Classici e nuove voci dagli Stati Uniti d’America

Parlare di letteratura americana è un po’ una trappola semantica, dato che il continente si estende praticamente da un polo all’altro del pianeta, coinvolgendo paesi molto diversi tra loro; ridurla poi alla sola letteratura degli Stati Uniti è a sua volta una semplificazione che potrebbe risultare quasi offensiva per un canadese ad esempio, o per un messicano, un brasiliano e così via. La verità è che per letteratura americana s’intende (qui in Europa) proprio la produzione letteraria degli Stati Uniti, un’idea tecnicamente da rivedere.

Detto ciò, anche la letteratura dei soli Stati Uniti si presenta come un mosaico variegato e complesso, in cui tradizioni, sperimentazione, linguaggi diversi, concorrono a delineare il profilo culturale di un Paese tanto controverso, nato dall’immigrazione progressiva da tutto il mondo e di conseguenza costruito proprio sul principio della multiculturalità, del pionierismo e delle tensioni sociali che questo comporta. Né possiamo trascurare il fatto che l’identitarismo statunitense sia nato sulla tragedia e l’orrore di un genocidio, fisico e culturale, quello dei popoli nativi ridotti a vivere nelle riserve, in una condizione di sofferenza ed emarginazione: anche quella è letteratura americana, cosa di cui si vuol rendere conto in queste proposte di lettura.

Dai grandi maestri dell’Ottocento alle voci contemporanee, il corpus letterario statunitense (se così possiamo chiamarlo) riflette tensioni sociali, contraddizioni storiche e una grande varietà di prospettive, offrendo al lettore un panorama di straordinaria ricchezza. Le proposte qui raccolte, pur senza pretese di sistematicità e tanto meno di esaustività, intendono soltanto suggerire qualche percorso di lettura per avvicinarsi alla letteratura americana. Si parlerà qui di alcuni autori, forse i più popolari, i più conosciuti e amati, riservando al futuro un’opportunità di approfondimento su altri autori.

Si ritiene opportuno partire da una figura imprescindibile, forse uno dei più letti e rappresentati in assoluto, Edgar Allan Poe (1809-1849) che ha segnato in modo indelebile la narrativa moderna anticipando tendenze, temi, modelli e linguaggi ripresi per tutto il Novecento. Considerato il padre del racconto gotico e del giallo deduttivo, ha creato storie in cui la tensione psicologica si intreccia con atmosfere cupe e visionarie, testi come Il gatto nero e Il barilotto di Amontillado mostrano una prosa calibrata con precisione, capace di trasformare angosce universali in architetture letterarie ancora oggi perturbanti.

Il secondo autore che si ritiene particolarmente rappresentativo della letteratura americana nel primo Novecento è Jack London (1876-1916), tra i più pagati del suo tempo ma anche tra i più malintesi: ha fatto della narrativa d’avventura un laboratorio di riflessione sulla condizione umana e sulle dinamiche sociali, ponendo sempre al centro della sua narrativa i rapporti di forza fra l’uomo e la natura da un lato, fra individuo e collettività dall’altro. Purtroppo, il filone pioneristico è quello che l’editoria americana ha voluto porre in evidenza, lasciando sfumare l’impegno politico dell’autore in una sorta di limbo confuso. Dai racconti di strada alla distopia del Tallone di ferro, ai leggendari Racconti di Boxe che inaugurano la letteratura a tema sportivo, la sua opera coniuga realismo e tensione epica a un’autentica militanza dalla parte dei lavoratori, dei contadini, delle minoranze, degli oppressi.

Un altro autore imprescindibile quando si vuole approcciare alla letteratura americana è senza dubbio Mark Twain (1835-1910), al secolo Samuel Langhorne Clemens, maestro d’ironia, satira sociale e di costume, ma anche narratore straordinario e soprattutto, un abile sperimentatore linguistico. Nei suoi racconti – dal Ranocchio saltatore al Sogno curioso, l’umorismo diventa strumento di indagine e di smascheramento delle piccole e grandi debolezze umane. Ma soprattutto, attraverso l’uso intelligente dei dialetti e dei registri popolari, Twain ha saputo costruire una lingua autenticamente americana, capace di influenzare generazioni di autori dopo di lui.

