore sotto le ‘luci della ribalta’, mi si consenta il vago richiamo a Chaplin. Naturalmente, il fatto che questo evento sia preceduto da un sogno cosiddetto premonitore, alla luce delle attuali conoscenze nel campo delle neuroscienze, si pu spiegare con un’intima, irrazionale e inconscia percezione della propria vulnerabilità emotiva di fronte all’esperienza artistica e alla pratica stessa sullo strumento musicale.

Il sogno diventa così un avvertimento non predittivo, un tentativo dell’inconscio di proteggere l’individuo da un’esperienza potenzialmente devastante. Questa lettura si avvicina alla moderna concezione del sogno come elaborazione di materiale psichico, come espressione di desideri o timori inconsci. Il divieto di ricordare la seconda parte della melodia è insomma riconducibile, senza ricorrere a spiritismi, occultismi o terrapiattismi vari, a un naturale meccanismo di difesa psichica. Il pianista si rende conto, a livello inconscio, di essere soggetto a queste emozioni incontenibili, che l’arte sia per lui estasi, delizia, ma anche un tormento profondo, un’emozione impattante e dunque potenzialmente pericolosa.

Attraverso i temi della confusione tra sogno e realtà, della conoscenza proibita, della relazione tra memoria e creazione artistica, e del potere destabilizzante dell’esperienza estetica, Capuana tenta di fondare la sua visione spiritistica, animistica, da occultista qual’è, ma il suo racconto è ancora una volta perfettamente spiegabile. Il contesto storico in cui è stato pubblicato, incontrando il favore del pubblico e della critica letteraria, la sua ambivalenza interpretativa, contribuiscono alla modernità del racconto e alla sua capacità di parlare tuttora al lettori contemporaneo, invitandolo a riflettere sul potere trasformativo dell’esperienza artistica, sulla complessità delle manifestazioni psicosomatiche e sulle dinamiche della memoria profonda.

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