Elogio della complessità. La lezione di Heinrich von Kleist

Heinrich von Kleist, “Il duello” (1811). Voce narrante Federico Berti

Heinrich von Kleist è uno scrittore contraddittorio, in tutto quello che scrive e fa nella sua purtroppo breve esistenza. Proviene da una famiglia della piccola nobiltà prussiana, di tradizione militare, perde entrambe i genitori fra l’età di undici e sedici anni, rimasto orfano si arruola nell’esercito, dove resta in servizio per otto anni, combattendo contro i francesi nelle guerre napoleoniche. Poi a ventitré anni prova a fare la vita del modesto impiegato a Berlino, a un certo punto legge Rousseau e gli prende la smania del ‘buon selvaggio’, si ritira in Svizzera a curar la terra. E’ in contraddizione costante con sé stesso. Si lascia in parte coinvolgere dalle idee illuministe e persino dai primi entusiasmi della Rivoluzione Francese, si trasferisce per un certo tempo a Parigi con la sorella, (dove a un certo punto gli tocca pure un periodo di reclusione per sospette attività di spionaggio). A un certo punto progetta addirittura di uccidere Napoleone, non si è mai capito se motivato dal nazionalismo prussiano o dal rifiuto dell’autocrazia bonapartista; poi (udite!) fonda una rivista nazionalista, che viene chiusa dalla censura solo un anno dopo, infine muore suicida all’età di soli trentasei anni. In quel poco tempo, trova il modo per lasciare dei capolavori che segnano la letteratura e il teatro per i secoli a venire. Come si fa a ridurre un personaggio del genere in uno schema rassicurante, senza rinunciare alla tremenda complessità del suo animo inquieto? Anche nella letteratura, Kleist è altrettanto contraddittorio: vuol fare lo scrittore di professione, di fatto vi riesce (seppur vivendo sempre in gravi ristrettezze e precarietà) ma nello stesso tempo non segue le mode del tempo, si rivolge a un pubblico estremamente di nicchia, al quale propone una letteratura sperimentale, ostica per molti, irritante per alcuni.

E’ attratto dallo storicismo romantico e dal classicismo tedesco, dall’illuminismo e dall’irrazionalismo, si relaziona ai salotti culturali dell’intellighenzia alto-borghese ma poi scrive un trattato sulle marionette, spettacolo tipicamente popolare, che influenzerà cent’anni più tardi un certo Gordon Craig nel fondare l’arte della regia moderna. Vive insomma tra più mondi sospe-so. Quel che salta agli occhi nel suo periodare, è la ricerca della complessità in luogo della semplificazione: la sua letteratura è tra quei modelli che Herman Hesse citerà negli anni ‘20 del Novecento, come modello di una prosa elegante, contrapposta al linguaggio sempre più semplificato del suo tempo. Lunghi e articolati periodi, in cui la frase principale è continuamente intercalata da secondarie tutt’altro che ridondanti, in cui non si perde mai l’obiettivo primario, che è sempre quello di tenere il lettore ancorato alla pagina. Non c’è manierismo nella prosa di von Kleist, ma autentica ricerca, sperimentazione, anche nei temi che affronta. E’ un autore che, nelle sue contraddizioni, ha molto da dire alla letteratura contemporanea – che tanta importanza insiste nel dare al riscontro immediato, alla semplificazione per assecondare un pubblico sempre più viziato e distratto, alla riduzione e al livellamento.

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