Nel Novecento, altre voci hanno arricchito la letteratura statunitense di sfumature nuove, legate a un disincanto radicale; non è possibile soffermarsi su tutti i grandi autori, l’intento qui non è di ricostruire una storia completa dell’argomento, ma piuttosto evidenziare alcuni fili rossi da seguire con interesse, per ricostruire quella che è l’identità propria di una cultura letteraria statunitense. John Steinbeck (1902-1968), con la sua scrittura semplice e diretta, ma densa di simbolismo e capace di descrizioni estremamente crude della realtà, ha saputo unire il realismo sociale al lirismo poetico dando voce agli emarginati, ai braccianti, a chi lotta quotidianamente contro l’ingiustizia e povertà.

John Cheever (1912-1982), ha fatto lo stesso con la piccola borghesia americana, acuto osservatore della vita suburbana nell’America del Novecento. Conosciuto come il Flaubert dei sobborghi, la sua scrittura alterna un’ironia sottile all’introspezione psicologica, mettendo in luce l’ipocrisia e le contraddizioni del mondo borghese. Racconti come Il nuotatore o Il paese dei desideri perduti danno voce al disagio esistenziale raccontando le fratture familiari e le disillusioni del sogno americano. La sua prosa è elegante, misurata, talvolta malinconica; premiato con il National Book Award, Cheever ha contribuito a definire una narrativa americana profondamente consapevole dei limiti e delle fragilità dell’individuo moderno, pur senza rinunciare a una scrittura accessibile e coinvolgente. Il suo talento sta nell’equilibrio tra realismo e poetica, tra critica sociale ed empatia personale, rendendolo imprescindibile per chi vuole comprendere le sfumature più intime della vita americana del Novecento.

Tra gli autori da cui non si può prescindere, Charles Bukowski (1920-1994) è senza dubbio l’astro che più di tutti sarebbe stato impossibile veder sorgere al di fuori del contesto americano, rappresentativo di un’epoca, quella della contestazione, della cultura beat, hippie, freak. Nei suoi racconti prende vita l’America marginale e urbana del dopoguerra, con un linguaggio volutamente provocatorio al limite della scurrilità, ma sempre dosato con intelligenza, mai banale. Un autore che insegna a scrivere sul filo del rasoio, mettendo in ridicolo le convenzioni e il bigottismo di tanta parte dell’umanità.

Ogni discorso sulla letteratura americana sarebbe poi incompleto, come si è detto in apertura di questa breve nota, senza ricordare le tradizioni orali dei popoli nativi. Irochesi, Sioux, Navaho e altre comunità che hanno tramandato, attraverso miti e leggende, una visione del mondo fondata sul rapporto sacro con la natura e su una concezione ciclica del tempo. Racconti come Coyote e il gigante o L’uccello del mais non sono soltanto testimonianze antropologiche, ma patrimoni narrativi che dialogano a pieno titolo con la letteratura scritta e che suonano come un contrappunto essenziale al canone occidentale, che alla cultura dei Nativi ha attinto a man bassa nella costruzione stessa del ‘sogno americano’.

Parlare però di Nativi non vuol dire soltanto riportare le loro leggende, specchio di un’armonia perduta, testimonianza di un orrendo massacro. La cultura dei Nativi è viva e ha prodotto autori di rilievo nel panorama letterario attuale, come Sherman Alexie la cui scrittura ironica, ma pervasa dalla rabbia per le condizioni di emarginazione in cui vivono le comunità discendenti dai Nativi, e da una profonda umanità che lo rende capace di scandagliare i profondi recessi dell’animo umano, restituisce i conflitti e le contraddizioni di realtà invisibili ai lettori mainstream. Racconti come Io e Superman e Furto con scasso si confrontano con temi di identità, marginalità e resistenza culturale, alternando momenti di comicità brillante a riflessioni struggenti sulla memoria, sulla storia e il destino delle comunità confinate nelle riserve. La sua prosa, diretta e incisiva, coniuga ancora una volta il realismo sociale e la narrativa intimista.

La letteratura americana si definisce come un insieme di voci solo apparentemente discordanti. Dalle architetture gotiche di Poe alla rude epicità di London, dall’ironia corrosiva di Twain alle disillusioni urbane di Bukowski e Cheever, passando per le memorie orali dei nativi, quel che emerge è un ritratto dell’identitarismo americano. Più che un corpus unitario, possiamo considerarla come un orizzonte aperto, un campo in costante trasformazione che caratterizza profondamente l’intero paradigma storico degli Stati Uniti d’America.


Audioletture


Federico Berti, Racconti
Jorge Luis Borges, Racconti
Charles Bukowsky, Racconti
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